L’autotutela è una pratica comune nei rapporti tra Fisco e contribuenti, tuttavia spesso l’istanza di autotutela rischia di non avere gli effetti dovuti. Approfondiamo quali sono i limiti attuali di tale istituto.
L’istituto dell’autotutela è molto utilizzato nella prassi dei rapporti con l’Agenzia delle entrate. Sovente, in caso di ricezione di un atto illegittimo, il contribuente chiede lo sgravio invocando tale istituto, a volte con esito positivo, altre con esito negativo.
I limiti dell’autotutela
Ma l’istituto dell’autotutela ha un gravissimo “difetto”, ossia quello di non sospendere in alcun modo i termini per proporre ricorso.
Pertanto, ben può accadere che, nelle more dell’attesa di una risposta, gli atti diventino definitivi, ossia non più impugnabili, per decorso del termine.
In quel caso, si è posto il problema di impugnare il (verosimile) diniego dell’annullamento dell’atto, in quanto divenuto appunto definitivo.
Il parere della Cassazione
La Corte di cassazione, con due recenti ordinanze, la n. 28134 e la n. 28105, è tornata a esprimersi sui presupposti di tale impugnazione.
I giudici di legittimità evidenziano che anche la Corte costituzionale ha evidenziato come, tenuto conto del carattere discrezionale dell’autoannullamento tributario, questo non costituisce un mezzo di tutela del contribuente, bensì dell’interesse pubblico alla rimozione dell’atto.
Non va trascurato il fatto che altri interessi possono e devono concorrere nella valutazione amministrativa, e fra essi certamente quello alla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico, inevitabilmente compromessa dall’annullamento di un atto inoppugnabile.
Tale interesse, rileva la Cassazione, richiede quindi di essere bilanciato con tutti gli altri interessi in gioco, secondo il meccanismo proprio della valutazione comparativa.
I limiti del sindacato del giudice tributario
Nel processo tributario, pertanto, il sindacato sull’atto di diniego dell’Amministrazione di procedere ad annullamento del provvedimento impositivo in sede di autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustifichino l’esercizio di tale potere, che si fonda su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente.
Inoltre, le ragioni collegate al principio di capacità contributiva non ricorrono ove il contribuente deduca, in astratto, la violazione del diritto a una tassazione conforme al principio di capacità contributiva, attenendo le stesse censure a un pregiudizio e interesse individuale e non appunto alla tutela di un interesse generale.
Con riguardo ai limiti del sindacato del giudice tributario sugli atti di autotutela, le sezioni unite hanno circoscritto l’oggetto del giudizio alla sola valutazione della legittimità del rifiuto dell’annullamento d’ufficio, escludendo che esso possa estendersi alla fondatezza della pretesa tributaria, verificandosi altrimenti una indebita sostituzione dello stesso giudice nell’attività amministrativa.
Autotutela e tutela per il contribuente
In definitiva, l’esercizio del potere di autotutela non costituisce un mezzo di tutela per il contribuente, sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non sono stati esperiti, potendo riguardare, come visto, solo profili di illegittimità del rifiuto di annullamento opposto dall’Amministrazione, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale.
L’annullamento, la revoca o il ritiro del provvedimento di diniego devono rappresentare per l’ufficio una necessità, originata dall’esigenza di evitare una lesione a un interesse di natura generale, superabile soltanto mediante la rimozione dell’atto, laddove, comunque, il rilevante interesse generale che legittima l’autotutela non può consistere nella mera deduzione dell’erronea imposizione, trattandosi quest’ultimo di un profilo inerente in via esclusiva l’interesse privato.
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A cura di Danilo Sciuto
Giovedì 30 novembre 2023