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La sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Milano ha disposto che il Giudice di primo grado ha, con palmare evidenza, violato quanto disposto dall’art. 112, cod. proc. civ., rubricato “Corrispondenza tra chiesto e pronunciato”.
Per mezzo di tale regula iuris viene governato il rapporto tra le istanze delle parti (attore e convenuto) e la pronuncia del giudice, il quale non può andare “oltre i limiti della domanda” e non può decidere “d’ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti”. Difatti, nel processo tributario, come noto, l’oggetto del giudizio è delimitato dai motivi d’impugnazione che il contribuente deve dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado e che il giudice non può rilevare d’ufficio, se non in specifici casi statuiti dalla legge.
L’amministrazione finanziaria resistente, costituendosi in giudizio, non esercita un autonomo potere d’azione, ma difende l’atto impugnato e, quindi, non può fondare la sua difesa su titoli o ragioni non indicati nella motivazione dell’atto impugnato. Pertanto, in questo modello processuale di tipo impugnatorio, il giudice tributario (diversamente che da quello ordinario), può annullare gli atti impugnati, ma non ha il potere di sostituirli.
Su segnalazione di Alessandro M. A. Tropea
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