Si sta assistendo, pressoché nel silenzio generale, ad una presa di posizione molto delicata, nei confronti dei contribuenti; le Sezioni Unite della Cassazione si sono pronunciate quattro volte per confermare una tesi molto favorevole, per l’Amministrazione finanziaria: i termini di decadenza per eventuali accertamenti decorrono dal momento dell’utilizzo di un importo o di un diritto, non dal momento in cui lo stesso è sorto.
Nel caso degli immobili, ammortamenti accertabili per oltre trenta anni!
E mentre sotto l’aspetto penale, la Riforma Cartabia cerca di tutelare i cittadini, dando termini ragionevoli ai processi, in campo tributario sta accadendo l’esatto contrario.
Torniamo su un tema che ci sta a cuore, e cioè il differente trattamento riservato in questo periodo in campo penale ai cittadini, rispetto a quanto riservato ai contribuenti.
Per una analisi dettagliata si rinvia ai nostri precedenti interventi, da ultimo “Gli orientamenti divergenti e l’accertamento infinito. Chi tutela il contribuente?” del 29 dicembre 2021 e “L’accertamento senza limiti temporali: alcuni casi di giurisprudenza”, del 7 settembre 2021.
Lo spunto ci è dato dalla riforma Cartabia (Legge delega n. 134 /2021), la quale ha anche tenuto conto di una esigenza dei cittadini, cioè di avere processi non infiniti.
E’ infatti intervenuta anche sulla prescrizione, con la introduzione dell’istituto della improcedibilità nei casi di superamento della durata massima del processo.
In campo tributario, invece, almeno dal 2021 la Cassazione a Sezioni Unite ha preso una posizione in senso del tutto contrario, per ben tre volte.
Ci si riferisce all’accertamento dilatato nel tempo nel caso di utilizzo di oneri pluriennali o comunque di utilizzo di crediti datati, come meglio illustreremo in seguito.
Quello che ci stupisce maggiormente, è che questo atteggiamento non sia stato oggetto di una adeguata presa di posizione contraria, se non da parte di qualche isolata critica dottrinaria.
Qui non si tratta solo di elucubrare delle tesi, di fare accademia, ma proprio di lasciare il contribuente soggetto ad accertamenti quasi infiniti, senza scadenza.
Ci si preoccupa della questione penale, e nel contempo da un punto di vista tributario si allargano di fatto all’infinito i termini a favore della amministrazione finanziaria, in certi casi anche di oltre trenta anni.
Qualcosa non pare tornare, a nostro avviso.
Accertamenti infiniti: le quattro ordinanze di rimessione alle Sezioni Unite del 2020
Tutto nasce nella tarda primavera /estate del 2020, con ben quattro ordinanze di rimessione alle Sezioni Unite da parte della Corte di Cassazione relativamente a tre diverse fattispecie, legate in ogni caso da identiche problematiche di base.
Queste le ordinanze:
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Cassazione n. 10751 del 5 giugno 2020 cui ha fatto poi seguito la sentenza a Sezioni Unite n. 8500 del 25 marzo 2021.
Il caso si riferiva all’utilizzo delle quote di svalutazione crediti eccedenti a quanto annualmente ammesso in detrazione, per gli istituti di credito.
La Cassazione ha ritenuto che l’accertamento su tali quote potesse essere fatto, nell’anno di utilizzo, indipendentemente dall’anno di origine di tali quote.
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Cassazione n. 15525 del 21 luglio 2020 e n. 20842 del 30 settembre 2020 cui hanno poi fatto seguito le sentenze a Sezioni Unite n. 21765 e 21766 del 29 luglio 2021.
Il caso si riferiva al riporto di un credito IVA, se tale riporto potesse posticipare i termini per l’accertamento del credito stesso.
Le sezioni Unite ha sostenuto la tesi della posticipazione dei termini.
Ricordiamo come invece Cassazione n. 3098 del 2019 fosse stata di contrario avviso, mentre Cassazione n. 5069