Ritorniamo a trattare (vedasi anche il nostro precedente articolo del 10 settembre 2020: Sanzioni e risarcimento danni : deducibili dal reddito?) un tema molto caldo, quello della deducibilità fiscale delle sanzioni e delle penalità, solo per aggiornarne la analisi, per cercare di dare un quadro ancora più completo della questione.
Non siamo infatti convinti della correttezza dell’atteggiamento della Agenzia delle Entrate, poi quasi sempre confermato dalla giurisprudenza, che appunto nega tale deducibilità.
Non risultano ancora ripensamenti, da parte della Cassazione, ma non è escluso che questo atteggiamento così restrittivo possa anche cambiare, nel futuro.
Noi ce lo auguriamo.
Deducibilità fiscale delle sanzioni: mancanza di una norma specifica
Nell’ordinamento tributario italiano manca una norma che preveda esplicitamente il trattamento da riservare alle sanzioni amministrative, e per certi versi anche alle penalità, in sede di determinazione del reddito d'impresa e di lavoro autonomo.
Nel tempo si è sviluppato un dibattito che vede contrapposte le argomentazioni in favore dell’una o dell’altra tesi.
Ma si ha la sensazione che la questione sia trattata più su un piano etico piuttosto che su un piano prettamente giuridico/economico, come invece dovrebbe essere.
Talvolta paiono prevalere dichiarazioni di principio piuttosto che argomentazioni logiche.
L’Amministrazione finanziaria e la giurisprudenza, assolutamente maggioritaria, sono orientate per la negazione della deducibilità delle sanzioni ai fini fiscali ; al contrario, la dottrina è spesso pervenuta invece a conclusioni favorevoli circa la rilevanza fiscale delle stesse.
La Cassazione ritiene che una condotta illecita, da cui appunto deriva la sanzione o la penalità, non si concilii con la inerenza.
Noi riterremmo invece che le sanzioni, come tutti gli oneri, potrebbero essere deducibili se sostenute in funzione dell’acquisto o dell’utilizzo di fattori produttivi (beni o servizi) funzionali alla produzione di reddito e allo svolgimento della stessa attività d’impresa.
Se dal comportamento poi sanzionato sono derivati o comunque avrebbero potuto derivare dei redditi, e in quanto tali tassabili, non ci sarebbe ragione per non considerare inerenti i correlati oneri, nella fattispecie sanzioni. .
La problematica riguarda le sole sanzioni, e non anche gli interessi passivi dovuti alle eventuali dilazioni concesse sul pagamento delle sanzioni medesime. Infatti gli interessi passivi rappresentano il costo strumentale alla realizzazione della scelta imprenditoriale sulla modalità di utilizzazione delle risorse finanziarie dell’impresa, e sono pertanto indiscutibilmente deducibili (Cass. n. 11766 del 20 maggio 2009).
Diverso è invece il caso delle sanzioni penali, per le quali esiste invece una specifica normativa di riferimento, che in alcuni casi ne prevede la deducibilità, in altri no [1] .
Segnaliamo anche come il principio della indeducibilità delle sanzioni non derivi da alcuna norma costituzionale , al contrario del principio della inerenza che secondo la Cassazione deriva dal principio della capacità contributiva, e quindi legato all’articolo 53 della Costituzione stessa.
Come anticipato, non siamo convinti della soluzione comunemente oggi data, indeducibilità tout court delle sanzioni, soluzione che a nostro avviso non pare avere alcuna giustificazione giuridica, ma forse solo etica. Sulla base della interpretazione giurisprudenziale, la sanzione diventa infatti doppia, (una prima volta come sanzione, la seconda come costo indeducibile) piuttosto che sistema premiale, come invece da alcuni sostenuto (sanzione dedotta equivale a beneficio).
La tesi dell'Agenzia delle Entrate sulla deducibilità fiscale delle sanzioni
L’Agenzia delle Entrate considera le sanzioni sempre e comunque estranee all'attività aziendale, e quindi non inerenti, in quanto conseguenza di un comportamento illecito dell'imprenditore, e conseguentemente interamente indeducibili, a prescindere in ogni caso dalla natura e anche dalla causa generatrice dello stesso.
L’ufficio ritiene che la natura punitiva delle sanzioni verrebbe svilita, trasformandola addirittura in un risparmio d’imposta, qualora fosse riconosciuta la loro deducibilità nella determinazione del reddito di impresa.
Si tratta di un tema affrontato circa 20 anni fa dall'Amministrazione finanziaria (circ. 17 maggio 2000, n. 98/E e ris. 12 giugno 2001, n. 89/E) con riferimento al caso specifico delle sanzioni antitrust, ossia le sanzioni per violazione delle norme in materia di concorrenza di cui alla L. 10 ottobre 1990, n. 287.
Si tratta delle sanzioni che l'Autorità garante del mercato e della concorrenza commina qualora rilevi condotte (come, ad esempio, intese restrittive della libertà di concorrenza o abusi di posizione dominante) che compromettono e limitano l'altrui diritto di iniziativa economica tutelato dall'art. 41 della Costituzione, restringendo o falsando il gioco della concorrenza sul mercato. E gran parte della giurisprudenza e anche della dottrina, ancorché con esiti in parte discordi, si è occupata di questa specifica tipologia di sanzioni
L'Agenzia delle Entrate ha evidenziato che, essendo tali oneri dei pagamenti dovuti in virtù di comportamenti illeciti dell’impresa, la rilevanza tributaria degli stessi doveva essere esclusa, non essendo mai riscontrabile una correlazione diretta fra costo e produzione del reddito.
Ha altresì affermato un principio più generale, secondo cui gli oneri sanzionatori di natura punitiva non presentano il requisito dell’inerenza essenziale ai fini della dedu