Il bonifico effettuato per mera liberalità configura una donazione tipica, nulla se manca l’atto pubblico

La donazione deve avvenire per atto pubblico, così recita il codice civile: in mancanza di atto pubblico una donazione effettuata tramite mero bonifico bancario è considerata nulla e oltre a conseguenze sul piano civilistico rischia di averne anche su quello fiscale.

1. Premessa

Il bonifico di una somma di denaro effettuato per mero spirito di liberalità, senza che, cioè, “a monte” sia giustificato da una diversa causa traslativa (pagamento del prezzo di un bene/servizio fornito dal beneficiario del bonifico) configura una donazione “diretta”, che necessita in quanto tale della forma dell’atto pubblico, pena la nullità dell’intera operazione.

In tal senso si sono espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18725 del 27/7/2017, intervenendo su un argomento molto “vivo” e di rilevante applicazione pratica, ovverosia l’individuazione dei confini che separano la donazione “diretta” da quella “indiretta”, operazione delicata e necessaria dalla quale discendono conseguenze diverse per le parti in causa.

2. Inquadramento degli istituti.

L’art. 769 c.c. definisce la donazione come “il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione”.

In merito alla forma da adottare, il Legislatore è stato tranciante disponendo (all’art. 782 c.c.) che la stessa deve essere fatta per atto pubblico, sotto pena di nullità1. Come ha osservato autorevole dottrina2 il rigore formale previsto dal Legislatore rinviene la propria ratio nell’esigenza di “indurre il donante a riflettere sulla gravità dell’atto che compie e che lo spoglia di un diritto senza alcun corrispettivo”.

Con l’art. 809 c.c.3, invece, sono state ammesse nell’ordinamento altre liberalità4, derivanti da atti diversi dal “contratto tipico di donazione” (e per questo definite “donazioni indirette o liberalità atipiche”), le quali (se da un lato) hanno in comune con lo schema tipico della donazione l’arricchimento del beneficiario senza alcun corrispettivo, per effetto dello spirito liberale del disponente (dall’altro) si distinguono da essa poiché tale arricchimento si realizza non in modo “diretto”, con l’attribuzione di un diritto o con l’assunzione di un obbligo da parte dello attore”, bensì in modo diverso (“indiretto” appunto), attraverso l’utilizzazione strumentale di negozi diversi. In questo caso, quindi, l’elargizione della liberalità viene attuata attraverso l’impiego di un negozio che (contestualmente all’effetto diretto che gli è proprio) produce anche l’effetto indiretto dell’arricchimento senza corrispettivo animus donandi del destinatario della liberalità.

3. L’intervento delle Sezioni Unite

Nel caso in esame, i giudici sono stati chiamati a decidere se l’attribuzione di strumenti finanziari compiuta “a titolo liberale attraverso una banca chiamata a dare esecuzione all’ordine di trasferimento dei titoli impartito dal titolare con operazioni contabili di addebitamento e di accreditamento” fosse sussumibile nello schema della “donazione tipica” (e come tale “subordinata all’adozione dello schema formale-causale della donazione”) ovvero fosse inquadrabile tra le liberalità non donative, sottratte in quanto tali alla forma dell’atto pubblico.

Che cosa era successo?

Il Tribunale di Trieste (in primo grado) aveva accolto la domanda della figlia del de cuius, dichiarando nulla la liberalità disposta da padre nei confronti di una “terza convenuta”, la quale “nella qualità di delegata, aveva dato ordine alla banca di trasferirli sul proprio conto”. Per difendersi, quest’ultima aveva sostenuto che l’attribuzione patrimoniale di cui aveva beneficiato dovesse essere qualificata in parte come “adempimento di obbligazione naturale”5 (tenuto conto del legame affettivo che la legava al de cuius e dell’assistenza prestata durante il corso della malattia) ed in parte “donazione indiretta”.

I giudici triestini, valorizzando invece la distinzione tra il negozio intercorso tra le parti (comprendente l’attribuzione patrimoniale) e l’ordine alla banca (negozio astratto ed autonomo rispetto ai rapporti inter partes), erano giunti alla conclusione che il trasferimento in esame non poteva essere qualificato come obbligazione naturale, bensì doveva essere considerato alla stregua di una donazione remuneratoria6, e come tale nulla per difetto di forma.

Tale pronunciamento era stato, però, ribaltato dai giudici di Appello, i quali avevano ricondotto il caso in esame alla fattispecie della donazione indiretta, per la cui validità il Legislatore non ha richiesto la forma dell’atto pubblico. Secondo i giudici di seconde cure “per integrare la liberalità di cui all’art. 809 cod. civ., non è indispensabile il collegamento “di due negozi, uno fra donante e donatario, e l’altro fa donante e terzo che realizza lo scopo-donazione”, ma basta un solo negozio, con il rispetto delle forme per esso previste”. Di conseguenza, l’ordine dato dal beneficiante all’istituto di credito doveva reputarsi idoneo a veicolare lo spirito di liberalità.

Proponeva ricorso per Cassazione la figlia del de cuius, sulla basa di due motivi, ai quali resisteva la controparte con controricorso.

Per risolvere la vexata questio i giudici di legittimità hanno dapprima operato “una ricognizione delle ipotesi più significative che l’esperienza giurisprudenziale ha ricondotto all’ambito della donazione indiretta e di quelle per le quali si è ritenuta invece necessaria l’adozione di un contratto di donazione

Alla prima fattispecie – donazione indiretta – sono state ricondotti ad esempio i casi di:

  • contratto a favore del terzo (Cass. civ. n. 2727/1968);

  • la co-intestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso una banca, qualora detta somma, all’atto della cointestazione, risulta essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari (Cass. civ. nn. 26983/2008, 12552/2000 e 3499/1999);

  • la co-intestazione di buoni postali fruttiferi, qualora sia accertata l’esistenza dell’animus donandi (Cass. civ. n. 10991/2013);

  • il pagamento di un’obbligazione altrui compiuto dal terzo per spirito di liberalità verso il debitore (Cass. civ. n. 1465/1969);

  • intestazione di beni a nome altrui (Cass. civ. n. 9282/1992);

  • contratto oneroso con fissazione di un corrispettivo molto inferiore al valore reale del bene trasferito ovvero eccessivamente altro, a beneficio, rispettivamente, dell’acquirente o dell’alienante (Cass. civ. nn. 10614/2016, 23297/2009, 1955/2007 e 13337/2006);

  • la rinuncia abdicativa (Cass. civ. nn. 3819/2015, 482/2013, 1545/1974 e 507/1967).

 

Alla seconda fattispecie donazione diretta sono state ricollegati invece i casi di:

  • il trasferimento del libretto di deposito a risparmio al portatore, realizzato dal depositante al terzo possessore al fine di compiere una liberalità (Cass. civ . n. 527/1973);

  • le liberalità attuate a mezzo di titoli di credito (cfr. ad esempio Cass. civ. n. 870/1950)7;

  • mera elargizione di somme di danaro di importo non modico mediante assegni circolari in fattispecie particolari (Cass. civ. n. 26746/2008);

  • accollo interno con cui l’accollante, allo scopo di arricchire un familiare con un proprio impoverimento, si sia impegnato nei confronti di quest’ultimo al pagamento alla banca delle rate del mutuo (Cass. civ. n. 7507/2006).

 

Superato questo primo step, l’attenzione degli Ermellini (piuttosto che concentrarsi sulla ricerca “del dato unificante delle liberalità non donative”) si è concentrata sull’individuazione degli aspetti che distinguono le liberalità non donative rispetto al contratto di donazione, situazioni individuate dalla dottrina nel fatto che le prime si realizzano:

  • con atti diversi dai contratti;

  • con contratti rispetto ai quali il beneficiario è terzo;

  • con contratti caratterizzati dalla presenza di un nesso di corrispettività tra attribuzioni patrimoniali;

  • con la combinazione di più negozi.

Fatta questa ampia premessa, la Suprema Corte è giunta a censurare l’operato dei giudici di appello che avevano considerato l’ordine di bonifico del disponente come atto idoneo a “veicolare lo spirito di liberalità”, qualificandolo – “sulla base di una ritenuta equiparazione all’operazione di cointestazione del deposito in conto corrente – come una donazione indiretta”.

In sintesi, secondo i giudici la fattispecie in esame non può essere ricondotta né nell’archetipo del contratto a favore di terzo né nello schema della cointestazione del deposito bancario: a differenza del primo caso, nel quale a favore del terzo nasce immediatamente un diritto azionabile verso il promittente, nel caso in esame il terzo beneficiario di un ordine di giro non acquista alcun diritto nei confronti della banca, considerata la natura di negozio giuridico unilaterale dell’ordine di bonifico, con conseguente estraneità del beneficiario; nel secondo caso, “il contratto di deposito titoli in amministrazione conserva integra la causa sua propria, senza alcuna implementazione liberale, collocandosi l’ordine di bonifico dato alla banca dal beneficiante nella fase di esecuzione del contratto bancario di riferimento”.

Per questi motivi gli Ermellini sono giunti alla conclusione che il trasferimento per spirito di liberalità di strumenti finanziari realizzato a mezzo banca, per mezzo di un ordine di bancogiro impartito dal disponente, non è sussumibile tra le donazioni indirette, configurando piuttosto una donazione tipica ad esecuzione indiretta.

Con l’inevitabile conseguenza che si impone la necessità della forma dell’atto pubblico “salvo che ricorra l’ipotesi della donazione di modico valore”.

4. Considerazioni conclusive

Con tale pronunciamento la Suprema Corte è intervenuta in modo deciso su una consuetudine largamente diffusa in ambiente familiare: non è insolito, infatti, che in occasione di ricorrenze/festività un padre faccia un bonifico al figlio ovvero i nonni ai nipoti.

Invero, l’odierno ricorso alla patologia della “nullità” (oltre a richiamare l’attenzione degli “attori” sulla necessità della forma pubblica) rappresenta una novità di non poco conto per gli eredi che si sentano lesi da tale liberalità.

Se, infatti, quest’ultimi (in presenza di una donazione valida) possono agire contro il beneficiario solo nel caso in cui la stessa sia lesiva della loro quota di “legittima”, nel caso di donazione nulla gli stessi non incontrano tali limitazioni, potendo agire per la restituzione a prescindere dal fatto che la donazione sia o meno lesiva dei diritti di legittima (in pratica il bene si configura come se non fosse mai uscito dalla sfera giuridica del donante).

Resta da capire come tale sentenza vada ad impattare sul versante fiscale. Facciamo riferimento, ad esempio, a quei pronunciamenti di legittimità (Cass. civ. nn. 634 del 2012 e 22118 del 2010) che hanno ritenuto dovuta l’imposta di donazione anche nel caso di trasferimento informale di denaro tra parenti stretti: se a fronte dell’odierno pronunciamento la donazione dovrà ritenersi nulla per mancanza di forma, si potrà continuare a pretendere la relativa imposta per l’elargizione effettuata on line? Difettando l’esistenza di un documento come finora ce lo siamo immaginati, in presenza di un mero bonifico si potrà ricorrere all’applicazione dell’art. 38 del DPR 131/1986 in base al quale la nullità non dispensa dall’obbligo di richiedere la registrazione e di pagare la relativa imposta?

I tempi sembrano maturi per un nuovo pronunciamento in merito alle conseguenze fiscali di tale importante pronuncia.

13 settembre 2017

Gianfranco Antico e Massimo Genovesi

 

NOTE

1 F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Edizioni scientifiche italiane, 2004; osserva l’autore: “dal punto di vista formale la donazione è negozio solenne perché richiede di necessità l’atto pubblico notarile (art. 782) e la presenza di due testimoni (art. 48, L. 13/89). Se i beni donati sono mobili (salvo l’universum rerum) si richiede la menzione del loro valore nel corpo dell’atto o in atto a parte… La forma pubblica non è però richiesta nel caso di donazione di modico valore di cosa mobile (c.d. donazione modale), là dove la forma è sostituita dalla traditio cioè dalla consegna (art. 783), anche simbolica: trattasi dunque di un contratto reale”.

2 A. Torrente e P. Schlesinger, Manuale di diritto Privato, Giuffrè, 2007.

3 Rubricato “Norme sulle donazioni applicabili ad altri atti di liberalità”.

4 Cfr. G. Chinè, M. Fratini, A. Zoppini, Manuale di diritto civile, Nel diritto editore, 2012. Scrivono gli autori a pag. 468: “Come è stato correttamente osservato, il rapporto tra negozio gratuito, liberalità e donazione è il seguente: il negozio gratuito è il genus, di cui la liberalità costituisce una species, della quale il contratto di donazione rappresenta la figura principale ma non l’unica. Non tutti i negozi gratuiti, dunque, sono liberalità perché come già detto e giova ripeterlo, le liberalità comportano l’impoverimento del soggetto agente e l’arricchimento del beneficiario. Sono atti gratuiti, ma non costituiscono liberalità, sia i contratti reali gratuiti (il comodato, il mutuo infruttifero, il deposito) sia i contratti gratuiti che abbiano ad oggetto un facere , tanto se tipici (mandato gratuito, trasporto), quanto se atipici (promessa gratuita di una prestazione d’opera manuale o intellettuale). Non tutte le liberalità, peraltro, sono donazioni: accanto alle liberalità donative (la vera e propria donazione ex art. 769 c.c.) esistono liberalità non donative, che comprendono una serie di atti che hanno la caratteristiche comune di produrre gli effetti propri della donazione, pur non essendo donazioni vere e proprie: es. donazioni indirette (art. 809 c.c.) e liberalità d’uso (art. 770, comma 2, cc)”.

5 L’art. 2034, c. 1 c.c. prevede che: “Non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali e sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace”.

6 L’art. 770, c.1 c.c. dispone che: “E’ donazione anche la liberalità fatta per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario o per speciale rimunerazione”.

7 Scrivono i giudici: “il fatto che l’obbligazione del donante sia incorporata in un titolo formale e astratto non muta la natura dell’obbligazione stessa, trasformando così la donazione diretta in indiretta. L’astrattezza del titolo nei rapporti tra le parti ha, infatti, funzione processuale, non anche sostanziale, restando il titolo formale pur sempre collegato al negozio sottostante”.