COVID-19: Tutela della salute dei lavoratori e relativa responsabilità del datore di lavoro

Il complesso sistema normativo vigente concernente la tutela della salute e della sicurezza negli ambienti di lavoro, vanto storico del nostro ordinamento sociale, non è risultato immune dagli effetti dell’emergenza sanitaria causata dalla pandemia in corso. In questa situazione di emergenza, anche i datori di lavoro più virtuosi, sempre attenti alle prescrizioni sulla sicurezza, si ritrovano in questa fase a dover fronteggiare rischi non calcolabili e conseguenze non prevedibili.

Tutela della salute dei lavoratoriEmergenza Corona Virus e tutela della salute dei lavoratori

Le organizzazioni sanitarie di pressoché tutti i paesi del mondo si stanno misurando con avvenimenti di portata imprevedibile e con bagaglio informativo ancora del tutto insufficiente per poter suggerire linee guida che possano considerarsi pienamente attendibili.

Ne è riprova l’incerto balzello di raccomandazioni ed indicazioni fin qui dispensate dall’OMS, dall’Istituto Superiore della Sanità Italiana e conseguentemente dagli organismi governativi del nostro paese.

Il contesto nel quale tutti gli operatori del settore “sicurezza e medicina del lavoro” sono chiamati ad operare, risulta ad oggi sintetizzabile nelle seguenti evidenze:

  • non sono ancora del tutto scientificamente accertate le modalità di trasmissione del virus e quindi le probabilità di propagazione del contagio;
     
  • risulta accertato l’elevatissimo potenziale di virulenza;
     
  • non è ancora disponibile alcun protocollo terapeutico;
     
  • non esiste alcuna possibilità di profilassi.

Ne deriva che le uniche misure di tutela della salute dei lavoratori risultano essere esclusivamente quelle di “contenimento” della diffusione virale, con l’ulteriore difficoltà che, con il passare dei giorni, la diffusione esponenziale dei casi ha reso inattuabile l’individuazione dei soggetti potenzialmente esposti al contagio in quanto non più realizzabile la verifica diagnostica preventiva (in alcune zone geografiche non praticata neanche ai soggetti che abbiano manifestato sintomi clinicamente riconducibili alla patologia virale).

 

Tutela della salute dei lavoratori: misure di sicurezza minime sui luoghi di lavoro

Il legislatore con i necessari provvedimenti di urgenza è intervenuto disponendo l’interruzione di talune attività lavorative (produttive ed amministrative) e disciplinando un protocollo di misure di sicurezza minime cui sono obbligati ad attenersi i soggetti ai quali viene consentita la prosecuzione dell’attività lavorativa (DPCM 11/3/2020, DPCM 20/3/2020, D.L. n. 18 del 17/3/2020, Dm 22/3/2020 e protocollo con le parti sociali del 14/3/2020).

Si segnala che, a valle di tali provvedimenti, vanno ad innestarsi ulteriori (numerose quanto disomogenee) iniziative legislative territoriali (ordinanze delle Regioni e delibere sindacali).

Con l’adozione dei detti decreti, sono state disciplinate le specifiche misure di sicurezza per fronteggiare l’emergenza “Covid-19” che, a titolo esemplificativo (e non esaustivo), possono riepilogarsi in:

  • contingentamento del personale;
     
  • adozione misure di distanziamento sociale tra i lavoratori;
     
  • distribuzione di dispositivi di protezione individuale (mascherine e guanti monouso);
     
  • installazione di dispositivi per l’igienizzazione delle mani;
     
  • attuazione di specifiche disposizioni (da impartire ai lavoratori) riguardo l’utilizzo degli spazi comuni.

Risulta tuttavia evidente che il fulcro delle disposizioni adottate sia individuabile nella restrizione alla frequentazione dei luoghi di lavoro aziendali.

Sia il provvedimento dell’esecutivo che il protocollo di intesa con le parti sociali, intendono favorire e promuovere le modalità di svolgimento del lavoro a distanza (telelavoro e/o lavoro agile c.d. smart working) e raccomandano la programmazione anticipata dei piani di ferie (favorendo altresì l’utilizzo dei residui congedi e permessi), fermo restando la possibilità di ricorrere agli ammortizzatori sociali per limitare il numero dei lavoratori presenti in azienda.

Va, tuttavia, sottolineato che le misure adottate non consentono di poter escludere il rischio di contagio per i lavoratori tenuti alla presenza fisica nei luoghi di lavoro, ma esclusivamente di ridurne le probabilità.

 

Eventuale responsabilità del datore di lavoro

Risulta pertanto di tutta evidenza che pur attenendosi scrupolosamente a tali disposizioni, il datore di lavoro non può considerarsi scevro da responsabilità qualora i propri lavoratori contraggano il virus in costanza di attività lavorativa.

Si ritiene, pertanto, che il datore di lavoro debba astenersi categoricamente dall’esercitare alcuna pressione sul lavoratore affinché riprenda o continui a prestare la propria opera lavorativa, consentendo al contrario l’accesso ai luoghi di lavoro esclusivamente su base volontaria.

Ciò in quanto, va rammentato, le disposizioni governative non operano (quantomeno al momento) alcun tipo di “precettazione” delle attività lavorative c.d. essenziali per il proseguimento dell’attività, ma si limitano esclusivamente a consentirne lo svolgimento.

Ciò significa che il datore di lavoro assume una scelta riguardo la prosecuzione dell’attività e conseguentemente la piena responsabilità in relazione all’eventuale rischio cui sottopone (seppur del tutto involontariamente) il proprio personale.

Si sottolinea al riguardo che, sebbene la  (ICTV) abbia classificato il virus SARS-CoV-2 (che genera la malattia definita dall’OMS con l’acronimo di “Covid-19”) come appartenente alla categoria dei “coronavirus” già noti e quindi (a parere di alcuni) catalogabile tra gli agenti biologici del “gruppo 2”, la lettura dell’art.268 del D.Lgs. 81/2008 sembrerebbe ricondurre in realtà alla fattispecie di rischio, per qualsivoglia ambiente di lavoro, di “agente biologico del gruppo 4” ovvero “un agente biologico che può provocare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori e può presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità” e nella considerazione che “non sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche o terapeutiche” e conseguentemente il datore di lavoro risulterebbe esposto automaticamente al rischio di azioni di responsabilità (civile e/o penale) eventualmente intraprese dai lavoratori contagiati.

In sostanza l’interpretazione, per quanto autorevole, effettuata da associazioni professionali che operano in materia di ambiente e sicurezza che hanno ritenuto di assimilare il rischio del virus circolante (SARS-CoV-2) a quello del patogeno SARS del 2002 (mai “approdato” in Italia) va considerata alla stregua di un mero orientamento che in ogni caso non esime il datore di lavoro (ed i soggetti della sicurezza dallo stesso designati) da valutazioni di carattere personale e dall’assunzione delle relative responsabilità.

Analogamente, risultano esposti a profili di responsabilità personale, anche i dirigenti, intendendosi non esclusivamente quelli inquadrati come tali ma qualsivoglia soggetto che “in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa” (art.2, D.Lgs. 81/2008).

Rientrano pertanto in tale ambito di responsabilità, tutte le figure gerarchicamente chiamate ad organizzare il lavoro altrui.

 

A cura di Massimiliano De Bonis

Martedì 7 aprile 2020

 

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