Gli interpelli pubblici all'Agenzia Entrate - Aspetti generali
Il diritto di interpello rappresenta, nel difficile territorio del fisco italiano, il tentativo più avanzato di promuovere un “incontro” positivo tra contribuenti e amministrazione finanziaria, non all’interno di un procedimento di accertamento, ma in funzione preventiva.
Generalizzato nel 2000 / 2001 con lo Statuto del contribuente come strumento di risoluzione delle problematiche di tipo interpretativo, è stato adattato anche ad esigenze di tipo probatorio (per la dimostrazione di particolari circostanze di fatto), nonché di tipo antielusivo / antiabuso (esclusione, in un caso specifico, delle situazioni contrastate da norme speciali).
Anche successivamente alle innovazioni che hanno interessato l’istituto nel 2015, la maggior parte dei quesiti è di tipo interpretativo, riguardando il chiarimento preventivo di questioni che riguardano l’applicazione delle norme a un caso concreto e personale.
Vanno rammentate in particolare le modificazioni apportate dal D.Lgs. 24.9.2015, n. 156 (Titolo I), nonché dal provvedimento direttoriale 4.1.2016, riprese e commentate nella circolare dell’Agenzia delle Entrare n. 9/E del 1° aprile 2016.
Nel presente contributo si esamineranno le ragioni e gli effetti della “conoscibilità” (pubblicazione) degli interpelli, alla luce del recente provvedimento direttoriale del 7.8.2018.
Il diritto di interpello
L’interpello è finalizzato a una fiscalità collaborativa, difficile da attuare anche perché i motivi di incertezza sono tanti e creano difficoltà sia ai contribuenti – imprese, enti non commerciali, lavoratori autonomi e persone fisiche in genere -, sia agli uffici finanziari.
Questo istituto, che produce un'interpretazione qualificata proveniente dalla stessa amministrazione finanziaria e causa la nullità degli atti di accertamento difformi, consente a chiunque - senza oneri né abilitazioni speciali - di stimolare una posizione ufficiale da parte dell'amministrazione finanziaria, che può essere espressa ovvero implicita, attraverso la formazione del silenzio-assenso (ipotesi più teorica che reale, dato che nella generalità dei casi l’amministrazione risponde ai contribuenti).
L'interpello non può essere visto come un surrogato o un sostituto del contenzioso tributario, né degli strumenti di definizione agevolata delle controversie, dato che esso precede ogni eventuale attività di controllo da parte del fisco.
La domanda posta dal contribuente deve essere preventiva, cioè va posta prima di dar corso al comportamento rilevante sotto l'aspetto fiscale, rispetto al quale si pone un dubbio di tipo interpretativo (interpello ordinario), o anche fattuale (interpello probatorio, disapplicativo, antiabuso).
Qualche riflessione
L’assetto “paritetico” del rapporto contribuente – fisco nel quadro dell’interpello ordinario comporta un necessario fair play nella conduzione del gioco, che non può prestarsi né alla “validazione” di comportamenti ambigui, né a forme surrettizie di “curiosità” dell’amministrazione volta a fini di controllo dei contribuenti.
Il grande appeal dell’interpello consiste non tanto nell’ottenere una consulenza qualificata sul trattamento tributario di una determinata fattispecie, quanto nel ricevere una risposta ufficiale proveniente dall’autorità fiscale, con effetti preclusivi nei confronti di eventuali accertamenti.
In sostanza, attivando la procedura di interpello ordinario, il contribuente obbliga l’amministrazione finanziaria a rispondergli entro i termini normativamente previsti (nell’interpello ordinario, 90 giorni), ovvero ad accettare la formazione del silenzio-assenso. |
Dato che, in relazione al caso oggetto di interpello, la risposta favorevole inibisce l’accertamento e l