In Italia manca la cultura manageriale?

In Italia manca la cultura manageriale?
Rispondere a questa domanda e diffondere le conoscenze è importante perchè la povertà educativa e conoscitiva può facilmente trasformarsi in poverta economica.

italia cultura mangerialeIn Italia manca la cultura manageriale? Quando si parla di povertà delle persone spesso si pensa alla fatidica “soglia di povertà economica” che si colloca, nel nostro Paese e con differenze da Regione a Regione intorno ai 550€ al mese.

Ma non bisogna dimenticare che spesso la causa delle povertà economica è frutto della povertà educativa.

Povertà che è stato sfruttata e, penso anche voluta, delle sacche malavitose che ancora oggi caratterizzano il nostro Paese.

E guardacaso queste sacche sono proprie nelle zone dove ancora in questi anni si è fermi sul piano dell’educazione.

È la cultura che aiuta ad uscirne.

Ma questa mia sconsolata constatazione è ancora più “sconsolata” se penso alla c.d. Higher Education, quella che viene dopo la Laurea o dopo un’esperienza lavorativa importante.

Bisognerebbe fare per chi opera in azienda, i manager, quello che è stato reso obbligatorio per gli ordini professionali, quelli che hanno la possibilità e il dovere di selezionare, non solo per l’esistenza di specifici Albi professionali, ma per la necessità di conoscenze sempre aggiornate, che vadano ad integrare competenze acquisite con la pratica.

Eh sì, la pratica non basta, è importante ma non basta!

Culturale manageriale in Italia: alcuni indicatori

Così, andando ad inserirci nel dibattito sulle italiche povertà educative, re-innescato da un editoriale di Ferruccio De Bortoli sul Corsera del 6 giugno (“La classe dirigente che serve al Paese”), non solo non vogliamo sottrarci a questo dibattito, ma desideriamo accentuarne la criticità, prima che sia troppo tardi.

Così vi propongo solo questa constatazione: dagli anni ’80 il numero delle aziende nel nostro Paese è aumentato e con esse, si può presupporre, sia aumentato il numero delle persone che svolgono attività di management ai diversi livelli; tuttavia rispetto a quegli anni (e cioè 40 anni dopo):

  • Sono quasi completamente scomparse le riviste mensili di Management (ad es. L’impresa e Problemi di gestione del Formez) e molte testate di Economia (ne ricordo solo qualcuna: Il mondo ed Espansione); ad oggi le uniche che riescono a tenere un po’ il mercato sono l’Edizione italiana di Harvard Business Review e Sviluppo & Organizzazione;
  • Le case editrici o le Collane di Management sono in via di estinzione, ci si riferisce a case Editrici storiche per il Management come Isedi o Etas Libri, anche se resistono ancora Franco Angeli e A. Guerini;
  • Importanti Business School Italiane quotate e con cataloghi di corsi anche molto ricchi, hanno trovato, non senza qualche difficoltà, i numeri per riuscire a mantenere una “velocità di crociera” soddisfacente.

Forse, più che povertà educativa stiamo sfiorando una “profonda ignoranza manageriale”.

Un’ignoranza che, in un mondo sempre più ipercompetitivo, potrebbe portare il “made in Italy”, che ci ha salvati e rilanciati nel mondo, a non essere più sufficiente.

Nel business non bisogna dimenticare che oltre alle competenze tecniche specifiche di “mestiere” ci sono anche le competenze manageriali.

In questi ultimi anni con il Centro di formazione management del terziario (Cfmt) ho sviluppato un percorso per i Responsabili Amministrazione e Finanza con il seguente titolo: “Cfo: tra arte e mestiere”.

Mentre i contenuti del mestiere erano chiari.

Sapere tutto su bilancio, adempimenti fiscali e civilistici, compliance e altre technicalities ancora, molto meno chiari erano i contenuti artistici di questo mestiere: profondamente legati al saperne di processi, al fine di una loro efficace attivazione e gestione, ai criteri per la progettazione dei sistemi di pianificazione e controllo, agli aspetti sempre critici legati ad una efficace comunicazione sia verso l’esterno che verso l’interno.

Proprio questi aspetti “manageriali” faranno il futuro di alcune professioni.

Non posso credere ad una maturità di un “mercato”, quello del management, poiché la domanda potenziale in aumento e la criticità competitiva è sempre più elevata.

Sono crollati ad esempio molti miti.

Come suggerisce Rita Grath della Columbia Business School oggi la strategia non può più andare alla ricerca di un vantaggio competitivo duraturo, ma richiede l’acquisizione di un’ulteriore abilità: saper sfruttare e cavalcare l’”onda del vantaggio transitorio”.

Ma quindi non basta più neanche Michael Porter.

Per fortuna molti in Italia non ci sono comunque neanche arrivati e molti che ci sono arrivati hanno creduto che la competitività sarebbe restata per sempre ferma lì.

Purtroppo non è così, il management è una disciplina in evoluzione.

Pertanto questa nuova abilità, unitamente alla rapidità, sarà uno degli ingredienti per allontanare la povertà da ignoranza nelle aziende di domani.

Ne riparleremo, poiché oltre al “rafting” sembra che sia necessario saper fare “surf”!!!

A cura di Alberto Bubbio

Venerdì 7 agosto 2020

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