partendo da una sentenza di Cassazione proviamo ad indagare quali sono i motivi per cui un’operazione può essere considerata inesistente, con tutti i riflessi fiscali del caso: ad esempio se si riceve una fattura per operazione soggettivamente inesistente si rischia di perdere la deducibilità dell’IVA
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21294 del 20.10.2016, ha stabilito alcune rilevanti considerazioni in tema di operazioni inesistenti.
Nel caso di specie, con avviso di accertamento relativo all’anno 2004, era stata accertata nei confronti di una società, fra l’altro, imposta IVA in relazione a fatture relative ad operazioni inesistenti ed altri costi indeducibili ai fini IRES e IRAP.
Il ricorso della contribuente veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Provinciale, con sentenza poi ribaltata dalla Commissione Tributaria Regionale che accoglieva l’appello del contribuente, ritenendo che la realizzazione di tre corpi di fabbrica (di un complesso turistico alberghiero) faceva presumere l’avvenuta assegnazione dei lavori indicati nelle fatture controverse.
La CTR considerava dunque tale dato oggettivo insuperabile.
E la circostanza che le ditte, di cui alle fatture contestate, non risultavano possedere idonei mezzi meccanici poteva fare presumere che le stesse avessero operato con mezzi meccanici di terzi, ma non poteva inficiare il dato incontrovertibile che le opere fossero state eseguite, posto che tali opere effettivamente esistevano.
Né vi era prova che la società ricorrente conoscesse che i mezzi meccanici erano di terzi soggetti.
L’Agenzia delle Entrate proponeva allora ricorso per cassazione, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art.21 d.p.r. n. 633/1972.
Osservava infatti la ricorrente Amministrazione che era emerso che le tre ditte emittenti le fatture erano prive dei mezzi idonei a svolgere l’esecuzione dei lavori descritti in fattura e che, benché la CTR avesse ritenuto la realizzazione delle opere sufficiente a superare la presunzione di inesistenza delle fatture, nel caso di specie non si trattava di inesistenza oggettiva ma di inesistenza soggettiva delle operazioni.
Con un secondo motivo di censura l’Agenzia denunciava poi la violazione dell’art. 54, c. 2, d.p.r. n. 633/1973, osservando che pareva arduo, alla luce della condizione delle tre ditte emittenti le fatture, che la contribuente non fosse a conoscenza della fittizietà delle fatture.
L’Ufficio, per conto suo, aveva invece fornito la prova della soggettiva inesistenza delle operazioni, laddove la società contribuente avrebbe quindi dovuto provare di non avere avuto conoscenza della falsità delle fatture.
La Commissione Tributaria Regionale, inoltre, secondo l’Agenzia, aveva ritenuto rilevanti circostanze inconferenti quali l’avvenuta esecuzione dei lavori oggetto delle fatture.
I motivi di impugnazione, secondo i giudici di legittimità erano fondati.
La Suprema Corte premette infatti che in tema di IVA, il diritto alla detrazione ex art.
19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, non può prescindere dalla regolarità delle scritture contabili ed in specie della fattura, documento idoneo a rappresentare un costo dell’impresa.
Pertanto, qualora l’Amministrazione contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, relative ad operazioni inesistenti, spetta alla stessa, adducendo la falsità del documento e quindi l’inesistenza di un maggior imponibile, provare che l’operazione commerciale in realtà non è stata mai posta in essere, anche attraverso elementi presuntivi, che il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente.
E solo qualora il giudice di merito ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, consentirà al contribuente, che ne diviene onerato, di provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (fra le tante Cass. 24 luglio 2013, n. 17977).
L’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni (solo) soggettivamente inesistenti e neghi il diritto del contribuente a portare in detrazione la relativa imposta, deve inoltre provare, anche in via indiziarla, che la prestazione non è stata resa dal fatturante, spettando, poi, al contribuente l’onere di dimostrare, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta, di non essere stato in grado di superare l’ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti (Cass. 24 settembre 2014, n. 20059).
Nel caso di specie, dunque, secondo il giudice d’appello la presenza “in loco” del manufatto era elemento sufficiente a dimostrare l’effettività del costo.
Ma secondo la Corte in caso di costi derivanti da operazioni soggettivamente inesistenti deve essere escluso che la presenza “in loco” del manufatto sia elemento probatorio sufficiente a dimostrare l’effettività del costo esposto, in mancanza della prova dell’identità dei soggetti, diversi dagli emittenti delle fatture per operazioni inesistenti, che avrebbero eseguito materialmente l’opera e dell’ammontare dei pagamenti eseguiti in loro favore (cfr Cass. 22 gennaio 2010, n. 1147).
Riconoscendo che la mera presenza del manufatto dimostra l’effettività del costo il giudice tributario non aveva quindi considerato l’onere probatorio del contribuente, che non era quello di opporre l’esistenza fisica del manufatto, la quale, in presenza di ditte emittenti le fatture prive dei mezzi per la costruzione dello stesso, risponde piuttosto all’assolvimento dell’onere probatorio incombente sull’amministrazione.
Il contribuente avrebbe invece dovuto provare l’effettività dell’operazione, non attraverso l’argomento della mera esistenza fisica del manufatto, ma piuttosto dimostrando la non conoscenza delle operazioni pregresse fra esecutore effettivo della prestazione e fatturante. Valutazione questa del tutto mancata nel caso di specie da parte della CTR, la quale, escludendo il profilo dell’inesistenza soggettiva dell’operazione sulla base del mero dato dell’esistenza oggettiva dell’operazione aveva pertanto violato la norma sull’onere della prova.
Il giudice tributario aveva inoltre considerato che la mancanza di mezzi meccanici poteva far presumere l’utilizzo di mezzi di terzi, ma ciò, a suo avviso, non toglieva che le opere erano state eseguite, “posto che tali opere esistono“. Tale conclusione, secondo la Corte, acquistava un carattere apodittico, perché fondava l’effettività del costo sul mero dato dell’esistenza, non comprendendosi quale fosse il procedimento logico che aveva consentito di passare dall’esistenza del manufatto all’esistenza soggettiva dell’operazione.
Né tale salto logico era riempito dall’astratta possibilità dell’utilizzo di mezzi meccanici di terzi, in quanto l’astratta possibilità non vale mai ad integrare la valutazione di circostanze di fatto.
La mancanza di mezzi meccanici era invece indice polivalente, che poteva, al contrario, far presumere che l’opera fosse stata eseguita non dall’emittente la fattura, ma da un terzo.
In tali circostanze, in conclusione, anche a prescindere dal fatto se, effettivamente, la società partecipasse più o meno consapevolmente all’illecito comportamento, le fatture non erano dunque in ogni caso “genuine”, dovendo essere considerate “inesistenti” sotto il profilo soggettivo.
La detrazione IVA è ammessa del resto solo in presenza di fatture provenienti (proprio) dal soggetto che effettua la cessione o la prestazione. Non entrano cioè nel conteggio del dare ed avere, ai fini IVA, le fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, in quanto tali fatture riguardano operazioni, per quanto lo riguarda, inesistenti. Ed a nulla rileva che le medesime fatture costituiscano la “copertura” di prestazioni acquisite da altri soggetti.
In tema di IVA, pertanto, l’emissione della fattura da parte di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione non è riconducibile alla fattispecie, prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 41, c. 3, dell’emissione di fattura recante indicazioni incomplete o inesatte, né a quella, prevista dall’art. 21, c. 2, n. 1, del medesimo D.P.R., di omissione dell’indicazione dei soggetti tra cui e effettuata l’operazione, ma va qualificata come fatturazione di un’operazione soggettivamente inesistente, per la quale deve essere versata la relativa imposta, ai sensi dell’art. 21 cit., non essendo consentita la detrazione di fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto riguardante l’operazione fatturata.
Del resto, sottolinea ancora la Corte Suprema la disposizione di cui all’art. 21, della legge d’imposta (D.P.R. n. 633 del 1972), secondo la quale, se vengono emesse fatture per operazioni inesistenti, l’imposta stessa è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura – va interpretata nel senso che il tributo viene, in realtà, ad essere considerato “fuori conto”, e la relativa obbligazione, conseguentemente, “isolata” da quella risultante dalla massa di operazioni effettuate, ed estraniata, per ciò stesso, dal meccanismo di compensazione (tra IVA “a valle” ed IVA “a monte”) che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19, D.P.R. cit.; e ciò anche perché l’emissione di fatture per operazioni inesistenti ha sempre costituito condotta penalmente sanzionata come delitto (cfr Cass. nn. 247/09; 309/06, 7289/01).
D’altronde, tutto il complesso sistema dell’IVA poggia proprio sul presupposto che l’imposta sia versata a chi ha eseguito prestazioni imponibili (che a sua volta potrà compensarla con l’Iva versata per l’acquisto di beni e di servizi); invece, il versamento dell’Iva ad un soggetto che non sia la genuina controparte apre necessariamente la strada al recupero indebito dell’Iva stessa.
Il diritto alla detrazione non sorge infatti per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente indicata in fattura (vedi anche Corte Giust. 13.12.1989, causa C 342/87), richiedendosi, altresì, che l’imposta sia effettivamente corrispondente ad operazione soggetta all’IVA.
7 ottobre 2017
Giovambattista Palumbo