La Corte di Cassazione torna ad affrontare la questione relativa al valore del brogliaccio scoperto in corso di verifica. Riproponiamo quindi il caso affrontato in tale sentenza, nonché i principi espressi dalla Suprema Corte sul tema della contabilità “in nero”.
Con la sentenza n.8184 del 22 marzo 2019 la Corte di Cassazione torna ad affrontare la questione relativa al valore del brogliaccio.
Il fatto e le sentenze di primo e secondo grado
Una Srl ha impugnato innanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Latina l’avviso di rettifica della dichiarazione dei redditi, relativa all’anno d’imposta 1987, recante, tra gli altri, il rilievo n. 2 per omesse fatturazioni di cessioni di merce (carni lavorate fresche e conservate), per complessive vecchie lire 2.471.113.000, con IVA non assolta per lire 429.232.000.
La sentenza di primo grado, favorevole all’Ufficio, è stata ribaltata in secondo grado, e confermata dalla CTC, che ha rigettato il gravame, affermando di non condividere la tesi erariale, secondo cui le cessioni di merce, da parte della contribuente, senza l’emissione di fatture sarebbe stata desumibile dal dato documentale consistente nel rinvenimento di un “brogliaccio”, in assenza di altri elementi presuntivi di riscontro (indagini bancarie e documentali), che consentissero di dedurre, in modo incontestabile, l’omessa fatturazione.
Le censure delle Entrate
Le Entrate censurano la sentenza impugnata per avere erroneamente negato la valenza probatoria della “contabilità in nero”, discostandosi dai princìpi di diritto enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, tralasciando che:
“la Guardia di Finanza, aveva:
a) reperito due contabilità informali;
b) riscontrato la corrispondenza tra tali contabilità;
c) constatato che le contabilità informali erano state redatte con la stessa metodologia della contabilità ufficiale;
d) puntualmente ricostruito il meccanismo di contabilità ed analiticamente spiegato le ragioni per le quali tale contabilità costituiva una prova evidente delle contestate cessioni “in nero”.
Il pensiero della Corte
In apertura, gli Ermellini richiamano il fermo indirizzo della Corte – recentemente espresso in materia di accert