La Corte di Cassazione consolida il divieto della riqualificazione della cessione di partecipazioni in cessione di azienda con devastanti effetti per il contribuente ai fini dell’imposta di registro.
La Corte di Cassazione consolida con definitività l’orientamento interpretativo che impedisce in tema di imposta di registro di raccordare il regime fiscale dell’operazione alla causa reale e complessiva della medesima; analizziamo ad esempio il caso della cessione di partecipazioni.
Il caso: costituzione di società e successiva cessione di partecipazioni
Specificamente nel caso in controversia, l’Agenzia delle Entrate riteneva di poter riqualificare in una cessione di azienda, una serie di operazioni collegate rappresentate:
- dalla costituzione di una società,
- da una successiva serie di aumenti di capitale sociale e
- dalla conclusiva cessione delle partecipazioni di tale società a due società acquirenti che ne diventavano socie rispettivamente per il 70% e per il 30%.
La Corte di Cassazione con l’ordinanza in esame nega (e può dirsi in modo definitivo) la liceità giuridica di tale riqualificazione, passando in rassegna le contrastanti vicende interpretative che hanno preceduto l’attuale versione testuale dell’art. 20 Tuir del DPR 131/1986, per il quale:
“L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponde il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili, prescindendo da quelli extra testuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.
Tali modifiche testuali all’art. 20, TUR sono state ritenute dal legislatore prima e dalla Corte Costituzionale poi rispondenti al paradigma dell’interpretazione autentica con valenza, quindi, retroattiva.
Con la novella legislativa (art. 1, comma 87, della legge di bilancio 2018 – 27 dicembre 2017, n. 205) la Corte di Cassazione,