il decreto sulle sanzioni tributarie interverrà in modo specifico sui casi di evasione dell’IVA tramite lo strumento delle operazioni definite ‘carosello’: ecco una rassegna delle tante novità in fase di approvazione
Fino ad oggi, in caso di frodi Iva e false fatture, il corrispondente tributo era da considerasi comunque emesso “fuori conto” e la relativa obbligazione doveva essere ritenuta estranea al meccanismo di compensazione di tutta la catena di cessioni, sia a valle che a monte, che presiede alla detrazione d’imposta prevista dall’19 D.P.R.633/72.
Del resto, proprio per agevolare, dal punto di vista probatorio, l’azione di contrasto da parte dell’Amministrazione Finanziaria è stato introdotto nel nostro Ordinamento l’art. 60-bis al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che ha disposto, almeno per talune fattispecie, la responsabilità solidale tra cedente e cessionario.
Con il decreto di revisione del sistema sanzionatorio, che sta per completare la fase del passaggio parlamentare dopo essere già transitato in CdM, ora però le cose cambiano, almeno in parte.
La falsa auto fatturazione sarà infatti punita con la sanzione amministrativa dal 5 al 10%, ma non comporterà, in certi casi, più il pagamento dell’Iva sull’operazione inesistente, fino ad oggi imposta, come detta, come una sorta di sanzione impropria.
Se dunque, fino ad oggi, ai sensi dell’art. 21 del DPR 633/72, se veniva emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi o le imposte relative erano indicati in misura superiore a quella reale, l’imposta era dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura, collegando dunque l’obbligo alla mera cartolarità del documento, ora, laddove le posizioni di debitore e creditore dell’imposta coincidano con il medesimo soggetto passivo, come accade nelle ipotesi in cui l’imposta è assolta con il meccanismo dell’inversione contabile attraverso l’autofattura o l’integrazione della fattura da parte del fornitore, il rischio contro cui era diretta la citata previsione e cioè il danno erariale che si poteva determinare in caso di esercizio della detrazione da parte del destinatario della fattura, si considera non più realizzabile.
Per tali motivi l’art. 31 del decreto in corso di definizione modifica il citato art. 21, comma 7, prevedendo che debitore dell’imposta sia in questi casi solo il cedente o prestatore.
In tali ipotesi resta comunque dovuta, a carico del cessionario o committente, una sanzione amministrativa tra il 5 e il 10% dell’imponibile, con un minimo di 1000 Euro.
Non c’è dubbio, in ogni caso, che la questione delle frodi Iva resta questione di pressante attualità, come anche dimostrato dal recente intervento dei giudici comunitari in tema di prescrizione.
Secondo i giudici comunitari, la normativa italiana in tema di prescrizione dei reati può infatti risolversi in un ostacolo all’efficace lotta contro le frodi in materia di Iva, in modo incompatibile con il diritto dell’Unione, in particolar modo nel settore delle frodi carosello.
La durata del procedimento, cumulati tutti i gradi di giudizio, sarebbe, infatti, tale che, in casi complessi di questo tipo, l’impunità di fatto costituirebbe in Italia la norma.
Osserva dunque la Corte, se è pur vero che gli Stati membri dispongono di una libertà di scelta delle sanzioni applicabili, al fine di assicurare la riscossione di tutte le entrate provenienti dall’Iva e tutelare in tal modo gli interessi finanziari dell’Unione, conformemente alle disposizioni della direttiva Iva e all’articolo 325 del Tfue, possono, tuttavia, essere indispensabili sanzioni penali per combattere in modo effettivo e dissuasivo determinate ipotesi di gravi frodi, come la costituzione di un’associazione per delinquere allo scopo di commettere delitti in materia di Iva nonché una frode nella stessa materia per vari milioni di euro.
Nel caso di specie il problema era che, in caso di interruzione della prescrizione per una delle cause menzionate all’articolo 160 cp, il termine di prescrizione non poteva essere in alcun caso prolungato di oltre un quarto della sua durata iniziale, con la conseguenza che, date la complessità e la lunghezza dei procedimenti penali che conducono all’adozione di una sentenza definitiva, era neutralizzato l’effetto temporale di una causa di interruzione della prescrizione. In questo senso, ricordano gli eurogiudici, qualora il magistrato nazionale giungesse alla conclusione che le disposizioni di cui trattasi non soddisfano gli obblighi del diritto dell’Unione relativi al carattere effettivo e dissuasivo delle misure di lotta contro le frodi all’Iva, detto giudice sarebbe tenuto a disapplicare, all’occorrenza, tali disposizioni.
Vista la sentenza del Tribunale del Lussemburgo, sarebbe dunque forse opportuno, anche al fine di evitare un caos giurisprudenziale, intervenire (solo per i reati fiscali dichiarativi) su una modifica della prescrizione nei reati tributari.
La legge 148/2011 ha già inciso peraltro sulla disciplina oggi vigente, rispetto a quella già oggetto del giudizio comunitario, attenuando in parte il problema. In particolare, per quanto oggi di nostro interesse, è stato modificato il regime della prescrizione, che ha subito un prolungamento.
All’art. 17 rubricato “interruzione della prescrizione” è stato infatti aggiunto il comma 1 bis che prevede che “i termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 … sono elevati di un terzo” (rispetto al precedente limite di un quarto). La riforma ha inciso su buona parte delle fattispecie di reato previste dal d.lgs. 74/2000 (gli articoli da 2 a 10), restituendo due categorie di illeciti:
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quelli che si prescrivono in sei anni e che diventano sette anni e sei mesi per effetto dell’interruzione e sono, in particolare, i delitti di cui agli artt. 10 bis, 10 ter, 10 quater e 11,
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quelli che si prescrivono in otto anni (sei anni base elevati di un terzo), che diventano dieci anni per effetto dell’interruzione e sono, appunto, i delitti di cui agli artt. da 2 a 10.
Non è vero dunque che la normativa è così “arrendevole”.
In ogni caso, laddove si volesse mettere mano al problema, si potrebbe partire da quella che era l’impostazione della vecchia Legge 516/82. Ante decreto 74/2000 infatti era prevista per i reati tributari una disciplina speciale in tema di prescrizione. L’art. 9 del decreto 516/82 prevedeva infatti, in deroga all’art 157 cp, per alcuni reati contravvenzionali, un termine più ampio e ciò proprio con considerazione della complessità delle indagini necessarie ai fini dell’accertamento delle violazioni. Per risolvere il problema della prescrizione nei reati fiscali si potrebbe dunque (re)introdurre una norma ad hoc, com’era nella vecchia legge n. 516/1982, peraltro, a ben vedere, in linea con quanto prescriveva l’art.9, lettera g) della legge delega 205/1999, il quale chiedeva al legislatore di “uniformare la disciplina della prescrizione dei reati a quella generale, salvo le deroghe rese opportune dalla particolarità della materia penale tributaria”.
In conclusione, potrebbe essere opportuna una disposizione speciale nel D.Lgs. 74/2000, naturalmente solo per reati dichiarativi e accessori, come emissione fatture per operazioni inesistenti e distruzione contabilità; per quelli di riscossione – omesso versamento – non ha infatti senso, perché lì il reato viene scoperto subito.
Alla giusta previsione di abolizione di sanzioni improprie, infatti, deve corrispondere una maggiore efficacia delle sanzioni penali.
21 settembre 2015
Giovambattista Palumbo