La prova delle cessioni intracomunitarie

Le cessioni verso altri Paesi comunitari a volte nascondono comportamenti fraudolenti volti ad evadere il pagamento dell’IVA; ecco quali prove si possono offrire per dimostrare che la cessione intracomunitaria di beni è realmente avvenuta (Antonio Karabastos)

Cessioni intracomunitarie e problematica IVA

la prova nelle cessioni intracomunitarieCome noto, le cessioni di beni rivolte a paesi esteri non sono sottoposte ad imposizione IVA. Per il caso delle cessioni verso paesi membri dell’Unione Europea, sussiste un regime di non imponibilità per effetto dell’art. 41 D.L. 331/93; con riferimento alle cessioni verso paesi extra UE, vi è un regime di esclusione dal campo di applicazione dell’Iva (ex art. 7 e ss. DPR 633/72, per difetto del requisito della territorialità).

In entrambe le fattispecie c’è il rischio che la mancata sottoposizione ad IVA crei comportamenti distorsivi, volti all’evasione dell’imposta “camuffando” come cessioni destinate all’estero ordinarie cessioni interne effettuate ad altri soggetti.

Con più preciso riferimento alle cessioni intracomunitarie, la presentazione telematica dei Modelli Intrastat e l’incrocio dei dati effettuato dai paesi dell’Unione permette di contrastare efficacemente questi comportamenti.

Tuttavia non appare raro che alcuni dati risultino errati o contraddittori, con la conseguente attivazione di un controllo in capo al cedente nazionale, che si troverà richiesta, anche a distanza di anni, una prova documentale sull’effettività della cessione intracomunitaria.

Sulle modalità dettagliate di tale prova non vi sono, nel nostro ordinamento tributario, norme specifiche, ma è necessario basarsi sui documenti di prassi dell’amministrazione finanziaria (Circolari, Risoluzioni) e sulle successive pronunce della giurisprudenza in merito a tali interpretazioni.

La prova che risulta la più difficile da fornire è quella del trasporto nell’altro Stato membro, perché ordinariamente viene richiesta la copia della lettera di vettura internazionale (CMR) vistata da trasportatore e cliente estero all’atto della consegna dei beni.

A questo proposito la Risoluzione 19/2013 ha definitivamente esteso la possibilità di prova anche a forme alternative, quali il CMR “elettronico” o stampate di dati tratte dal sistema informatico del vettore.

 

 

Quando è necessario fornire la prova della cessione

La prova viene richiesta ai fini del mantenimento della non imponibilità, nei casi in cui scatti il dubbio sulla effettiva realizzazione dell’operazione a seguito di incongruenze nei dati informatici, o nei casi di un ordinario controllo della posizione fiscale di un soggetto.

Le fattispecie possono consistere in:

– utilizzo di dati erronei: in tale caso il cedente utilizza un numero di P.Iva o una denominazione errata del cessionario.

Ciò può avere diverse conseguenze a seconda dei motivi dell’errore: se il soggetto estero era inesistente alla data della cessione ciò comporterà ordinariamente l’imponibilità in Italia dell’operazione.

Questo a meno che non sia possibile dimostrare che tale “inesistenza” era solo formale, poiché il soggetto di fatto operava sotto altra denominazione e codice identificativo (si pensi, molto semplicemente, ad una fusione di società dello stesso gruppo, che perdono la loro orignaria P.IVA). In questo caso si segnala la previsione della Risoluzione 25 del 12/2/1997, che esenta da ogni contestazione, anche sotto forma di sanzione formale, il soggetto cedente che, preventivamente alla cessione, controlli la regolarità/esistenza del codice ISO del cessionario (sigla dello Stato estero + Partita IVA), controllo che oggi si effettua nell’apposita sezione del sito Internet dell’Agenzia delle Entrate, conservando poi la stampa dell’esito regolare.

– erroneo invio dei dati Intra: Nel novero degli errori materiali si conta anche la duplicazione totale o parziale degli ammontari (rigo ripetuto) che comporta ovviamente un imponibile apparentemente superiore. Gli errori materiali di qualsiasi tipo nelle comunicazioni Intrastat possono affliggere ovviamente anche i cessionari, che in taluni casi diventano essi stessi oggetto di controllo da parte delle autorità fiscali estere, e sono la causa di un controllo incrociato nel nostro Stato.

Il caso “classico” è quello di un imponibile duplicato o indicato al lordo di una nota di credito dal soggetto italiano, mentre i dati inviati dal soggetto estero appaiono di ammontare inferiore.

L’amministrazione straniera, nel dubbio che il proprio contribuente abbia inteso occultare degli acquisti (al fine evidente di occultare anche i relativi ricavi derivati), potrà chiedere un controllo all‘amministrazione italiana.

– controllo in corso verso il contribuente: come accennato sopra, appare evidente che nell’ambito di un controllo fiscale verso un soggetto esportatore (ordinariamente a credito IVA per un proprio regime “naturale”) l’amministrazione finanziaria possa verificare l’esistenza dei documenti atti a provare la non imponibilità delle operazioni.

In conclusione, i controlli possono scaturire non solo e non tanto da omissioni del soggetto nazionale, ma anche da errori del cessionario estero o dal controllo scaturito da una legittima richiesta di rimborso di un ingente credito IVA.

Per evitare l’imponibilità IVA delle cessioni, oltre ad interessi e sanzioni, è assolutamente necessario conservare la documentazione completa dell’operazione.

 

 

Cosa è necessario provare

I requisiti della cessione intracomunitaria sono quattro: la natura di soggetto IVA dell’acquirente estero, il passaggio della merce nello Stato estero, la natura di bene mobile materiale della merce, e il passaggio di proprietà o altro diritto reale a titolo oneroso (D.L. 331/93, artt. 41 e ss.).

Alcuni di questi requisiti sono dimostrabili senza grandi problemi: è evidente che se un soggetto italiano si occupa della produzione e vendita di scarpe sportive esse costituiscono un bene mobile materiale, e vengono consegnate al cessionario, che provvede a pagarle, a titolo di bene compravenduto.

Per la prova di tali requisiti basterà quindi la fattura attiva correttamente compilata (natura, quantità e qualità dei beni, quindi secondo le prescrizioni dell’art. 21 DPR 633/72) che trovi riscontro nei documenti di trasporto.

Con riferimento alla natura di soggetto commerciale dell’acquirente estero, essa non dovrà essere dimostrata se non nei casi particolari, sopra accennati, del cambio di denominazione o di codice ISO cui consegua un erronea indicazione dei dati; in tali fattispecie saranno utili documenti emanati dall’autorità fiscale estera e/o delle locali Camere di Commercio (visure storiche, ecc.) da cui risultino le modifiche dell’attuale società acquirente e la sua derivazione da quella erroneamente indicata, a seguito, si ponga, di un’operazione straordinaria.

Riguardo, infine, alla prova del trasporto, essa risulta spesso l’oggetto del contendere tra amministrazione e contribuenti, tanto da avere causato la pubblicazione, negli ultimi sei anni, di ben tre documenti di prassi in merito e l’instaurazione di una quantità rilevante di contenzioso.

Tutto ciò per un motivo piuttosto banale: sia nell’immediatezza della cessione che, a maggior ragione, a distanza di anni, i cedenti non conservano (o non ottengono) le copie del CMR vistate dal cessionario, che fino ad oggi erano ritenute pressochè indispensabili.

 

 

Il trasporto nello Stato estero: i mezzi di prova ammessi

In questo paragrafo viene elencata in dettaglio la prassi amministrativa sul tema: particolarmente rilevante perché, salvo motivate eccezioni, anche la giurisprudenza ha seguito tali criteri, non ritenendo ad esempio sufficiente la prova del pagamento tramite bonifico al fine di dimostrare l‘avvenuto trasporto nello Stato estero se in difetto di copia vistata del CMR (cfr. ad esempio la recente Cass. 1670/2013).

La prassi amministrativa elenca i seguenti documenti necessari per la prova (cfr. Risoluzione 345/2007):

  1. – Fattura di vendita all’acquirente comunitario, emessa ai sensi dell’art 41 DL 331/93;
  2. -Elenchi riepilogativi relativi alle cessioni intracomunitarie effettuate (comunicazioni Intra);
  3. -Documento di trasporto CMR firmato dal trasportatore per presa in carico della merce e dal destinatario per ricevuta;
  4. – Rimessa bancaria dell’acquirente relativa al pagamento della merce (bonifico).

 

Con riferimento al n. 3 (dando per scontato che gli altri requisiti documentali siano facilmente soddisfabili) è stato spesso ravvisato che il trasportatore, una volta terminata la consegna, non si cura di fornire la terza copia vistata al cedente, con la conseguente irrecuperabilità del documento a distanza di anni.

E’ sulla base di queste considerazioni di fatto che l’Agenzia delle Entrate, sapendo che in alcuni casi il trasportatore non è vincolato da alcun rapporto contrattuale con il cedente, ha ritenuto che in tali fattispecie sia possibile una prova alternativa

“con qualsiasi altro documento idoneo”.

Tale ampia interpretazione, offerta dalla Risoluzione n. 477/2008, è però, per i motivi sopra esposti, tassativamente limitata alle cessioni “franco fabbrica”, ovvero quelle in cui “il cedente si limita a consegnare i prodotti al vettore incaricato dal proprio cliente e molto difficilmente riesce ad ottenere da quest’ultimo una copia del documento di trasporto controfirmato per ricevuta”.

Con riferimento al modello Intra, la mancata trasmissione dello stesso costituisce violazione formale (sanzione senza debito d’imposta) a meno che tale mancata prova si affianchi all’assenza degli altri requisiti (ed in tal caso verrebbe messa in dubbio l’imponibilità dell’operazione).

 

La novità della Risoluzione n. 19 del 25/3/2013

Ad aggiungere un rilevante elemento di novità all’alternativa di prova CMR vistato/cessione franco fabbrica è intervenuta questa recente Risoluzione, che parte dal presupposto generale, esposto dal contribuente nella propria istanza di interpello, secondo cui

“considerate le diverse modalità di trasporto, i diversi trasportatori e le diverse condizioni contrattuali, la documentazione a supporto del trasporto in altro paese europeo può variare da un caso all’altro e può, a seconda dei casi, includere o meno il documento denominato CMR”.

In effetti viene evidenziato che non raramente i trasportatori usano sistemi elettronici per conservare i documenti, ed essi sono privi della copia digitale della sottoscrizione (si pensi ai corrieri espresso); viene inoltre correttamente richiamato il consolidato orientamento della Corte di Giustizia che riconosce la potestà degli Stati membri di richiedere elementi di prova, a patto che gli stessi non consistano in una sorta di onerosa e formalistica “rinascita” degli oneri propri dell’abrogato regime doganale.

Tutto ciò premesso, l’Agenzia ha chiarito:

1- che il CMR elettronico è mezzo di prova equivalente al CMR cartaceo, poiché costituisce un insieme di documenti dal quale si possono ricavare le medesime informazioni presenti nello stesso;

2- che risulta parimenti ammissibile l’utilizzo delle informazioni tratte dal sistema informatico del vettore, da cui risulta che la merce ha lasciato il territorio dello Stato e ha altresì raggiunto il territorio di un altro Stato membro. Ciò a patto che tali informazioni vengano stampate e riprodotte su supporto cartaceo, non possedendo i requisiti di legge dei c.d. documenti informatici;

Va precisato, a commento di tale passaggio, che nella prassi diventa sempre più comune l’esibizione di tali mezzi di prova, definiti dalla Risoluzione come

“un insieme di documenti dal quale si possano ricavare le medesime informazioni presenti sul CMR e le firme dei soggetti coinvolti (cedente, vettore e cessionario)”.

 

Risulta quindi superata la richiesta di copia del CMR anche per le cessioni che non siano avvenute “franco fabbrica”.

 

Rimane un interrogativo; il contribuente, nell’istanza di interpello, ha proposto come sostitutiva della sottoscrizione del cessionario, anche riprodotta elettronicamente, una successiva dichiarazione dello stesso. Su tale proposta l’Agenzia non si è pronunciata.

 

A seguito, tuttavia, delle precisazioni ed equiparazioni effettuate, ed a fronte della tipologia di documenti forniti (fra cui la rilevante presenza del bonifico bancario, e una serie di documenti a rilevanza esterna ed interna redatti – anche elettronicamente – dall’impresa di trasporti, ovvero un soggetto terzo non interessato dall’eventuale contestazione) si ritiene che l’assenza della sottoscrizione per ricevuta potrebbe essere sostituibile dalla documentazione inerente il trasporto estero e dal successivo pagamento dello stesso effettuato dal cedente.

 

A supporto di tale interpretazione si osserva che la suddetta documentazione è atta a provare requisiti sostanziali, a cui non può che essere conseguita la ricezione del bene (poiché pagato con bonifico dal cessionario, senza contestazioni successive) nel territorio estero (poiché trasportato ed in tal senso documentato dal vettore).

Se poi a ciò venisse aggiunta, proprio per i casi diversi dal “franco fabbrica”, la prova del regolare pagamento al vettore da parte del cedente, ben difficilmente si potrebbe sostenere che tale trasporto estero non risulta provato.

 

19 aprile 2013

Antonio Karabastos