La politica monetaria restrittiva della BCE ha portato a una riduzione di 40 miliardi di euro nel credito concesso a famiglie e imprese, costringendole a utilizzare le risorse finanziarie già accumulate. Esaminiamo i numeri di un periodo finanziariamente complesso, caratterizzato da inflazione e tassi d’interesse elevati, che si spera sia ormai superato.
L’aumento del costo del denaro ha determinato un credit crunch, ossia una stretta creditizia sui prestiti erogati. Imprese e famiglie sono state costrette ad attingere alle proprie riserve, arrivando a prelevare qualcosa come 41 miliardi di euro dai propri conti corrente, per riuscire a far fronte ai maggiori costi determinati dall’inflazione.
A scattare questa fotografia è una recente analisi effettuata dal Centro Studi Unimpresa.
Ma entriamo nel dettaglio e scopriamo cosa è accaduto.
Inflazione, quale impatto ha avuto sulle imprese?
Le banche hanno erogato meno prestiti alle imprese e alle famiglie, che hanno dovuto attingere alle proprie riserve per riuscire a far fronte alle conseguenze dell’inflazione e per compensare il credit crunch.
Nel corso dell’ultimo anno, complice l’aumento del costo del denaro, i finanziamenti bancari sono diminuiti: lo stock è sceso a quota 1,275 miliardi di euro registrando un calo del 3% pari a quasi 40 miliardi di euro. Una cifra che, grosso modo, risulta essere pari alla riduzione dei depositi e dei conti correnti di imprese e famiglie, che sono calati sostanzialmente del 2% con prelievi totali che sono arrivati a quota 41 miliardi di euro.
Il totale delle riserve, ora come ora, è sceso sotto quota 2mila miliardi di euro.
A pesare sulle scelte di imprese e famiglie è stata la politica intrapresa dalla BCE, che ha reso più costoso e meno accessibile il credito per imprese e famiglie.
Per rispondere in modo adeguato a questa situazione e, soprattutto per compensare l’impennata dei prezzi, le imprese e le famiglie hanno dovuto iniziare ad attingere alle proprie riserve per far fronte alle esigenze quotidiane e per creare un adeguato cuscinetto contro l’inflazione.
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Meno prestiti a famiglie e imprese un po’ di numeri
Secondo l’analisi effettuata dal Centro Studi Unimpresa i prestiti alle aziende effettuate a breve termine – fino ad un anno – hanno registrato un lieve aumento dello 0,59%, passando da 139,86 miliardi di euro a 140,68 miliardi di euro. Rimangono sostanzialmente invariati i finanziamenti a medio termine – fino a cinque anni -, che sono aumentati solo e soltanto dello 0,12%.
Cambia la situazione per i crediti a medio termine – oltre i 5 anni – per i quali è stata registrata una significativa riduzione del 7,79%, scendendo al di sotto dei 314,71 miliardi di euro da 341,28 miliardi di euro. Complessivamente, gli impieghi totali alle aziende sono diminuiti del 4,02%, attestandosi a 611,17 miliardi di euro.
I numeri della raccolta
Il Centro Studi Unimpresa rileva che per quanto riguarda la raccolta, i dati mettono in evidenza un leggero aumento dei depositi delle aziende (+0,21%), che hanno raggiunto 409,48 miliardi di euro. In contrasto, le riserve delle famiglie sono diminuite del 2,54%, scendendo a 1.119,67 miliardi di euro. I fondi delle imprese familiari sono calati del 3,87%, attestandosi a 84,03 miliardi di euro.
“I risparmi accumulati sono stati utilizzati per compensare la mancanza di nuovi finanziamenti e per mantenere il potere d’acquisto in un contesto di prezzi in aumento – spiega Giuseppe Spadafora, vicepresidente di Unimpresa -.
I nostri dati, andando più a fondo con l’analisi, mettono in luce un comportamento discutibile da parte delle banche e una politica monetaria della Banca centrale europea che solleva forti critiche.
Le banche, approfittando dei tassi di interesse più alti, hanno aumentato il loro margine d’interesse, sfruttando la situazione a loro esclusivo vantaggio.
Questa strategia, orientata al profitto a breve termine, ha ignorato deliberatamente gli effetti negativi sull’economia reale.
L’aumento del costo dei finanziamenti ha infatti reso più difficile per le imprese ottenere il credito necessario per investire e crescere, e per le famiglie finanziare spese essenziali come l’acquisto di una casa o il consumo di beni durevoli”.
Spadafora osserva infine che:
“Le banche hanno preferito accumulare riserve piuttosto che sostenere l’economia, contribuendo a una contrazione del credito che ha soffocato la crescita economica e aumentato l’incertezza nel mercato.
Questo comportamento opportunistico non solo danneggia l’economia, ma mina anche la fiducia dei consumatori e degli imprenditori nel sistema bancario.
Parallelamente, la politica monetaria della Bce ha aggravato la situazione. L’aumento rapido e significativo del costo del denaro ha imposto ulteriori pressioni sui finanziamenti, aggravando le difficoltà per il settore privato. Il successivo taglio del tasso di interesse di 25 punti base deciso lo scorso 6 giugno, per quanto benvenuto, è risultato troppo piccolo e tardivo per invertire i danni già inflitti.
La Bce ha dimostrato una mancanza di visione strategica, ignorando l’impatto delle sue decisioni sull’economia reale e agendo in modo reattivo anziché proattivo”.
Pierpaolo Molinengo
Sabato 15 Giugno 2024