Stabilimenti balneari: arriva l'ombrellometro!

L’Agenzia delle entrate ha elaborato un nuovo strumento di accertamento analitico-induttivo per controllare gli stabilimenti balneari: l’ombrellometro. In questo articolo, partendo da una recente sentenza di Cassazione, vediamo come viene utilizzato questo strumento ed il suo valore processuale.

accertamento fiscale basato su ombrellometro per gli stabilimenti balneariLa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13561 del 30.05.2017, ha confermato la legittimità dell’ennesima variante di accertamento per antieconomicità: l’ombrellometro.

Nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della CTR dell’Emilia Romagna, che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva annullato l’avviso di accertamento impugnato dal contribuente, titolare di uno stabilimento balneare, con il quale era stato determinato, ai sensi degli artt. 39, c. 1, lett. d, D.P.R. n. 600/73 e 54 D.P.R. n. 633/72, un maggior reddito di impresa in relazione all’anno di imposta 2003.

Il giudice di appello aveva ritenuto che l’accertamento induttivo operato dall’Amministrazione finanziaria non fosse fondato su elementi certi, tali da poter integrare presunzioni dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

La Commissione Tributaria Regionale riteneva infatti che l’operato dell’Ufficio non potesse inquadrarsi nel paradigma normativo dell’art. 39, c. 1, lett. d, D.P.R. n. 600/73, anche considerato che l’accertamento si fondava in realtà su elementi che non potevano essere definiti certi, in quanto rivenienti da un accesso effettuato due anni dopo il periodo di imposta in questione, e tenuto altresì conto delle incongruenze riscontrabili nell’attività accertativa, con riferimento al numero degli ombrelloni effettivamente utilizzati e alla mancata considerazione del fatto che le strutture balneari sono utilizzate quasi esclusivamente nel fine settimana.

L’Agenzia delle Entrate, in sede di ricorso per cassazione, denunciava allora la violazione degli artt. 39, c. 1, lett. d, D.P.R. n. 600/73 e 54, c. 2, D.P.R. n. 633/72, deducendo che, a suo avviso, la Commissione Tributaria Regionale aveva erroneamente negato che le circostanze poste a fondamento dell’atto impositivo, (concernenti l’irrisorietà del reddito d’impresa dichiarato dal contribuente nel 2003 Euro 7.428,00, l’utilizzo di attrezzature da spiaggia – ombrelloni e lettini – in misura superiore a quella dichiarata nello studio di settore, e “le condizioni metereologiche particolarmente favorevoli dell’estate 2003”) costituissero elementi idonei a fondare una presunzione qualificata di maggior reddito.

L’Amministrazione Finanziaria affermava inoltre che il giudice di appello, anche ove avesse ritenuto inattendibili le percentuali di utilizzo delle attrezzature, avrebbe comunque dovuto procedere alla rideterminazione della effettiva entità dei ricavi non dichiarati, e non disporre l’annullamento integrale dell’avviso di accertamento.

Secondo i giudici di legittimità il ricorso per cassazione era da accogliere.

Premesso infatti che, secondo il consolidato orientamento della stessa Corte, è legittimo il ricorso all’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa ex art. 39, c. 1, lett. d, D.P.R. n. 600/73, anche in presenza di una contabilità formalmente corretta, ma complessivamente inattendibile, potendosi, in tale ipotesi, evincere l’esistenza di maggiori ricavi o minori costi anche in base a presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (ex multis, Cass., sez. trib., 05-11-2014, n. 23550), la Cassazione evidenzia che nell’avviso di accertamento erano state effettivamente evidenziate molteplici circostanze, rilevanti ai fini della valutazione circa la sussistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, idonee a sorreggere l’accertamento analitico-induttivo, effettuato dall’Ufficio in presenza di una contabilità formalmente corretta ma complessivamente inattendibile, anche sotto il profilo dell’antieconomicità del comportamento del contribuente

Tali elementi, secondo la Corte, non erano stati esaminati, ovvero non erano stati adeguatamente valutati dalla Commissione Tributaria Regionale.

Dopo il tovagliometro, il vinometro, abbiamo dunque ora anche l’ombrellometro.

Il cosiddetto tovagliometro e tutti gli strumenti estimativi del genere sono del resto, ormai, un tipo di accertamento sempre più usato dall’Amministrazione Finanziaria.

Al fine dunque di verificare, sotto il profilo sostanziale, quanto rappresentato in contabilità, e di approfondire eventuali incongruenze, l’Amministrazione Finanziaria mira così a ricostruire il reddito di impresa, prendendo a riferimento il numero di coperti, (o di ombrelloni, come nel caso di specie) utilizzato nel corso dell’anno oggetto di controllo.

L’inattendibilità delle scritture contabili, sotto il profilo della irregolarità della loro tenuta e della loro conservazione, legittima, come noto, l’accertamento analitico-induttivo di cui agli artt. 39 e 40 D.P.R. 600/73.

La complessiva e sostanziale inattendibilità della contabilità, del resto, può però essere confermata anche dall’antieconomicità nella gestione dell’impresa.

Come più volte confermato dalla Corte di Cassazione, infatti, “L’Amministrazione finanziaria può ricorrere alla determinazione induttiva del reddito imponibile, anche fuori dai casi previsti dall’art. 39, D.P.R n. 600/1973, laddove sia riscontrabile una grave ed ingiustificabile incongruenza fra i componenti positivi dichiarati e quelli desumibili dall’attività svolta…, anche alla luce di una sequenza di esercizi nei quali si registrano come risultati costanti perdite…” (vedi sentenza n. 24436 del 02.10.2008).

Al fine dunque di verificare, sotto il profilo sostanziale, quanto rappresentato in contabilità, e di approfondire le incongruenze eventualmente riscontrate, l’Ufficio potrà in questi casi procedere ad un controllo sulla rappresentazione dei ricavi, ricostruendoli anche sulla base dei clienti ed utilizzando, a tal fine, come parametro gli “strumenti” tipici dell’attività imprenditoriale oggetto di controllo (coperti utilizzati nel ristorante, o ombrelloni utilizzati nello stabilimento balneare che siano).

La Suprema Corte, già con la sentenza n. 1103 del 18.01.2017, aveva esteso tale ragionamento anche al consumo di vino, rilevando comunque che, se l’esito del metodo confligge con le possibilità teoriche di funzionamento dell’attività commerciale, viene meno l’attendibilità complessiva dell’accertamento.

Nel caso di specie l’accertamento attraverso l’uso del vino portava, per esempio, a presupporre un aumento notevole (eccessivo) delle possibilità di somministrazione pasti e tale fatto, secondo la medesima Corte, rendeva inattendibile il calcolo dell’Ufficio.

Nel rigettare il ricorso la Cassazione evidenziava però che non era in discussione la validità teorica dell’utilizzo del “vinometro”, quanto piuttosto la sua attendibilità nel caso concreto.

In conclusione, la validità del metodo accertativo andrà misurata (anche questa) caso per caso, laddove il ragionamento, in termini di economicità, consiste comunque nel ritenere che, in presenza di un comportamento che sfugga al parametro che l’impresa mira, “per sua natura”, a fare utili, è legittimo il sospetto che l’incongruenza sia soltanto apparente e che dietro di essa si celi una diversa realtà.

A fronte di gravi incongruenze gravi e perduranti nel tempo, l’Ufficio, secondo la Cassazione, può dunque, in teoria, dubitare della veridicità delle risultanze delle scritture contabili, seppur regolarmente tenute (v. Cass. 18038 del 9/9/2005 22698 del 9/9/2008) e procedere, in pratica e previa verosimile ricostruzione, all’accertamento ai sensi degli artt. 39 co. 1, lett. d), del DPR 600/73 e 54 c. 2 del DPR 633/72.

Che poi si chiami tovagliometro, bottigliometro, vinometro o ombrellometro, poco cambia.

 

6 giugno 2017

Giovambattista Palumbo