Fatture per operazioni soggettivamente inesistenti: convenienza da dimostrare

nell’ambito delle frodi carosello, la dimostrazione dei reati in materia di IVA perpetrati dalla società fornitrice non è sufficiente a riqualificare come inesistenti tutte le operazioni poste in essere dalla stessa nei confronti dei propri clienti

Amor_sulla_BilanciaLa vicenda trae la propria origine da un controllo dell’Amministrazione Finanziaria riguardante una Società che aveva intrattenuto rapporti con un proprio fornitore, a sua volta risultato quale “mente” di frodi carosello perpetrate nel corso degli anni e finalizzate ad evadere l’IVA, potendo così porre sul mercato beni ad un prezzo più basso rispetto alla media del settore.

A seguito del controllo effettuato l’Amministrazione provvedeva a riqualificare ogni operazione, posta in essere dalla Società in commento con il suddetto fornitore, come soggettivamente inesistente ai fini IVA e, conseguentemente, a disconoscere la detraibilità dell’imposta.

Il contribuente si costituiva quindi in giudizio sostenendo la propria buona fede ed eccependo che dette operazioni, non solo erano state realmente effettuate, ma prevedevano anche l’applicazione di prezzi congrui rispetto al mercato di riferimento.

Secondo la recente giurisprudenza, la prova della mala fede e del coinvolgimento in operazioni del tipo in commento può consistere in anomale modalità dei rapporti di acquisto e di pagamento intrattenuti con le società fornitrici dalla contribuente o nella mancanza di idonea documentazione sui trasferimenti della merce o negli ingenti guadagni ottenuti con il meccanismo fraudolento attuato (Cass. 07.03.2014 n. 5345); nella acquisizione di materiali a prezzi più contenuti al fine di praticare prezzi di vendita più bassi, con alterazione a proprio favore del libero mercato (Cass. 26.03.2014 n. 7029).

In tal senso, la Commissione Tributaria Provinciale di Parma con la sentenza n. 90/02/17 pronunciata il 16.01.2017 e depositata il 14.02.2017, accogliendo il ricorso del contribuente riconosce che, in assenza di prove che dimostrino l’indebita convenienza delle operazioni poste in essere dalla ricorrente, non è possibile asserire che la stessa abbia agito in mala fede e, quindi, disconoscere il diritto alla detrazione dell’IVA relativa alle fatture contestate.

Ulteriore prova della buona fede del contribuente, è stata riscontrata nell’impossibilità dell’Amministrazione di provare, nonostante lo svolgimento delle operazioni a valore di mercato, l’esistenza di una qualunque forma di restituzione del prezzo pagato per le merci.

13 marzo 2017

Giuseppe Zambello