Un recente caso di responsabilità professionale ha chiarito un principio cruciale: non è l’errore a determinare il risarcimento, ma solo il danno economico concreto che ne deriva. L’inadempimento, da solo, non basta. Ciò solleva domande decisive su come si valuta il pregiudizio subito dal cliente e su quali limiti incontra davvero la responsabilità del professionista.
Quando l’errore non costa: i limiti del risarcimento professionale
Una recente ordinanza della Cassazione offre un chiarimento essenziale sul tema della responsabilità professionale: l’inadempimento del professionista, da solo, non basta a fondare il diritto al risarcimento. È infatti necessario che dall’omissione derivi un danno patrimoniale concreto, diretto e immediato. Il caso trattato nell’ordinanza riguardava un notaio, ma i principi espressi hanno valore generale e si applicano a ogni professionista.
L’ordinanza ribadisce così che non è l’errore in sé a generare responsabilità, ma la sua effettiva incidenza sul patrimonio del cliente.
In un contributo di pochi giorni fa [Dichiarazione dei redditi: se sbaglia il commercialista, paga (prima) il contribuente],