Favor rei e sanzioni tributarie: la partita è ancora aperta

Una recente pronuncia della Cassazione solleva dubbi sulla legittimità della deroga al principio del favor rei nella riforma delle sanzioni tributarie. Il caso mette in luce un possibile conflitto con i principi costituzionali e lascia intravedere un futuro rinvio alla Consulta. Quale regola prevarrà nel tempo?

Articolo tratto da Blast – Quotidiano di Diritto Economia Fisco e Tecnologia, direttore Dario Deotto

 

Con una recentissima Ordinanza la Corte di cassazione è tornata a occuparsi dell’aspetto “cronologico” della recente riforma delle sanzioni tributarie.

Il caso riguarda un avviso di recupero con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato un (non meglio specificato) credito Ires utilizzato in compensazione, applicando una sanzione pari al 200 per cento del credito medesimo.

La sentenza di primo grado aveva riqualificato il credito come e aveva di conseguenza rideterminato la sanzione applicabile nella misura del 30 per cento. La sentenza di appello, che ha confermato pienamente l’operato dell’Ufficio, è stata impugnata dal contribuente in base a due motivi: il primo, concernente la nozione di credito non spettante come credito “intercettabile” mediante controlli automatizzati e formali; il secondo, concernente il divieto di irrogare la sanzione tributaria in presenza di una condanna, in sede penale, per i medesimi fatti.

Nonostante tale questione non fosse stata sollevata dalla società ricorrente, la Corte ha espresso dubbi in merito alla legittimità della deroga al favor rei stabilita dall’articolo 5 del Dlgs n. 87/2024, e ha rimesso la trattazione del ricorso alla pubblica udienza. Occorre infatti rilevare che, in base alle nuove disposizioni introdotte dal Dlgs n. 87/2024, l’utilizzo in compensazione di un credito inesistente è punito con la sanzione del 70 per cento e non più, come in passato, con una sanzione variabile tra il 100 e il 200 per cento.

La quinta sezione potrebbe ora rimettere gli atti alla Corte Costituzionale, come auspicato da quella dottrina (si vedano, su Blast, gli articoli di Andrea Carinci, di Luigi Lovecchio e di Alberto Calzolari) che ha riscontrato, nella disposizione transitoria dell’articolo 5, una serie di profili a dir poco problematici.

In primo luogo, vi è un chiaro eccesso di delega, rilevante ai sensi dell’articolo 76 Costituzione, poiché l’articolo 20 della L. 111/2023 non aveva affatto “autorizzato” il Governo a derogare al principio del favor rei, previsto da una disposizione di rango ordinario (l’articolo 3, comma 3, del Dlgs n. 472/1997); né la disposizione transitoria può considerarsi un…

…«coerente sviluppo e completamento dei contenuti di indirizzo della delega, nel quadro della fisiologica attività di riempimento che lega i due livelli normativi» (così Corte Cost., 24 giugno 2015, n. 146, e 8 luglio 2020, n. 142).

Vi è, poi, una palese disparità di trattamento rispetto alle sanzioni penali, ove si consideri che anche quelle amministrative presentano una natura afflittiva e quindi “sostanzialmente penale”, secondo i noti criteri Engel elaborati dalla Corte EDU. È particolarmente apprezzabile, sul punto, il passaggio dell’ordinanza in cui si legge che «dovrebbero esserci pochi dubbi sulla natura penale di una sanzione pecuniaria di quasi venti milioni di euro», e si giunge così a evocare il parametro dell’articolo 25 della Costituzione, tra i cui corollari vi è proprio il principio di retroattività della lex mitior, recepito dall’articolo 2, comma 3, del codice penale.

Si consideri poi che la riforma delle sanzioni è stata ispirata all’esigenza di adeguare l’ordinamento al principio di proporzionalità: proprio nella Relazione alla L. 111/2023 si ammette che il sistema previgente aveva raggiunto…

…«livelli intollerabili, che si discostano sensibilmente da quell[i] in vigore in altri Paesi, conducendo a una pretesa complessiva di fatto abnorme e in un disincentivo per il contribuente a esperire la tutela giudiziaria in conseguenza del rischio cui un esito negativo lo esporrebbe».

Messa di fronte al problema, la Corte di cassazione ha inizialmente manifestato un atteggiamento di netta chiusura con la criticabile (e criticata) sentenza n. 1274/2025 con la quale, sostanzialmente, la deroga al favor è stata giustificata con la necessità di rispettare il pareggio di bilancio (o, in altri termini, le “esigenze di cassa”).

Tuttavia, altre pronunce sembravano aver lasciato aperto uno “spiraglio”: in Cassazione n. 2795/2025, subito prima del dispositivo, compare, inaspettata, questa frase:

«Istanza di applicazione del favor rei in materia sanzionatoria, avanzata dai ricorrenti nelle memorie anche con riferimento al d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87, su cui provvederà il giudice del rinvio».

Ancora, in Cassazione n. 2950/2025 (diverso collegio) si legge che:

«inoltre, verificato quale sia la corretta sanzione applicabile, in considerazione del disposto di cui al d.lgs. n. 158 del 2015, occorrerà anche valutare la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente in memoria in relazione alle previsioni di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 87 del 2024». In Cass. n. 14931/2025 si legge che «spetterà al giudice del rinvio valutare l’eventuale applicabilità delle sanzioni, secondo i principi dello ius superveniens, e tenendo presente le prescrizioni limitative emergenti dalla medesima disciplina invocata».

Sembra insomma che la Corte, dopo il primo arresto, in maniera un po’ “pilatesca” abbia voluto fornire un assist alle Corti di merito.

L’ordinanza in commento, invece, affronta direttamente la questione, ma lo fa da un punto di vista inedito. Anziché concentrarsi direttamente sul rapporto tra il principio generale e la (legittimità della) deroga, dopo avere riconosciuto che la sanzione irrogata presenta in concreto una natura sostanzialmente penale e che quindi viene in gioco il principio dell’irretroattività, la Corte fonda le proprie perplessità sul nuovo Testo Unico delle sanzioni.

Infatti, il Dlgs n. 173/2024, che entrerà in vigore il 1° gennaio 2026, ai commi 7 e 8 dell’articolo 38 ha confermato le penalità per la compensazione dei crediti inesistenti e non spettanti così come rimodulate dal Dlgs. n. 5/2024; al contempo, all’articolo 2, comma 3, ha confermato pienamente la regola della retroattività della lex mitior.

Ciò comporta, secondo la Corte, che se il ricorso fosse stato “calendarizzato” in data successiva al 1° gennaio 2026, si sarebbe dovuta applicare la sanzione del 70 per cento; invece, stante la deroga del più volte citato articolo 5, il ricorso dovrebbe essere definito applicando la penalità stabilita ante riforma.

Così, facendo leva da un lato sull’equiparabilità tra sanzioni penali e (formalmente) amministrative, e dall’altro …..

… La versione integrale dell’articolo è pubblicato sulla rivista BLAST, direttore Dario Deotto, alla quale si rimanda, clicca QUI  –>

 

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Andrea Gaeta per Blast – direttore Dario Deotto

Venerdì 20 giugno 2025