in caso di contestazione di operazioni fatturate, vi è un diverso onere probatorio fra Fisco accertatore e contribuente accertato: proponiamo un’analisi completa della suddivisione dell’onere della prova
Operazioni soggettivamente inesistenti
Un’operazione si qualifica “oggettivamente inesistente”1 se la cessione di beni non è stata effettuata, in tutto o in parte, nei termini oggettivi rappresentati nel documento fiscale, mentre la stessa si qualifica come “soggettivamente inesistente” se l’operazione è stata effettivamente posta in essere, ma tra soggetti diversi da quelli indicati nella rappresentazione cartolare. Il concetto di falsa fatturazione comprende non soltanto l’ipotesi dimancanza assoluta o relativa dell’operazione fatturata, bensì ogni tipo di divergenza, anche meramentesoggettiva, tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale allorché, a prescindere dal fattoche i beni siano effettivamente entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa acquirente, si accertiche uno o entrambi i soggetti indicati nella fattura sono falsi. Principi articolati2 trovano applicazione in relazione al caso in cui l’Amministrazione contesti al contribuente di avere adoperato, ai fini della detrazione dell’IVA, fatture solo soggettivamente inesistenti, ovverosia che la fattura sia stata emessa da un soggetto diverso dall’affettivo fornitore del bene o prestatore del servizio.
Prova della frode e del coinvolgimento del cessionario-committente: l’utilizzo di presunzioni da parte dell’Ufficio
Il committente-cessionario al quale sia contestata, sulla base di elementi presuntivi forniti dall’amministrazione, la detrazione dell’IVA versata in rivalsa al soggetto diverso dal cedente- restatore che ha emesso la fattura, ha il diritto di detrarre l’imposta soltanto se provi, ai sensi dell’art. 2 697, c. 2, c.c., che non sapeva o non poteva sapere di partecipare ad un’operazione fraudolenta (Cass. 8132/11; 7672/12; 23074/12; 6229/13). Ed invero, a norma dell’art. 21, c. 7, d.P.R. 633/72, se vengono emesse fatture per operazioni inesistenti, l’imposta stessa è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura; con la conseguenza che, a fronte di tali operazioni, l’Amministrazione finanziaria ha il dovere di non ammettere in detrazione l’IVA relativa alle stesse.
Il diritto alla detrazione3 può essere negato laddove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che l’operazione si inserisce in una “frode”, della quale il cessionario o committente è consapevole o comunque avrebbe dovuto conoscere4.
Non può revocarsiin dubbio che tale prova possa essere fornita anche mediante presunzioni5, comeespressamente prevede, per l’IVA, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2,(Cass. 9108/12;Cass. 15741/12); costituisce principio di carattere generale che la prova dei fatti possa essere data anche mediante presunzioni(Cassazione sentenza 14 dicembre2012, n. 23078).
E’ del tutto legittimo il ricorso a tale strumento, anche in materia di fatturazione per operazioni inesistenti( Cassazione sentenza 24 maggio 2013, n. 12963)
L’onere di “dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere”, viene assolto dall’Amministrazione finanziariamediante presunzioni6.
Rilevanza della “buona fede” del cessionario-committente ai fini della detrazione dell’imposta assolta sull’acquisto di beni e servizi
Il diritto alla detrazione può essere disconosciuto nell’ipotesi in cui il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore a monte, attribuendo così rilevanza a tale elemento. In sostanza, una volta provata la sussistenza della frode da parte dell’Amministrazione finanziaria, anche mediante presunzioni il diritto alla detrazione spetta solo laddove il contribuente dimostri che non sapeva o non poteva sapere di partecipare ad una operazione fraudolenta7.
Ricade sul contribuente “… l’onere di fornire la prova piena in ordine all’esistenza effettiva, anche sul piano soggettivo, degli acquisti operati e documentati dalle fatture in contestazione, o circa la sua buona fede in ordine al carattere fraudolento delle operazioni a monte del proprio acquisto” (Cassazione 22 maggio 2013, n. 12503).
Se l’amministrazione fornisce validi elementi (alla stregua del D.P.R. 26 ottobre 1972, art. 54, c. 2) per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni (anche solo parzialmente) fittizie, passa sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate.
Una volta accertata in giudizio l’esistenza dei requisiti legali di detta prova presuntiva, sorge l’onere per il contribuente di fornire prova contraria.
Il cessionario/committente ha il diritto di detrarre l’imposta soltanto se provi che non sapeva o non poteva sapere di partecipare ad un’operazione fraudolenta “ed in particolare se dimostri almeno una di queste due circostanze, e cioè di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta in occasionedell’operazione contestata, non sia stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all’operazione (Cassazione sentenza 22 maggio 2013, n. 12503). Ricade, quindi, sul contribuente l’onere di fornire la prova piena in ordine all’esistenza effettiva, anche sul piano soggettivo, degli acquisiti operati e documentati dalle fatture in contestazione, o circa la sua buona fede in ordine al carattere fraudolento delle operazioni a monte del proprio acquisto”. Tale dimostrazione deve avvenire mediante riscontri precisi, che non possono esaurirsi nell’avvenuta consegna della merce, nell’avvenuto pagamento della stessa nonché dell’IVA riportata sulla fattura emessa dal terzo, trattandosi di circostanze non decisive in rapporto alla peculiarità del meccanismo IVA e dei relativi possibili abusi8. Non è sufficiente “la regolarità della documentazione contabile esibita e la mera dimostrazione che la merce sia stata effettivamente consegnata o che sia stato effettivamente versato il corrispettivo, ‘trattandosi di circostanze non concludenti, la prima in quanto insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, e la seconda perché relativa ad un dato di fatto inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode”.
La mera regolarità formale9 e fiscale delle operazioni documentate, e la stessa circostanza che i beni o i servizi siano entrati nell’effettiva disponibilità del cessionario non valgono di per sé a radicare il diritto del contribuente alla detrazione dell’imposta versata ai fini IVA
E’ “posto a carico del cessionario un obbligo di diligenza10 nella scelta del fornitore e di attenzione ai requisiti del soggetto cedente, non formali (essendo evidente che ogni meccanismo fraudolento si cura in primo luogo di esibire all’esterno una apparente correttezza contabile e cartolare) ma sostanziali, nel senso di una effettiva esistenza nel cedente di una efficiente struttura operativa e della capacità di fornire autonomamente i beni acquistati, senza ovviamente pretendere un inesigibile dovere di accurata indagine, ma fondandosi su quegli elementi obiettivi (ad es. assenza di strutture, assenza di una clientela qualificata, mancanza di indici di capacità commerciale pubblicità, giro di affari ecc.) che non possono sfuggire ad un contraente onesto che operi in un determinato settore commerciale e che in particolare (e qui è l’unica differenziazione terminologica accettabile) non devono sfuggire ad un imprenditore mediamente accorto”.
Responsabilità delle aziende coinvolte in una frode carosello
La nuova disciplina in materia di costi da reato introdotta dal D.L. “Semplificazioni tributarie” rende deducibili per l’acquirente i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti sostenuti nell’ambito di una frode carosello11. Dopo il decreto semplificazione, i costi sostenuti a fronte di una fattura soggettivamente falsa sono deducibili..In tema di imposte sui redditi, a norma dell’art. 14, comma quarto-bis, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, nella formulazione introdotta con l’art. 8, comma primo, D.L. 2 marzo 2012, n. 16, sono deducibili per l’acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, per il solo fatto che essi sono sostenuti nel quadro di una cosiddetta frode carosello, anche per l’ipotesi che l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che a norma del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (Cass. 22-05-2013 n. 12503). Il decreto sulla semplificazione fiscale diminuisce la responsabilità delle aziende coinvolte in una frode carosello. La società che ha ricevuto consapevolmente la fattura non dall’effettivo venditore ma da una cartiera può comunque dedurre i costi sostenuti per l’acquisto. In tema di imposte sui redditi, a norma dell’art. 14, c. 4-bis, L. n. 537 del 1993 nella formulazione introdotta con l’art. 8, c. 1, D.L. n. 16 del 2012, sono deducibili per l’acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, per il solo fatto che essi sono sostenuti nel quadro di una c.d. frode carosello, anche per l’ipotesi che l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che a norma del Tuir siano in contrasto con i principi effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità. (Cass. 20-06-2012 n. 10167).
Per ‘indetraibilità dell’Iva, essa resta tale in caso di partecipazione consapevole alla frode. Ai soggetti terzi coinvolti nelle frodi carosello non è più contestabile, alla luce dell’art. 14, c. 4-bis, della legge n. 537/93 modificato dall’art. 8 del D.L. 16/2012, la deducibilità dei costi, in quanto i beni acquistati non sono utilizzati per commettere direttamente il reato. Ai soggetti terzi coinvolti nelle frodi carosello non è più contestabile, alla luce della nuova norma, la deducibilità dei costi, in quanto i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, venduti. Sicché non è più sufficiente il coinvolgimento (anche consapevole) dell’acquirente in operazioni che siano fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore perché non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi relative alle predette operazioni. Resta comunque aperto il problema della concreta deducibilità dei costi in relazione ai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità. Per la indetraibilità dell’Iva, essa resta tale in caso di partecipazione consapevole alla frode. La nuova formulazione dell’art. 14, c. 4-bis, L n. 537/1993: 1. ha ridotto l’ambito dei componenti negativi connessi ad illeciti penali e non ammessi in deduzione nella determinazione dei redditi ex art. 6, c. 1, TUIR, limitandolo ai “costi e … spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo”; 2. ha richiesto che, in relazione a tale delitto, “il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque… il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 424 c.p.p. ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’art. 157 c.p.…”; 3. disciplinando l’applicazione nel tempo dei commi 1 e 2, il successivo comma 3 dell’articolo 8, D.L. n. 16/2012 ha previsto che essi “si applicano in luogo di quanto disposto dal comma 4-bis dell’art. 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove piú favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al citato comma 4-bis previgente non si siano resi definitivi”.
9 aprile 2014
Ignazio Buscema
1 Nel caso di operazioni oggettivamente inesistenti, è escluso in radice che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente, il quale sa bene se una determinata fornitura di beni o prestazione di servizi l’ha effettivamente ricevuta o meno).
2 La Corte europea ha, da ultimo, ribadito che se, tenuto conto di evasioni o irregolarità commesse dall’emittente della fattura, o a monte dell’operazione dedotta a fondamento del diritto alla detrazione, tale operazione è considerata come non effettivamente realizzata, si deve dimostrare, alla luce di elementi oggettivi ed alla stregua dei principi sull’onere della prova vigenti nello Stato membro, senza, peraltro, esigere dal destinatario della fattura verifiche (circa la qualità di soggetto passivo IVA in capo al fatturante, o la disponibilità dei beni di cui trattasi) alle quali non è tenuto, che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta operazione si inseriva nel quadro di un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto; circostanza, questa, che – secondo la Corte di Lussemburgo – spetta al giudice del rinvio verificare (C. Giust. 6.12.12, cit.; 31.1.13, cit.).
3In relazione alla fattispecie dell’utilizzazione, ai fini della detrazione di fatture emesse a fronte di operazioni che siano anche soltanto soggettivamente inesistenti, l’indetraibilità dell’IVA è ancorabile all’incoerenza dei termini soggettivi dell’ operazione rispetto a quelli della fatturazione (artt. 19, c. 1, e 21, c. 7 e 26, c. 3 del D.P.R. 633/72), cioè alla dirompente alterazione della corretta sequenza tra operazioni a monte ed operazioni a valle, costituente il fulcro del disposto di cui all’art. 17 della VI Direttiva IVA, secondo cui il giudice nazionale deve negare il diritto alla detrazione, se risulta dimostrato che il diritto dell’Unione Europea sia stato invocato in modo fraudolento (Cass. 6229/13; 24426/13).
4 In tema di IVA relativa ad operazionisoggettivamenteinesistenti, il committente-cessionario, al quale sia contestata la detrazione dell’IVA, versata in rivalsa al soggetto, diverso dal cedente-prestatore, che tuttavia ha emesso la fattura, ha il diritto di detrarre l’imposta soltanto se provi che non sapeva o non poteva sapere di partecipare ad un’operazione fraudolenta ed in particolare se dimostri almeno una di queste due circostanze e cioè di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta in occasione dell’operazione contestata, non sia stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all’operazione (Cass. 19-10-2012 n. 18009).
5 Dalla “valenza indiziaria di fatti noti (ad es., l’avvenuto acquisto di metalli preziosi a prezzo inferiore alle quotazioni ufficiali o di mercato, la partecipazione personale alla gestione di società coinvolte nella frode, le dichiarazioni di terzi verbalizzate, le prove significative acquisite in altri procedimenti), il giudice può risalire ai fatti da dimostrare (come la contestata abusività della detrazione d’imposta) secondo un criterio non necessariamente di certezza, ma di ragionevole probabilità (Cassazione sentenza n. 4306 del 2010) Deve essere censurato il ragionamento della CTR che ha ritenuto illegittimo l’accertamento pur in presenza di elementi presuntivi sufficienti ed adeguati a ritenere provato lo scopo fraudolento, quali ad esempio il carattere fittizio delle operazioni commerciali effettuate(indipendentemente dalla loro effettiva realizzazione) destinate a concludere un piano illecito disfruttamento di evasione IVA; nella mancanza di una propria struttura commerciale e di una effettiva organizzazione aziendale delle società fornitrici formalmente gestite da soggetti prestanome con capitale sociale minimo; nelle anomale modalità dei rapporti di acquisto e di pagamento con assegni circolari intrattenuti con le società fornitrici dalla contribuente; nella mancanza di idonea documentazione sui trasferimenti della merce; nell’acquisto della merce a prezzi nettamente più bassi del mercato” (Cassazione sentenza 14 giugno 2013, n. 14960).
6In materia di IVA, la fattura è documento idoneo a rappresentare un costo dell’impresa, comprensivo dell’incidenza dell’imposta in parola sul prezzo di acquisto dei beni, attesa la disciplina del suo contenuto di cui all’art. 21 D.P.R. 633/72. Ed, in tali limiti, essa può certamente costituire una prova a favore dell’imprenditore o del professionista, nei rapporti con il fisco. Ben si intende, allora, che in ipotesi di fatture che l’Ufficio ritenga relative ad operazioni oggettivamente, o anche solo soggettivamente, inesistenti, o che (ancorché effettivamente poste in essere) si iscrivono in combinazioni negoziali fraudolente ai danni del fisco, l’Amministrazione stessa ha l’onere di provare che l’operazione commerciale oggetto della fattura non è stata posta in essere, o non lo è stata tra i soggetti che figurano nella fattura, o che tale documento sottende un’operazione fraudolenta cui il cessionario sia partecipe. E non può revocarsi in dubbio che tale prova possa essere fornita anche mediante presunzioni, come espressamente prevede, per l’IVA, l’art. 54, c. 2, D.P.R. n. 633/72 (analoga previsione è contenuta, per le imposte dirette, nell’art. 39, c. 1, lett. d, D.P.R. n. 917/86) (cfr. Cass. 21953/07, che fa riferimento alla possibilità che l’amministrazione produca elementi anche indiziari, a sostegno della pretesa fiscale azionata; Cass. 9108/12; 15741/12, in motivazione; 23560/12; nello stesso senso C. Giust. 6.7.06, C- 439/04, C. Giust., 21.2.06, C-255/02; C. Giust. 21.6.12, C -80/11; C. Giust. 6.12.12, C-285/11; C. Giust. 31.1.13, C-642/11).
7In tema di Iva, il diritto alla deduzione da parte del committente/cessionario nel caso di operazionisoggettivamenteinesistenti deve ritenersi condizionato alla circostanza di non avere avuto consapevolezza della falsità ideologica della fattura rilasciata a fronte dell’operazione, vale a dire della diversità tra il soggetto effettivamente cedente e quello indicato nella fattura, non potendo evidentemente riconoscersi legittima la deduzione di un costo derivante da operazione posta in essere mediante un comportamento penalmente illecito. Sul piano dell’onere della prova ciò comporta che mentre spetta all’ufficio finanziario che contesta la deduzione dimostrare che l’operazione cui essa si riferisce è soggettivamente inesistente, spetta invece al contribuente provare di non avere avuto consapevolezza della rilevata falsità, trattandosi di condizione necessaria al fine di ottenere la deduzione, in applicazione alla regola generale secondo cui, essendo il costo una voce che riduce il reddito imponibile, esso deve essere provato dal contribuente e tale prova si estende a tutte le condizioni richieste dalla legge ai fini del riconoscimento della deduzione. Con l’ulteriore precisazione che tale prova non può essere validamente fornita dal privato soltanto dimostrando che la merce è stata effettivamente ricevuta e ne è stato versato il corrispettivo, trattandosi di circostanze non concludenti (Cass. 17-11-2010 n. 23179) i fini della deduzione dei costi relativi a fatture soggettivamenteinesistenti, il contribuente deve provare, oltre alla buona fede, anche che l’affare non è penalmente rilevante. A nulla vale, dimostrare la consegna della merce o del servizio né la relativa documentazione. Riguardo alla deducibilità dei costi, ciò comporta, sul piano della distribuzione dell’onere della prova, che, se l’Agenzia dimostri che l’operazione cui la fattura si riferisce è soggettivamente inesistente, compete al contribuente provare l’insussistenza di ipotesi penalmente rilevanti, in base alla regola, secondo cui, la ricorrenza dei presupposti di una deduzione, riducendo questa l’imponibile, va provata dal contribuente ( Cass. 11-11-2011 n.23626).
8A fronte di operazioni accertate come soggettivamente inesistenti dal giudice di merito, le circostanze della ricezione della merce e dell’effettuato pagamento del corrispettivo sono perfettamente coerenti con il modello di evasione costituito dalle operazioni in parola (Cass. 17377/09; 23074/12), nel quale la cessione o la prestazione del servizio vengono effettivamente poste in essere, ma tra soggetti diversi dagli apparenti contraenti.
9 Non è sufficiente dedurre, da parte del contribuente, che la merce sia stata consegnata e la fattura, IVA compresa, sia stata effettivamente pagata, trattandosi di circostanze pienamente compatibili con il modello di frode fiscale, posto in essere mediante un’operazione soggettivamente inesistente (Cass. 17377/09; 230744/12). E tanto meno può considerarsi sufficiente la dimostrazione della regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta, com’è del tutto evidente, di dati e circostanze facilmente falsificabili dal contribuente (cfr. Cass. 1950/07, 12802/11).
10 La prova, fornita dall’Amministrazione, che la prestazione non è stata effettivamente resa dal fatturante, perché sfornito della, sia pur minima, dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione, costituisce, di per sé, per la sua pregnanza dimostrativa, idoneo elemento sintomatico dell’assenza di “buona fede” del contribuente. L’immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore – fatturante – cessionario o committente) induce, invero, ragionevolmente ad escludere in via presuntiva, a fronte di una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica, l’ignoranza incolpevole del cessionario o committente circa l’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta. In tal caso, sarà, di conseguenza, il contribuente a dover provare, in applicazione di principi ordinari sull’onere della prova vigenti nel nostro ordinamento (art. 2697 c.c.), di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri, dovendosi altrimenti negare il diritto alla detrazione dell’IVA versata (Cass. 6229/13).
11 In tema di IVA, è indebita la detrazione d’imposta relativa a fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, anche se la merce sia stata realmente acquistata ed i costi risultino effettivamente sostenuti, non essendo la provenienza della merce stessa da soggetto diverso da quello figurante sulle fatture una circostanza indifferente ai fini dell’IVA: da un lato, infatti, la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, per conseguenza, sull’entità dell’imposta legittimamente detraibile dall’acquirente e, dall’altro, il diritto alla detrazione non sorge comunque per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, l’inerenza all’impresa, requisito mancante in relazione all’IVA corrisposta al soggetto interposto, trattandosi di costo non inerente all’attività istituzionale dell’impresa, in quanto potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il detto nesso di inerenza. La modifica legislativa di cui all’art. 8, D.L. n. 16 del 2012, riguarda la deducibilità dei costi ai fini delle imposte sui redditi e non la questione relativa alla detraibilità dell’IVA che costituisce l’oggetto dell’accertamento e, quindi, del giudizio (Cass. 07-11-2012 n. 19218). La nuova disciplina in materia di costi da reato introdotta dal D.L. “Semplificazioni tributarie” rende deducibili per l’acquirente i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti sostenuti nell’ambito di una “frode carosello”. Dopo il decreto semplificazione, i costi sostenuti a fronte di una fattura soggettivamente falsa sono deducibili. La Ctr non può fondare la sua decisione circa la buona fede dell’impresa destinataria dell’accertamento a un consulenza tecnica d’ufficio nella quale si accerta l’assenza di conversazioni fra il contribuente e le società coinvolte nell’affare illecito. In tema di imposte sui redditi, a norma dell’art. 14, c. 4-bis, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, nella formulazione introdotta con l’art. 8, comma primo, D.L. 2 marzo 2012, n. 16, sono deducibili per l’acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, per il solo fatto che essi sono sostenuti nel quadro di una cosiddetta “frode carosello”, anche per l’ipotesi che l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che a norma del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (Cass. 22-05-2013 n. 12503). Contra, la sentenza n. 11667/2013 della Corte di cassazione secondo cui il D.L. semplificazioni fiscali 2012 non dà diritto all’imprenditore assolto dall’accusa di evasione IVA di dedurre i costi effettivamente sostenuti a fronte di fattura soggettivamente falsa. Si ricorda che le nuove disposizioni in materia di costi da reato hanno efficacia retroattiva, ove più favorevoli al contribuente, salvo che i provvedimenti emessi in base alla disciplina previgente non si siano divenuti definitivi.