Il vettore (fornitore) più caro può essere antieconomico. Sono queste le sintetiche conclusioni che si possono trarre dall’ordinanza n.25257 del 25 ottobre 2017 della Corte di Cassazione.
Il comportamento antieconomico oggetto di rilievo da parte dell’Amministrazione finanziaria riguardava il disconoscimento dei costi di trasporto sostenuti da una S.r.l. che aveva affidato il servizio ad un fornitore collegato, che applicava tariffe più elevate.
La Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la pronuncia di secondo grado, che aveva ritenuto non sussistenti gli elementi gravi, precisi e concordanti, rilevando la difficoltà di ricostruire il percorso logico-giuridico seguito dalla CTR per ritenere congrui i costi in esame, chiedendo al giudice del rinvio di applicare correttamente il seguente principio di diritto: “nel giudizio tributario, una volta contestata dall'Erario l'antieconomicità di una operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, perché basata su contabilità complessivamente inattendibile, in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione, ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea. Infatti, è consentito al fisco dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere minori costi, utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell'onere della prova a carico del contribuente, che deve dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità”.
La norma
La presenza di scritture contabili formalmente regolari non preclude all'amministrazione finanziaria di procedere, legittimamente, all'accertamento analitico-induttivo dei ricavi (o del reddito d'impresa) dichiarati da un contribuente che, nel corso dell'esercizio controllato, abbia posto in essere un comportamento palesemente antieconomico. La norma che dà forza agli uffici è l'art. 39, comma 1, lett. d, del D.P.R. n. 600/1973, secondo cui “…l'esistenza di attività non dichiarate o l'inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti” (ai fini IVA trova applicazione l’art. 54 del D.P.R. n.