In caso di crisi di azienda, mantenere aperta l’attività nonostante la conclamata insolvenza può comportare la bancarotta semplice per l’imprenditore, anche se lo scopo è il mantenimento dei posti di lavoro.
La prosecuzione dell’attività d’impresa in condizioni di grave dissesto finanziario non sempre è segno di coraggio o di responsabilità sociale. In alcuni casi, infatti, la scelta di garantire i livelli occupazionali e continuare a “tenere in piedi” l’azienda può tradursi in un comportamento penalmente rilevante. Lo ricorda la Cassazione penale con la recente sentenza n. 29457/2025, nella quale viene messo in luce come l’ostinato prosieguo di un’attività senza prospettive concrete di risanamento si configuri come una condotta imprudente, idonea a integrare il reato di bancarotta semplice.
Nei casi di grave dissesto finanziario, l’operazione di prosieguo dell’attività, tutelando quindi il lavoro dei dipendenti, non basta per la legittimità della operazione, potendo invece portare a responsabilità penali in capo all’amministratore. Un esempio viene fornito da una recente sentenza della Cassazione, sezione penale n. 29457/2025.
Il caso: dal salvataggio dei posti di lavoro alla bancarotta
La società in questione, a causa di un ritardo negli incassi, aveva accumulato un rilevante credito, che a sua volta aveva provocato nel corso degli anni un forte squilibrio finanziario con accumulo di ingenti debiti verso i fornitori, verso l’Erario e verso l’Inail.
In tale situazione, la Corte d’appello ha ritenuto la condotta tenuta dall’imputato amministratore contraria alle regole di buona amministrazione. Egli, nonostante fosse consapevole della grave situazione debitoria in cui versava la Società, aveva scelto di preservare e garantire lo stato occupazionale della società, proseguendo l’attività. Tale scelta si era rivelata azzardata e imprudente, in quanto l’esposizione debitoria della società era divenuta insostenibile.
La bancarotta semplice
Concordemente, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di bancarotta semplice, le operazioni di grave imprudenza sono quelle caratterizzate da alto grado di rischio, prive di serie e ragionevoli prospettive di successo economico e che, avuto riguardo alla complessiva situazione dell’impresa, oramai votata al dissesto, hanno il solo scopo, che deve essere riscontrato in sede di accertamento giudiziale del dolo, di ritardare il fallimento.
Sono gravemente imprudenti le operazioni finalizzate a ritardare il fallimento e caratterizzate da grave avventatezza o spregiudicatezza, che superino i limiti dell’ordinaria “imprudenza”, con ciò intendendosi il comportamento che, secondo la comune logica imprenditoriale, può a volte giustificare il ricorso, da parte dell’imprenditore che versi in situazione di difficoltà economica, ad iniziative “coraggiose”, da extrema ratio, ma ragionevolmente dotate di probabilità di successo, al fine di scongiurare il fallimento.
Si ritiene altresì necessario l’elemento soggettivo, consistente nella presenza del carattere doloso delle condotte.
A poco è valsa, come afferma l’imputato in sua difesa, la predisposizione di un piano di risanamento della società e la proposta di transazione fiscale; anzi, proprio essere stato a conoscenza dell’insuccesso di tali tentativi, e consapevole delle condizioni economiche in cui versava la società, l’imputato non ha adottato alcuna strategia, né intrapreso alcuna iniziativa per scongiurare il fallimento, ovvero cessare l’attività, continuando invece a mantenere gli stessi livelli occupazionali, nonostante l’assenza di prospettive di risanamento e pur a fronte della crescita del debito verso l’Erario.
Proprio detta consapevolezza è espressione della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
A nulla rileva la circostanza che l’amministratore abbia agito nell’interesse dell’azienda, posto che ciò che caratterizza la bancarotta semplice è che l’agente pone in essere operazioni imprudenti ma pur sempre nell’interesse dell’impresa, a differenza della fraudolenta, nella quale l’agente agisce perseguendo un interesse proprio o di terzi estranei all’impresa.
La tutela dell’occupazione, seppur nobile, non è una decisione che giustifica la prosecuzione di un’attività ormai destinata al tracollo. In assenza di serie e ragionevoli prospettive di successo, l’amministratore che decide di continuare l’impresa non si pone come salvatore dei lavoratori, ma come autore di condotte imprudenti e dolose che aggravano il dissesto. Una lezione severa che segna il confine tra l’imprenditore coraggioso e quello penalmente responsabile.
NdR. False comunicazioni sociali e bancarotta fraudolenta impropria
Lunedì 1 Settembre 2025
Danilo Sciuto