l’avviso di accertamento è legittimo anche se non prevede riferimenti alle memorie presentate dal contribuente sul PVC: il Fisco ha l’obbligo di valutare tali memorie, non di esplicitare una valutazione negativa in fase di redazione dell’accertamento
L’art. 12, comma 7, prima parte, della Legge n. 212/2000 prevede che “nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli Uffici impositori” mentre la seconda parte chiarisce che “l’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.
La lettura della prima parte del comma 7 e il raffronto con il tenore più perentorio della seconda parte, medesimo contesto, consentono sicuramente di affermare che sussiste un obbligo dell’Amministrazione finanziaria di “valutare” le osservazioni del contribuente, a pena di nullità e entro un termine dilatorio di sessanta giorni.
In nome di quest’obbligo l’ufficio impositore deve attendere tale spatium deliberandi prima di notificare l’atto impositivo, salvo che concorranomotivi di urgenza(comprovabili anche solo in fase contenziosa). A tal proposito le Sezioni Unite (sent. Nn. 18184/2013 e 24825/2015), dopo un ampio dibattito in giurisprudenza, hanno specificato che detto vizio invalidante non consiste nella omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza, che ne hanno determinato la notificazione anticipata, bensì nella effettiva assenza di detto requisito .
Ma non è tutto.
Secondo il giudice di legittimità la violazione del contraddittorio endoprocedimentale – garantito da detta disposizione – sussiste quando l’avviso di accertamento risulta emesso prima della scadenza dei sessanta giorni dalla data del rilascio del processo verbale di constatazione indipendentemente dalla circostanza che la notifica sia avvenuta successivamente. La Corte ha spiegato che “In questa direzione milita la disposizione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 che “non può essere intesa come equivalente a “non può essere notificato o, comunque, altrimenti portato a conoscenza legale del contribuente“. A tali conclusioni si giunge “…per due ordini di considerazioni. In primo luogo perchè la notificazione è una mera condizione di efficacia, e non un elemento costitutivo, dell’atto amministrativo di imposizione tributaria cosicchè, quando l’atto impositivo viene notificato, o comunque portato a conoscenza del destinatario, esso è già esistente e perfetto, il che significa che è già stato “emanato”… In secondo luogo, perchè… la norma in esame tende a garantire il contraddittorio procedimentale, ossia a consentire al contribuente di far valere le proprie ragioni nel momento stesso in cui la volontà impositiva si forma quando l’atto impositivo è ancora in fieri”. Ne consegue che l’Ufficio deve “…attendere il decorso del termine previsto dalla legge per la formulazione delle osservazioni e richieste del contribuente, prima di chiudere il procedimento di formazione dell’atto, ossia prima che lo stesso venga redatto in forma definitiva e, quindi, datato e sottoscritto dal funzionario che ha il potere di adottarlo; vale a dire, come appunto la legge recita, venga “emanato“” (così Cass. civ. n. 5361/2016).
Diversa è invece la questione sulla invocata nullità degli avvisi di accertamento, per mancata menzione delle osservazioni presentate dal contribuente ai sensi dell’art. 12, comma 7, della Legge n. 212/2000 (c.d. Statuto del contribuente) ovvero se sia da applicare la regola secondo cui, nella motivazione dell’avviso di accertamento – emesso dopo i sessanta giorni dalla chiusura del p.v.c. ed in presenza delle osservazioni (del contribuente) previste da tale norma – l’Amministrazione finanziaria debba specificare le ragioni che l’hanno indotta a ritenerle irrilevanti, e se, non avendolo fatto, ciò sia causa di nullità dell’avviso di accertamento per mancanza di motivazione.
Tali ipotesi è stata, recentemente, sottoposta all’attenzione della Suprema Corte da una società di capitali che eccepiva la nullità degli avvisi di accertamento, emessi con una motivazione priva di riferimento ovvero di replica alle circostanziate osservazioni presentate dalla stessa contribuente in relazione alla contestazione originaria mossa dai rappresentanti della Guardia di Finanza, con la quale venivano disattesi i redditi dichiarati dalla medesima contribuente dopo aver rinvenuto, nella sede della stessa, una serie di numerosi documenti extracontabili manoscritti relativi a ricevute per pagamenti effettuati a favore di lavoratori dipendenti e collaboratori, nonché un computer dotato di programma di contabilità installato su disco estraibile contenente contabilità occulta.
Ebbene, il collegio di piazza Cavour, nell’occasione (sent. n. 21408/2017) ha richiamato il proprio precedente indirizzo (Cass. civ. n. 3583/2016 e n. 8378/2017) , ove si era già argomentato che dalla stessa lettura della prima parte del comma 7 – e dal raffronto con il tenore più perentorio della seconda parte (per la quale, come detto si è pervenuti a conclusione opposta) – all’obbligo dell’amministrazione finanziaria di “valutare” le osservazioni del contribuente (cui l’imposizione del termine dilatorio, questa sì a pena di nullità, è strumentale) non si aggiunge l’ulteriore obbligo di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo, a pena di nullità.
Aggiunge tale indirizzo che “Nè tale radicale sanzione può desumersi dal disposto del previgente D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, comma 2, laddove prevede che “l’avviso di accertamento deve recare l’indicazione dell’imponibile o degli imponibili accertati, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute di acconto e dei crediti d’imposta, e deve essere motivato in relazione ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e in relazione a quanto stabilito dalle disposizioni di cui ai precedenti articoli che sono state applicate, con distinto riferimento ai singoli redditi delle varie categorie e con la specifica indicazione del fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici e delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni“.
La conclusione appare, alla luce di queste ultime riflessioni, più che condivisibile e questo anche in ragione del fatto che la giurisprudenza di legittimità ha – in effetti – più volte rappresentato che non tutte le irregolarità possono dar luogo a nullità, ma soltanto quelle così sanzionate dalla legge, ovvero quelle che, anche in difetto di una comminatoria espressa, sono talmente lesive di specifici diritti o garanzie da impedire la produzione di qualsiasi effetto da parte dell’atto cui ineriscono ( CTP di Torino n. 3/2011; contra CTP di Reggio Emilia n. 10/2012. Alla luce di ciò deve poi osservarsi che, nella fattispecie esaminata con la sentenza n. 21408/2017, risultavano assenti sia il presupposto formale sia quello sostanziale per la comminatoria della sanzione di nullità, per cui la decisione appare corretta senza l’ulteriroe richiamo della motivazione, talvolta adottata dalla giurisprudenza di merito, secondo cui l’atto impositivo che tace sulle osservazioni del contribuente non viola le disposizioni di legge suddette poiché si ritiene che con l’emissione dell’accertamento si debbano considerare implicitamente respinte le memorie svolte dalla parte, una volta rispettato il termine dilatorio di sessanta giorni descritto dalla medesima norma.
29 dicembre 2017
Antonino Russo
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