Lo scudo fiscale vale! Il Fisco non può accertare maggiori redditi verso contribuenti che se ne sono avvalsi

Gli effetti previsti dalle disposizioni sullo “scudo fiscale” permettono di difendersi dall’accertamento…

L’art. 13bis della Legge 3/8/2009 n. 102, in conversione del D.L. 78 dell’1/7/2009, ha concesso ai contribuenti la possibilità di rimpatriare oppure regolarizzare eventuali attività detenute all’estero a fronte del pagamento di un’imposta straordinaria.

A mente del comma 4 dello stesso articolo 13bis, che a sua volta richiama le disposizioni della prima versione dello “scudo fiscale” – articoli 14 e 15 legge 23/11/2001 n. 409 -, l’effettivo pagamento dell’imposta produce determinati effetti:

  1. preclude nei confronti del dichiarante e dei soggetti solidalmente obbligati, ogni accertamento tributario e contributivo per i periodi d’imposta per i quali non è ancora decorso il termine per l’azione di accertamento, limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio;

  2. estingue le sanzioni amministrative, tributarie e previdenziali e quelle previste per la mancata compilazione del quadro RW;

  3. esclude la punibilità per i reati di cui agli articoli 4 e 5 del D.Lgs. 74/2000.

 

Il comma 6 dell’articolo 14 della Legge 409/2001 è molto chiaro: “In caso di accertamento, gli interessati possono opporre agli organi competenti gli effetti preclusivi e estintivi (…) in relazione all’ammontare delle attività indicato nella dichiarazione riservata (…). Previa adesione dell’interessato, le basi imponibili fiscali e contributive determinate dalle amministrazioni competenti sono definite fino a concorrenza degli importi dichiarati”.

La circolare n. 99/E del 4 dicembre 2001 ha precisato che la preclusione opera automaticamente, senza necessità di prova specifica da parte del contribuente, in tutti i casi in cui sia possibile, ANCHE ASTRATTAMENTE, ricondurre gli imponibili accertati alle somme o alle attività costituite o detenute all’estero oggetto di rimpatrio o regolarizzazione; l’effetto preclusivo dell’accertamento potrà pertanto essere opposto ad esempio in presenza di contestazioni dell’agenzia delle Entrate basate su ricavi o compensi occultati.

Ad ulteriore precisazione, la circolare n. 43/E del 10/10/2009 ha precisato che gli accertamenti sono preclusi anche con riferimento a tributi diversi dalle imposte sui redditi, sempreché si tratti di accertamenti relativi ad “imponibili” che siano riferibili alle attività oggetto di emersione, precisando che la preclusione opera automaticamente, senza necessità di prova specifica da parte del contribuente, in tutti i casi in cui sia possibile, “anche astrattamente”, ricondurre gli imponibili accertati alle somme o alle attività costituite all’estero oggetto di rimpatrio.

Nel corso del 2010 l’Agenzia delle Entrate ha poi emanato, tra le altre, un’altra circolare sullo scudo fiscale, la n. 52 dell’8/10, con la quale ha chiesto agli uffici periferici di porre in essere una serie di precise valutazioni ed adempimenti, qualora il contribuente opponga gli effetti preclusivi agli accertamenti in forza dell’avvenuta presentazione dello scudo fiscale:

  1. acquisizione di copia della dichiarazione riservata e di elementi sintetici di riscontro;

  2. verifica dell’esistenza del presupposto impositivo

  3. verifica del requisito della residenza in Italia

  4. verifica della effettività della detenzione all’estero delle attività indicate nella dichiarazione riservata

  5. verifica della effettività del rimpatrio o regolarizzazione

  6. verifica dell’assenza di cause ostative per gli effetti preclusivi ed estintivi.

 

Tra i controlli di cui alla precedente lettera d) la circolare richiede di confermare che le attività dichiarate in fase di rimpatrio o regolarizzazione non erano già detenute in epoca antecedente al periodo d’imposta oggetto del controllo, sostenendo che in ipotesi contraria, le stesse non possono ritenersi “astrattamente riferibili” agli imponibili relativi al detto periodo con la conseguente inopponibilità del relativo rimpatrio. Qualora ritenuto necessario per integrare il quadro informativo, si procede alla richiesta di ulteriore documentazione idonea a comprovare l’effettiva sussistenza di circostanze rilevanti ai fini della verifica in parola. Qualora il contribuente non fornisca collaborazione, ragionando sul rimpatrio, l’Agenzia dovrà chiedere all’intermediario che si è occupato materialmente di ricevere il denaro o titoli dall’estero di fornire informazioni in ordine alle attività prese in carico ed alla loro provenienza.

L’intermediario però potrà fornire i dati che ha a disposizione, che relativamente al classico caso del rimpatrio del denaro, saranno limitati alla conoscenza dell’importo e del luogo “di partenza”; intermediario non ha lo storico dei movimenti del denaro avvenuti all’estero.

Ma dalla lettura della circolare 52 del 2010 sembra intravedersi la volontà dell’Agenzia delle Entrate di stringere le maglie delle disposizioni fissate dalla legge, attraverso la richiesta al contribuente di una sorta di dimostrazione del collegamento tra il possesso delle somme all’estero (poi oggetto di rimpatrio o regolarizzazione) ed i redditi che l’Ufficio va ad accertare.

Ad esempio viene chiesto al contribuente di documentare che le somme rimpatriate non erano già detenute in epoca antecedente al periodo d’imposta oggetto del controllo sostenendo che, in ipotesi contraria, le stesse non possono ritenersi “astrattamente riferibili” agli imponibili relativi al detto periodo con la conseguente inopponibilità del relativo rimpatrio.

Se ad esempio viene notificato al contribuente un accertamento di maggiori redditi per l’anno 2007 e viene richiesta al contribuente l’esibizione, la dimostrazione, di documentazione e da questa risultasse che il contribuente ha “portato all’estero” del denaro nell’anno 2006, sembra che l’agenzia voglia poter sostenere che il contribuente è accertabile in quanto il denaro inviato all’estero nel 2006 non ha a che fare con un’eventuale evasione fiscale del 2007.

Ma tutto questo controllo non è previsto dalle disposizioni legislative e non può certo essere l’Agenzia con una circolare, che rappresenta solo una direttiva interna alla stessa, a modificare ciò che era stabilito dal Legislatore!

Questo aspetto è particolarmente importante perché attualmente gli uffici dell’Agenzia delle Entrate, quando si trovano di fronte alla presentazione dello scudo fiscale da parte dei contribuenti, stanno chiedendo la presentazione di documentazione non prevista dalla legge. In particolare viene richiesto al contribuente che abbia opposto lo scudo di produrre documentazione idonea a comprovare che le somme rimpatriate si riferiscono ad attività detenute non prima del periodo d’imposta oggetto di controllo.

Ma il contribuente potrebbe non essere in possesso di tale documentazione, non è sempre così agevole rimediarla, dall’estero. E inoltre questo vincolo non è richiesto da alcuna disposizione legislativa.

Come già più sopra evidenziato la disposizione di legge applicabile è quella contenuta nel comma 6 dell’articolo 14/409: in caso di accertamento, gli interessati possono opporre agli organi competenti gli effetti preclusivi e estintivi in relazione all’ammontare delle attività indicato nella dichiarazione riservata; le basi imponibili fiscali e contributive determinate dalle amministrazioni competenti sono definite fino a concorrenza degli importi dichiarati.

La legge non richiede l’esibizione di altra documentazione e qualora l’amministrazione intenda comunque procedere all’emissione di un accertamento, si ritiene che in sede di contenzioso il giudice tributario dovrà semplicemente verificare che lo scudo fiscale sia stato regolarmente presentato e l’imposta straordinaria richiesta sia stata regolarmente versata, oltre naturalmente alla verifica degli altri requisiti formali della residenza in Italia o dell’assenza di cause ostative.

Un’altra affermazione innovativa rispetto ai dettami della legge e contenuta nella circolare 43/E è quella che obbliga al contribuente che intende opporre agli organi competenti gli effetti preclusivi ed estintivi delle operazioni di emersione deve farlo in sede di inizio di accessi, ispezioni e verifiche ovvero entro i trenta giorni successivi a quello in cui l’interessato ha formale conoscenza di un avviso di accertamento o di rettifica o di un atto di contestazione di violazioni tributarie, compresi gli inviti, i questionari e le richieste di cui agli articoli 51/633 e 32/600.

Tutte queste disposizioni contenute nella citata circolare dell’Agenzia delle Entrate non sono contenute in disposizioni di legge e si deve pertanto ritenere che il contribuente non è tenuto al rispetto di questo termine: potrà presentare lo scudo fiscale anche successivamente. In ogni caso poi non si vede come sia possibile da parte degli uffici pretendere addirittura che il termine di trenta giorni sia perentorio!

 

7 marzo 2011

Roberto Pasquini