L’Ispettorato del Lavoro talvolta annulla ingiustamente i contratti dei familiari dei soci di S.r.l., senza verificare adeguatamente le attività svolte. La giurisprudenza supporta la validità di questi rapporti lavorativi, anche se l’onere della prova spetta all’Istituto. Gli ispettori spesso non conducono le dovute verifiche, una prassi che solleva dubbi. Non sarebbe il caso di rivedere questi standard procedurali per garantire equità e giustizia nelle valutazioni?
Sempre più spesso l’Ispettorato del Lavoro procede all’annullamento dei rapporti di lavoro subordinato dei familiari di soci di SRL senza la doverosa verifica della natura dell’attività effettivamente svolta dal dipendente familiare del socio nell’organizzazione aziendale.
Secondo la dottrina tale modus operandi appare singolare tenuto conto che l’onere probatorio processuale, rimane in capo all’Istituto.
La subordinazione del familiare del socio di maggioranza di SRL
Affinché la prestazione lavorativa in regime di subordinazione possa essere pienamente assoggettata al potere direttivo e decisionale dell’imprenditore è indispensabile, come principio generale, che esista un organo (gestionale) dell’impresa capace di intervenire in qualsiasi momento sulle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.
Nulla esclude che, nei rapporti interni, sussistano rapporti obbligatori tra le due persone (giuridica e fisica) e, in particolare il rapporto di lavoro subordinato.
Per esempio, è certamente ammissibile l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato tra il socio di maggioranza e l’ente giuridico partecipato; ciò stante il prevalente orientamento di legittimità secondo cui:
“…In tema di rapporto di lavoro alle dipendenze di una società di capitali, come non sussiste alcuna incompatibilità di principio tra la qualità di componente (non unico) dell’organo di gestione e quella di lavoratore subordinato alle dipendenze della società, allo stesso modo non vi sono ostacoli alla configurabilità di un siffatto rapporto fra la società e il socio titolare della maggioranza del capitale sociale, neppure quando la percentuale del capitale detenuto corrisponda a quella minima prevista per la validità delle deliberazioni dell’assemblea,