Motivazione per relationem su atti dell'amministrazione di altro Paese

la possibilità di motivare validamente il PVC basandolo su atti dell’amministrazione di altro Paese, anche se nè tradotti nè allegati; nel caso di specie: verbali delle indagini operate dall’organo investigativo inglese nei confronti della società pretesa venditrice delle autovetture rivendute in regime del margine

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26471 del 17 dicembre 2014 (ud. 12 maggio 2014, in senso conforme cass. n. 26472 di pari data) ha aggiunto un ulteriore tassello alla questione relativa alla motivazione per relationem.

Il caso

La CTR ha ritenuto validamente motivati per relationem gli atti impositivi impugnati dal contribuente, sebbene ad essi non fossero allegati (con la relativa traduzione integrale) nè trascritti interamente, i verbali delle indagini operate dall’organo investigativo inglese nei confronti della società pretesa venditrice delle autovetture dal contribuente rivendute in regime del margine.

La pronuncia della Cassazione

La Corte, innanzitutto, dà atto che gli atti impostivi sono stati motivati, nel caso di specie, con rinvio espresso al processo verbale di constatazione, che è stato regolarmente notificato/consegnato al contribuente e che, quindi, costituisce un atto legalmente conosciuto dal medesimo. E detto processo verbale contiene un chiaro riferimento alle indagini esperite “dall’organo collaterale inglese“.

Rileva la Corte che l’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo di motivazione ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente medesimo in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l’an ed il quantum debeatur.

Tale atto deve ritenersi, pertanto, correttamente motivato – anche nel regime di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7 – ove esso faccia riferimento ad un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza regolarmente notificato o consegnato all’intimato, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria non è tenuta affatto ad includere nell’avviso di accertamento notizia delle prove poste a fondamento del verificarsi di taluni fatti, nè a riportarne, sia pur sinteticamente, il contenuto (Cass. 6232/03; 7360/11)”.

Pertanto, una volta che, attraverso il processo verbale di constatazione il contribuente è stato messo in condizioni di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, l’Amministrazione finanziaria non è obbligata ad indicare compiutamente, o a trascrivere negli atti impositivi, le risultanze delle indagini svolte dallo “organo collaterale inglese” (nel caso di specie).

Aggiunge la Corte che, in tema di accertamento in rettifica ai fini IVA, tra gli “altri atti o documenti” in possesso dell’Amministrazione sui quali può fondarsi l’accertamento, ai sensi dell’art. 54, c. 3, D.P.R. n. 633 del 1972, rientrano anche le informative di amministrazioni estere riguardo ad indagini che, per essere svolte in territorio estero in materia di imposte armonizzate, non potrebbero essere compiute dall’Amministrazione italiana.

L’efficacia probatoria di tale fonte deriva dal sistema stesso dell’IVA, quale imposta armonizzata, e trova fondamento oltre che nelle norme di diritto sostanziale, nella Direttiva 19.12.1977, n. 77/799/CEE (come modificata dalla Direttiva 6 dicembre 1979, n. 79/1070/CEE) e nel Regolamento CEE 27.01.1992, n. 218/92, “con la conseguenza che l’efficacia probatoria di dette informative prescinde dall’indicazione delle concrete modalità di assunzione delle dichiarazioni stesse (cfr. Cass. 3427/10; 21352/12)”.

Osserva la Corte che la nullità della motivazione non può, invero, derivare neppure dalla dedotta violazione dei succitati art. 7 della Direttiva 799/77 e art. 9 Reg. 21892. Infatti, “le norme comunitarie suindicate – che sanciscono, in via di principio, l’obbligo della segretezza delle informazioni acquisite da altri Stati in forza della reciproca assistenza prevista dalle stesse disposizioni, rispettivamente in materia di imposte dirette e di imposte indirette – non prevedono … forme vincolate circa l’accesso e l’utilizzazione delle informazioni acquisite in sede di indagini da altri Stati. Dette informazioni … ‘devono essere accessibili’ – in via derogatoria rispetto al generale obbligo di segretezza – ‘soltanto alle persone interessate’ alle operazioni di accertamento o di controllo amministrativo dell’accertamento dell’imposta o della base imponibile. Le stesse informazioni, poi, ‘sono rese note’ o ‘utilizzate’ in occasione di procedimenti giudiziari o amministrativi che comportino l’applicazione di sanzioni, incardinati ai fini dell’accertamento o del controllo delle imposte, e – stante il disposto dell’art. 7 Direttiva 799/77 – possono essere acquisite perfino nel corso di pubbliche udienze o nelle sentenze emesse all’esito di tali procedimenti”.

Nel caso concreto, il contribuente ha avuto integrale contezza dei verbali degli atti ispettivi britannici all’atto della costituzione dell’Ufficio in primo grado, oltre ad apprenderne il contenuto essenziale dallo stesso avviso di accertamento.

Rileva la Corte che in tal senso si è, del resto, espressa anche la Corte di Giustizia di Lussemburgo, la quale ha recentemente statuito che il diritto al contraddittorio non conferisce al contribuente “il diritto di essere presente alle indagini svolte in altri Stati, e neppure alla richiesta di tali indagini formulata dallo Stato di appartenenza; nè – tanto meno – il diritto al contraddittorio conferisce al contribuente il diritto ad essere sentito o informato prima della trasmissione delle risultanze di tali indagini, da parte dello Stato richiesto, allo Stato richiedente. Ma neppure le norme comunitarie succitate prevedono formalità specifiche di trasmissione e comunicazione dei risultati delle indagini estere, nè impongono ‘alcun obbligo particolare quanto al contenuto’ (fonte delle informazioni, modalità di acquisizione, ed altro) di tale comunicazione, poiché – come affermato dalla Corte europea – ‘spetta solo agli ordinamenti nazionali fissare le relative norme’“.

Le predette disposizioni comunitarie, inoltre, non disciplinano in alcun modo le condizioni alle quali il contribuente può contestare i risultati di tali indagini, una volta che gli siano state portate a conoscenza, essendo tale contestazione operabile “secondo le norme e le procedure applicabili nello Stato membro interessato” (cfr. C. Giust. 22.1.2013, C-276/12, Jirì Sabou).

Per la Corte, quindi,

se ne deve necessariamente inferire che anche per il diritto comunitario è sufficiente che le informazioni, ottenute a seguito di indagini esperite da organismi esteri, siano in qualsiasi modo rese accessibili al contribuente, anche in forma riassuntiva, e che il medesimo possa contestarle, attraverso l’impugnazione dell’atto impositivo che le recepisce. Sicchè, anche sotto tale profilo, il dedotto vizio di motivazione degli atti impositivi non può ritenersi sussistente”.

Nel caso concreto, oltretutto, l’atto impositivo risulta dotato di una motivazione strutturalmente indipendente dal rinvio a tali indagini, indicate soltanto come elementi ulteriori (“tenuto conto, inoltre, che“) di valutazione per l’Ufficio, essendosi, per contro, gli avvisi di accertamento fondati soprattutto sull’esame delle carte di circolazione dei veicoli e sulle fatture di acquisto degli stessi, operato dai verbalizzanti.

Per cui, conclude la Corte, “la validità degli atti impositivi, anche a prescindere dall’allegazione dei verbali di ispezione esteri, ne risulta ulteriormente confermata. Non può revocarsi in dubbio, infatti, che l’avviso di accertamento contenente nella sua giustificazione il riferimento ad atti procedimentali propri della fase istruttoria, ma dotato di una motivazione strutturalmente indipendente da essi, è validamente notificato al contribuente anche senza l’allegazione degli atti menzionati (Cass. 729/10)”.

21 maggio 2015

Roberta De Marchi