La crisi di liquidità non è causa di forza maggiore per il mancato pagamento delle imposte

in tempi recenti alcuni contribuenti in difficoltà finanziaria hanno giustificato il mancato pagamento delle imposte invocando la crisi di liquidità come causa di forza maggiore. Una recente sentenza di Cassazione ha ribaltato le pronunce di merito affermando che la crisi di liquidità non giustifica il mancato pagamento delle imposte, in quanto si tratta di un rischio insito nell’attività d’impresa

Commercialista Telematico | Software fiscali, ebook di approfondimento, formulari e videoconferenze accreditateL’omesso versamento delle imposte, quando è determinato da difficoltà finanziarie riconducibili a fattori esterni, sottopone talvolta le commissioni tributarie (chiamate ad annullare le conseguenti sanzioni irrogate al contribuente) ad un esame esegetico della norma di cui all’art. 6, c. 5, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, a mente della quale “Non è punibile chi ha commesso il fatto per forza maggiore”.

Tale espressione letterale trae un laconico spunto da un precetto di origine penalistica e finisce con il disciplinare una causa di non punibilità dell’illecito tributario senza precisare, tuttavia, la portata della nozione di forza maggiore.

Oltre queste prime osservazioni, va comunque subito rilevato che il mancato versamento delle imposte differenzia l’ambito penale da quello amministrativo poiché, mentre ai fini della configurabilità del reato tributario è necessario che la violazione sia stata commessa con dolo, per le le violazioni amministrative non necessita la presenza di questo elemento soggettivo.

Inevitabile è stato il dibattito, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, circa la possibilità di configurare l’esimente della forza maggiore nel caso di crisi finanziaria del contribuente. In particolare, come si è accennato, si è posta la questione se il contribuente possa legittimamente giustificare l’omesso versamento delle imposte, dimostrando di essersi trovato in difficoltà finanziarie talmente gravi da non poter materialmente adempiere l’obbligazione tributaria.

La Corte di Cassazione ha però di recente emesso un interessante spunto di riflessione che ha chiarito l’ambito applicativo oggettivo di tale astratta esimente (Sez. V, Ord., 22-09-2017, n. 22153, ud. 19-7-2017).

Nella lite sottostante tale pronuncia, la società contribuente (versante in difficoltà economiche) invocava la sussistenza della causa di non punibilità, in relazione all’art. 6 D.Lgs. n. 472 del 1997, assumendo che tale stato di grave disagio rientrasse (secondo la tesi intrapresa) nel concetto di forza maggiore, a sua volta individuabile come energia esterna tale da impedire alla società di resistervi, con conseguente e giustificabile omissione dei versamenti (in relazione ad obbligazioni di imposta), anche in ragione del fatto che la parte ricorrente aveva preferito estinguere altre posizioni di debito nei confronti di altri creditori.

Ebbene, in ordine a tale teoria difensiva, la Corte ha affermato che tale assunto è in contrasto con il concetto di forza maggiore, richiamato nell’art. 6 D.Lgs. n. 472 del 1997, da interpretarsi in modo conforme a quello elaborato dalla giurisprudenza Europea.

Quindi si è ricordato che, con la sentenza della Corte di Giustizia CE C/314/06, al punto 24, è stato specificato che la nozione di forza maggiore, in materia tributaria e fiscale, comporta la sussistenza di un elemento oggettivo, relativo alle circostanze anormali ed estranee all’operatore, e di un elemento soggettivo, costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi (cfr. anche Ord. 18.1.2005 Causa C-325/03 P, Zuazaga Meabe/UAMI punto 25); un richiamo, quest’ultimo, non certamente isolato poiché va evidenziato che, sempre ad avviso della Corte di Giustizia CE, la nozione di forza maggiore non si limita all’impossibilità assoluta, ma deve essere intesa nel senso di circostanze anormali e imprevedibili, le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate malgrado l’adozione di tutte le precauzioni del caso (CGCE sent. 15.12.1994 causa C-195/91 P, Bayer/Commissione, punto 31, nonchè sent. 17.10.2002 causa C-208/01, Parras Medina punto 19).

Sulla scorta di queste premesse la stessa Corte di Cassazione, con il richiamato arresto, ha rammentato che, pertanto, sotto il profilo naturalistico, la forza maggiore si atteggia come una causa esterna che obbliga la persona a comportarsi in modo difforme da quanto voluto, di talchè essa va configurata, relativamente alla sua natura giuridica, come una esimente solo quando il soggetto passivo è costretto a commettere la violazione a causa di un evento imprevisto, imprevedibile ed irresistibile, non imputabile ad esso contribuente, nonostante tutte le cautele adottate.

La conclusione conforta le conclusioni della maggioritaria giurisprudenza di merito, già intesa ad evidenziare come per chi esercita una attività imprenditoriale (ex art. 2082 c.c.), il mancato puntale incasso dei crediti dallo stesso vantati nei confronti dei propri debitori, non può costituire sic et simpliciter una vis maior, in quanto tale eventualità certamente rientra tra i comuni rischi di una attività economica, cui l’imprenditore ben deve porre attenzione ed è tenuto a fronteggiare con la comune diligenza, ponendo in essere tutti quegli strumenti che l’ordinamento pone a sua disposizione per fronteggiare le difficoltà di liquidità e l’inadempimento dei crediti, (aumento del capitale sciale; cessione volontaria dei crediti; finanziamento garantito, azioni civili e amministrative nei confronti della Pubblica Amministrazione o dei privati inadempienti…). A ciò si aggiunga che in materia tributaria l’ordinamento consente, a chi si trova in difficoltà nel pagamento delle imposte, di poter anche ottenere la rateizzazione nel pagamento delle stesse. (CTP Caltanissetta n. 505 del 10 maggio 2017).

Tali argomentazioni appaiono peraltro coerenti con il fatto che, sempre la giurisprudenza tributaria di merito, è attestata nel senso di affermare che la crisi economica non è configurabile come causa di forza maggiore (cfr. CTR Piemonte n. 687/38/2016) nell’ipotesi in cui i mancati adempimenti tributari non risultano ascrivibili a fenomeni naturali o di terzi, ma derivano da difficoltà economiche strettamente attinenti alle dinamiche imprenditoriali e commerciali in alcun modo assimilabili a fattispecie di forza maggiore) (Ctr Bari n. 659 dell’ 1 marzo 2017).

Deve quindi osservarsi che la crisi di liquidità in ambito imprenditoriale non costituisce peraltro un evento imprevedibile sicchè è sempre onere della parte ricorrente specificare particolari eventi di natura eccezionale ed al tempo stesso di dimensione rilevante al fine di poter consentire la delibazione di un motivo che, altrimenti, resta genericamente dedotto e quindi infondato.

Una maggiore completezza di esposizione impone di sottolineare che alcuni giudici tributari hanno ritenuto però applicabile, in talune ipotesi, la descritta esimente ; ne sono un esempio:

  • il caso in cui un’azienda, a seguito di un improvviso ed imprevedibile stato di crisi (nel caso di specie dovuto alla perdita dell’unico cliente), abbia avuto difficoltà ad affrontare tutte le scadenze previste per la liquidazione Iva e per il saldo del modello Unico. (Ctp Lecce, Sez. I, del 23 luglio 2010);

  • la dimostrata situazione finanziaria per lo più causata dal tardivo pagamento di ingenti crediti vantati nei confronti di Pubbliche Amministrazioni sebbene diverse dall’Amministrazione Finanziaria (Ctp Roma n. 2021 del 30 gennaio 2017);

  • il mancato e comprovato pagamento dell’Iva da parte di numerosissimi clienti, fatto che configurerebbe le “eccezionali circostanze” previste dall’art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 472 del 1997 per la riduzione delle sanzioni (Ctr Milano, sez XII, n. 2516 del 9 giugno 2015).

24 novembre 2017

Antonino Russo