La Cassazione conferma la tassabilità delle plusvalenze da cessione di calciatori per l’IRAP, contrastando le teorie che negavano tale rilevanza. La Corte sottolinea la legittimità di sanzioni per società che omettevano tali plusvalenze dall’imposizione, basandosi sulla natura contrattuale dei trasferimenti e sulle raccomandazioni contabili della FIGC.
La Corte di Cassazione ancora una volta è tornata sul tema della rilevanza delle plusvalenze ai fini Irap conseguenti alla cessione dei calciatori tra club professionistici. La sentenza pubblicata il 26 febbraio scorso si espressa favorevolmente alla tassazione dei predetti componenti straordinari.
Plusvalenza sulla cessione di calciatori e IRAP: la lunga querelle
La questione ha animato per diverso tempo il contenzioso tra fisco e società calcistiche, ma l’orientamento che si va consolidando nel tempo è oramai favorevole all’Agenzia delle entrate.
La questione trae origine da un parere commissionato dalla FIGC ad un noto professionista che sulla base di una specifica costruzione ha sostenuto l’irrilevanza delle plusvalenze.
In realtà, secondo il parere favorevole alle società di calcio la società che “acquistava” l’atleta non pagava il corrispettivo relativo alla cessione di contratto.
La somma corrisposta aveva una causale completamente diversa, ed in particolare rappresentava il corrispettivo pagato al club che originariamente tesserava l’atleta per ottenere la risoluzione del contratto.
Successivamente, dopo l’avvenuta risoluzione, l’atleta era completamente “libero” di stipulare un nuovo contratto con il club che avrebbe dovuto tesserarlo.
I contenuti del nuovo contratto erano completamente diversi dal precedente e sulla base di questo schema il parere sosteneva che in realtà la variazione di tesseramento non trovava origine nella cessione del precedente contratto, ma era la conseguenza dell’avvenuta e precedente risoluzione.
Conseguentemente, la somma pagata dalla nuova società a quella che originariamente tesserava l’atleta non aveva natura di plusvalenza e avrebbe dovuto essere completamente esclusa dall’imposizione.
L’Agenzia delle entrate, invece, non ha mai condiviso le argomentazioni di cui al citato parere. La Risoluzione n. 213/2001 non solo si è espressa favorevolmente alla tassazione delle plusvalenze, ma ha anche rilevato la mancanza delle obiettive condizioni di incertezza.
Pertanto, avrebbero potuto essere legittimamente irrogate le relative sanzioni nei confronti delle società che non hanno sottoposto all’Irap dovuta le plusvalenze così realizzate.
La sentenza di Cassazione
La suprema Corte ha effettuato una minuziosa ricostruzione dell’operazione, ed in particolare dello schema contrattuale adottato.
Secondo il giudice di legalità, in caso di cessione dell’atleta prima dello spirare del contratto, la procedura di trasferimento tra i due club è la seguente: il calciatore, la società di provenienza e la società di destinazione redigono, a pena di nullità, un accordo scritto di cessione di contratto denominato “variazione di tesseramento per calciatori professionisti”.
La società di provenienza e la società di destinazione redigono e allegano un documento in bollo che riporta importo e modalità del prezzo di cessione dovuto.
La società di destinazione e il calciatore redigono un atro modulo federale in cui viene definito il compenso al calciatore, la quota dovuta al procuratore, la scadenza del nuovo contratto ed ulteriori clausole accessorie.
Secondo quanto affermato dalla Suprema Corte lo schema così definito è riconducibile nell’ambito della cessione di contratto: ciò in quanto la società di provenienza (che tesserava l’atleta prima della cessione) cede alla nuova società, con il consenso del calciatore, la propria posizione contrattuale, ed in particolare il diritto esclusivo a fruire delle prestazioni sportive dell’atleta
Lo schema è quindi quello tipico dell’art. 1406 del codice civile.
D’altra parte, alcuni elementi a sostegno della soluzione della Suprema Corte si desumono anche dalle raccomandazioni contabili della FIGC.
Secondo quanto precisato dalla Federazione:
“i diritti pluriennali alle prestazioni dei calciatori rappresentano una particolare tipologia di immobilizzazione immateriale costituita da costi che non esauriscono la loro utilità in un solo periodo ma che manifestano i benefici economici lungo un arco temporale di più esercizi”.
Le stesse raccomandazioni chiariscono ulteriormente che le società di calcio possono acquistare il diritto alle prestazioni sportive dei calciatori attraverso la “cessione del contratto”.
Ciò a conferma della soluzione prospettata dalla Suprema Corte. Nello stesso senso si è espressa anche la sentenza n. 661/2023.
Fonte: Corte di Cassazione, Sentenza n. 5068 del 26 febbraio 2024.
Nicola Forte
Sabato 16 marzo 2024