L’evoluzione dell’onere della prova nel processo tributario

Viste le novità della Riforma della Giustizia Tributaria, facciamo il punto su come è stato gestito nel tempo l’onere della prova.
Il nuovo processo post riforma vede un onere che grava maggiormente sul Fisco.

Evoluzione onere della prova nel processo tributario – Argomenti trattati:

 

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Onere della prova: premessa

onere prova processo tributarioL’onere della prova è un principio logico-argomentativo che prevede l’obbligo, per chi vuole dimostrare l’esistenza di un fatto, di fornire le prove dell’esistenza del fatto stesso.

Si tratta, pertanto, di una regola che consente di individuare il soggetto onerato della prova di un fatto controverso e, quindi, di individuare colui sul quale grava il rischio della mancata prova o dell’incertezza del fatto da provare.

Nell’ambito del processo tributario, la trattazione dell’onere della prova non può prescindere dall’analisi della disciplina civilistica e, in particolare, dell’art. 2697 codice civile, poiché, prima dell’entrata in vigore della L. n. 130/2022, non esisteva alcuna specifica norma in materia di riparto dell’onere probatorio.

È stata, infatti, proprio la legge di riforma del processo tributario n. 130 del 31 agosto 2022, entrata in vigore il 16 settembre 2022, ad aver introdotto una specifica disposizione in materia nel codice del processo tributario, aggiungendo il comma 5-bis all’art. 7 D. Lgs. n. 546/1992.

 

L’onere della prova nel processo civile

In ambito civilistico il principio dell’onere della prova trova la sua disciplina nell’art. 2697 codice civile il quale distribuisce l’onere della prova fra le parti distinguendo, da un lato, i fatti costitutivi e, dall’altro, i fatti estintivi, modificativi e impeditivi.

In particolare, il citato articolo così dispone:

Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda.

In linea generale, la ripartizione dell’onere della prova tra le parti delineata dal codice civile risponde a principi di opportunità e razionalità, oltre che a concrete esigenze di giustizia.

Infatti, è possibile affermare che la regola probatoria di cui all’art. 2697 codice civile è funzionale e razionale, in quanto risponde all’esigenza di assicurare l’equa realizzazione degli interessi sostanziali che vengono in rilievo nell’ambito del processo.

In particolare, ai sensi dell’art. 2697 codice civile, gli elementi di una determinata fattispecie si distinguono in fatti costitutivi, estintivi, modificativi o impeditivi; pertanto, mentre la prova dei fatti costitutivi spetta all’attore (art. 2697, comma 1), la prova dei fatti impeditivi, modificativi ed estintivi spetta al convenuto (art. 2697, comma 2).

Più nello specifico, per “fatto costitutivo” si intende l’elemento la cui prova è necessaria poiché concorre a determinare gli effetti materiali previsti dalla relativa norma.

Da tanto ne consegue che la prova di tale fatto incombe sull’attore, cioè su colui che agisce in giudizio invocando l’applicazione di quella determinata disposizione.

Invece, sono “fatti estintivi o modificativi” quei fatti che determinano l’estinzione o la modificazione dell’effetto giuridico richiesto dall’attore.

In tal caso, l’onere della prova grava sul convenuto, ossia su colui che si oppone alla pretesa avanzata dall’attore.

In altri termini, la ripartizione dell’onere probatorio è dovuta alle posizioni ricoperte dalle parti in ambito processuale, con la conseguenza che l’onere di provare un fatto ricade su colui che invoca proprio quel fatto a sostegno della propria tesi, conformemente al noto brocardo “Onus probandi incumbit ei qui dicit” (cioè “l’onere della prova incombe su colui che afferma qualcosa”); invece, il soggetto che contesta la rilevanza di tali fatti in giudizio ha l’onere di dimostrarne l’inefficacia, o provare altri fatti che abbiano modificato o fatto venir meno il diritto vantato dall’attore.

Secondo l’orientamento prevalente, la regola dell’onere probatorio ha una natura processuale, in quanto va applicata nel processo ed ha come destinatario il giudice, avendo la funzione di indicare al giudice come decidere laddove non ci siano fatti rilevanti, poiché non sufficientemente provati o una situazione di incertezza sull’esistenza o sull’inesistenza di uno dei fatti allegati da una parte.

Tale regola di giudizio è, dunque, strumentale ad evitare l’impasse del giudizio laddove l’espletamento dei mezzi istruttori non si sia rilevato decisivo o laddove la prova manchi del tutto.

Pertanto, è evidente che la funzione della regola dell’onere della prova è quella di impedire al giudice, in ipotesi del genere, di decidere mediante una pronuncia di non liquet (decisione con cui non si stabilisce in maniera definitiva se il diritto controverso esiste o meno), che si porrebbe chiaramente in contrasto con l’art. 24 Costituzione e con gli artt. 112 e 227 codice procedura civile, i quali impongono al giudice, chiamato a decidere sulla domanda, il dovere di assicurare alle parti una pronuncia, o di accoglimento o di rigetto, sulla base delle prove offerte nella causa, nel contraddittorio delle parti.

È evidente, dunque, che il principio di riparto dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 codice civile deve essere contemperato al principio di acquisizione probatoria, ai sensi del quale le risultanze probatorie comunque ottenute, quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale si sono formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice.

Ne discende che, il citato principio di acquisizione probatoria, avente fondamento nella costituzionalizzazione del giusto processo, si traduce nel dovere del giudice di pronunciare nel merito della causa sulla base del materiale probatorio ritualmente acquisito con una valutazione globale delle risultanze probatorie.

 

L’onere della prova nel processo tributario

Prima dell’introduzione del comma 5-bis all’art. 7 D. Lgs. n. 546/1992, la materia tributaria era sprovvista di un norma specifica in tema di onere della prova e, pertanto, in virtù del costante richiamo alle norme civilistiche, ha trovato applicazione, anche in ambito tributario, il succitato art. 2697 codice civile.

Tuttavia, negli anni, l’istituto dell’onere della prova in materia tributaria è stato oggetto di diverse deviazioni, tra le quali si evidenzia l’orientamento, ormai definitivamente tramontato, che faceva leva sulla cosiddetta “presunzione di legittimità dell’atto amministrativo”, la quale addossava l’onere della prova nel processo tributario “sempre e comunque sul contribuente”, così determinando una sorta di presunzione di legittimità dell’atto amministrativo, che sarebbe risultato, quindi, sino a prova contraria, fondato sia in fatto che in diritto.

Secondo tale indirizzo, l’Amministrazione finanziaria:

“per la sua stessa qualità di organo del pubblico potere, tenuto ad osservare la legge e privo di un interesse proprio, diverso dall’interesse pubblico, non può normalmente emanare atti di accertamento arbitrari, basati su circostanze di fatto non vere”.

In altri termini, sul piano processuale, la presunzione di legittimità faceva gravare sempre sul contribuente l’onere di dimostrare in giudizio l’illegittimità o l’infondatezza dell’atto impositivo.

Tuttavia, tale indirizzo è stato superato mediante alcune sentenze della Cassazione.

Tra le prime pronunce di legittimità, si segnala la sentenza n. 2990 del 23 maggio 1979 con la quale Suprema Corte di Cassazione ha, per la prima volta, ritenuto che:

“(…) non può porsi tutto l’onere probatorio a carico esclusivo del destinatario del provvedimento, poiché se egli, per ragioni attinenti esclusivamente alla esecutorietà della pretesa fatta valere dalla pubblica amministrazione, assume la iniziativa del processo, la sua qualità di attore in giudizio non esclude che l’indagine del giudice verta pur sempre su un diritto di credito, i cui presupposti di fatto, secondo le regole generali, debbono essere provati, in caso di incertezza circa la loro esistenza oggettiva, dalla autorità amministrativa che coltiva la relativa pretesa, mentre incombe al destinatario del provvedimento l’onere della prova dei fatti modificativi o estintivi, secondo la disciplina dettata dall’art. 2697 c.c..

Questa pronuncia ha rappresentato, dunque, una vera e propria svolta nel processo tributario, poiché ha permesso di valorizzare, ai fini del riparto probatorio, la posizione sostanziale assunta dalle parti nel processo, estendendo l’applicazione al processo tributario della regola generale di cui all’art. 2697 codice civile.

Pertanto, ad oggi, non è più fatto controverso che, anche nel rapporto tributario, vale la regola dell’onere della prova dettata dall’articolo 2697 codice civile, in base al quale, nelle vicende tributarie, l’Amministrazione finanziaria che vanti un credito nei confronti del contribuente è tenuta a fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa.

In applicazione dello stesso principio, spetta al contribuente la prova del fatto costitutivo nelle liti in materia di rimborso.

Del resto, quanto appena detto è stato nuovamente confermato dai giudici di legittimità, con la sentenza n. 29856 del 25.10.2021, con cui la Suprema Corte ha così statuito:

“È ormai ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte che, anche nel processo tributario, vale la regola generale in tema di distribuzione dell’onere della prova dettata dall’articolo 2697 c.c., e che, pertanto, in applicazione della stessa, l’amministrazione finanziaria che vanti un credito nei confronti del contribuente, è tenuta a fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa, essendosi ormai da tempo chiarito che la c.d. presunzione di legittimità degli atti amministrativi (un tempo evocata per giustificare la loro idoneità ad incidere unilateralmente nella sfera giuridica altrui) non opera nei confronti del giudice ordinario (v. ex multis Cass. Civ., Sez. 5, n. 1946 del 10/02/2012; Sez. 5, n. 13665 del 05/11/2001; Sez. 1, n. 2990 dei 23/05/1979, Rv. 399324)”.

Pertanto, è chiaro che, per un lungo periodo, nel processo tributario ha trovato applicazione la disciplina civilistica ex art. 2697 c.c., soprattutto perché nel codice del processo tributario non vi era alcuna disposizione in tema di onere probatorio.

Solo con l’entrata in vigore della L. n. 130/2022, di riforma della giustizia e del processo tributario, il legislatore è intervenuto in tema del riparto dell’onere probatorio in materia tributaria aggiungendo il comma 5-bis all’art. 7 D. Lgs. n. 546/1992.

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A cura di Avv. Maurizio Villani e Dott.ssa Marta Zizzari

Sabato 1 aprile 2023

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