Il rapporto Fisco-Contribuente dovrebbe basarsi sulla fiducia e sulla trasparenza, invece il sistema tributario italiano è troppo complesso e sembra disattendere i propositi di affidamento del contribuente promessi a suo tempo con lo Statuto dei diritti del contribuente.
È opportuno, innanzitutto, operare una distinzione nell’ambito di due principi che si presentano in simbiosi: la buona fede e l’affidamento.
Nonostante l’art. 10, L. 27 luglio 2000, n. 212, ”Disposizioni in materia di Statuto dei diritti del contribuente”, attraverso il quale è stato fissato il binomio buona fede-affidamento, si può dimostrare come i suddetti principi abbiano fondamento e applicazione coevi non solo allo Statuto stesso e alla L. 7 agosto 1990, n. 241 recante “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”, ma anche in epoca precedente alla Costituzione.
La prevalente dottrina è concorde nell’affermare come la buona fede sia suddivisibile in due componenti, una soggettiva ed una oggettiva, portatrici entrambe della convinzione della bontà del proprio comportamento.
Sotto questo ultimo profilo, la buona fede si distingue dall’affidamento in quanto questo prevede una forma di fiducia circa la bontà del comportamento altrui.
Il concetto di legittimo affidamento
Infatti, pur sembrando un unico concetto, la dottrina sottolinea come “l’affidamento sia una situazione soggettiva preliminare e autonoma rispetto al principio di buona fede, la cui tutela è assicurata dall’esistenza di tale principio”.
Egli confida in tale situazione a tal punto che spesso si tramuta in decisioni proprio in ragione di tale affidamento, cosicché la sua violazione comporterà non solo conseguenze sanzionatorie dirette, ma anche danni derivanti dalle scelte precedentemente fatte.
Forme di tutela quali il principio di correttezza dell’agire amministrativo, di tutela del legittimo affidamento del contribuente, nonché l’esimente delle obiettive condizioni di incertezza della norma tributaria rappresentano il tentativo di creare un clima collaborativo e di certezza dei rapporti giuridici.
Diversa posizione quella della Corte di Cassazione, la quale, invece, tende ad avvalorare sia il ruolo dello Statuto del Contribuente che a sostenere le ragioni dei contribuenti in controversie in cui sia messa in dubbio la tutela del legittimo affidamento.
Stando alla lettera della norma, verrebbe tutelato il contribuente in buona fede, non solo nel caso in cui egli agisca in conformità di un’indicazione dell’Amministrazione finanziaria (e in tal caso non potranno essere richiesti interessi e irrogate sanzioni amministrative), bensì anche nel caso di affidamento prestato ad un atto dell’Amministrazione dal contenuto univocabilmente interpretabile, nel cui caso nulla sarà dovuto anche dal punto di vista impositivo.
Lo Statuto del Contribuente ed il legittimo affidamento nel diritto tributario
Lo Statuto del Contribuente sancisce che l’adozione di norme interpretative in materia tributaria possa essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica, e nonostante ancora all’art. 3, comma 1 dello stesso Statuto si stabilisca che salvo quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo, la Corte non sembra mutare indirizzo affermando che:
“una legge tributaria retroattiva non comporta di per sé violazione del principio della capacità contributiva, occorrendo verificare, invece, di volta in volta, se la legge stessa, nell’assumere a presupposto della prestazione un fatto o una situazione passati, abbia spezzato il rapporto che deve sussistere tra imposizione e capacità stessa, violando così il precetto costituzionale sancito dall’art. 53″ (Corte Cost., sentt. 6 febbraio 2002, n. 16 e Corte Cost. sent. agosto 2003, n. 291).
E’ sufficiente osservare, richiamando i principi espressi dalla Consulta, che:
«il valore del legittimo affidamento, il quale trova copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., non esclude che il legislatore possa assumere disposizioni che modifichino in senso sfavorevole agli interessati la disciplina di rapporti giuridici “anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti”, ma esige che ciò avvenga alla condizione “che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica” (sentenze n. 56 del 2015, n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009), essendo sottoposto, il principio dell’affidamento, al normale bilanciamento proprio di tutti i diritti e valori costituzionali (Corte Costituzionale sentenze n. 16 del 2017, n. 203 del 2016, n. 264 del 2012); solo in presenza di posizioni giuridiche non adeguatamente consolidate, dunque, ovvero in seguito alla sopravvenienza di interessi pubblici che esigano interventi normativi diretti a incidere peggiorativamente su di esse, ma sempre nei limiti della proporzionalità dell’incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti, è consentito alla legge di intervenire in senso sfavorevole su assetti regolatori precedentement