L'interrogatorio a sorpresa non rende nullo l’accertamento

il caso del contribuente invitato dall’Agenzia delle entrate a presentare documentazione e a rispondere ad una una serie di domande riguardanti l’attività e il processo produttivo, con richiesta di “numeri” e “percentuali”

Galileo_before_the_Holy_OfficeLa CTP di Reggio Emilia, con la sentenza n. 38/2/2017, ha ritenuto illegittimo l’accertamento di maggiori ricavi, nei casi in cui gli elementi utilizzati per la ricostruzione sono stati acquisiti nel corso dell’interrogatorio “a sorpresa” del Legale Rappresentante della società1.

Il fatto

La vicenda investe una società esercente l’attività di produzione di prodotti di panetteria freschi, il cui rappresentante legale veniva invitato a presentarsi “personalmente” presso il locale ufficio delle Entrate, al fine di consegnare documentazione contabile e fiscale.

In questa sede, il contribuente veniva sottoposto anche una serie di domande (quattro pagine di domande preconfezionate) riguardanti l’attività e il processo produttivo, con richiesta di “numeri” e “percentuali”.

I giudici della Commissione Tributaria Provinciale, nello specifico, in ordine alle dichiarazioni del Legale Rappresentante, invitato a presentare documentazione, e poi sottoposto ad un contraddittorio sulle modalità gestionali dell’impresa, hanno ritenuto che ciò determini la violazione dell’art. 10 dello Statuto dei contribuenti, secondo cui: rapporti tra contribuente e Amministrazione Finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”, con la naturale (secondo i giudici) conseguenza della illegittimità dell’accertamento: non può che conseguirne l’illegittimità del comportamento dell’Agenzia che ha proceduto ad un atto, l’interrogatorio, della cui eventualità il Legale Rappresentante non era stato edotto, con ciò violando il principio di buona fede cui è tenuta la P.A; ancor di più suscita dubbi, in ordine alla correttezza del comportamento dell’Agenzia, il fatto che lo Stesso sia stato, esplicitamente, invitato a presentarsi personalmente, essendo, l’utilizzo dell’avverbio, sintomo del fatto che l’Agenzia avesse già predisposto le domande e volesse essere ‘sicura’ che fosse il Legale Rappresentante a presentarsi, onde poterlo ‘interrogare’, e non un suo inviato; insomma il comportamento dell’Agenzia è lesivo del richiamato principio e, pertanto, tutte le informazioni ottenute dalle suddette risposte debbono considerarsi inutilizzabili in sede contenziosa; c) da tutto quanto detto consegue che l’Agenzia ha illegittimamente utilizzato la metodologia di accertamento induttiva e, dunque, l’atto impugnato risulta illegittimamente emesso e va annullato”.

Breve nota

La particolare sentenza della Commissione tributaria Emiliana offre sicuramente una serie di spunti di interessi.

Il primo aspetto che merita di essere evidenziato è che nel caso di specie nessuna attività esterna è stata posta in essere. Si tratta del cd. controllo a tavolino, dove l’ufficio richiede una serie di documenti ai fini del controllo sostanziale, e quindi, per giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, non sono estendibili le garanzie proprie previste dall’art. 12, dello Statuto del contribuente. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sent. n. 24823/2015) ha affermato che “le garanzie fissate nell’art. 12, comma 7, l. 212/2000 trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente; ciò, peraltro, indipendentemente dal fatto che l’operazione abbia o non comportato constatazione di violazioni”, ha ribadito che “Differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’ atto. Ne consegue che, in tema di tributi ‘non armonizzati’, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi ‘armonizzati’, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto“.

In pratica, per la Corte la previsione dell’art. 12, c. 7, della L. n. 212/2000 “non è fonte di un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale a carico dell’Amministrazione fiscale”; e, dunque, non sussiste nessun obbligo da parte dell’Amministrazione, “ogni qual volta si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente e pur in assenza di specifica norma positiva che per quel provvedimento lo sancisca, di attivare con l’interessato contraddittorio preventivo, pena l’invalidità dell’atto.

Inoltre, gli stessi giudici escludono che “una clausola generale di contraddittorio endoprecedimentale in campo tributario possa essere riferita a norme ordinarie dell’ordinamento nazionale diverse da quella di cui all’art. 12, comma 7, l. 212/2000”. Si rinvengono, viceversa, una serie di disposizioni che impongono tale contraddittorio, peraltro a condizioni e con modalità ed effetti differenti, in rapporto a singole ben specifiche ipotesi. Resta fermo che “nell’ordinamento nazionale non esiste, allo stato, un principio generale, per il quale, anche in assenza di specifica disposizione, l’Amministrazione sarebbe tenuta ad attivare il contraddittorio endoprocedimentale ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente”. Né si rinvengono obblighi costituzionali: “l’esistenza di un generalizzato obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale in campo tributario non può essere direttamente ancorato agli artt. 24 e 97 Cost.”. In particolare, l’art. 97 Cost. non reca alcun indice rivelatore dell’indefettibilità del contraddittorio endoprocedimentale. Per la Corte “tutti i parametri normativi di riferimento portano, dunque, recisamente ad escludere che, sulla base della normativa nazionale, possa, in via interpretativa, postularsi l’esistenza di un principio generale, per il quale l’Amministrazione finanziaria, anche in assenza di specifica disposizione, sia tenuta ad attivare, pena la nullità dell’atto, il contraddittorio endoprocedimentale ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente”.

In ordine all’interrogatorio a sorpresa è d’uopo qui ricordare che l’art. 32, c. 1, n. 2, del D.P.R. n. 600/73, consente agli uffici di “invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti”, così come il successivo n. 3 consente di documenti rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti, e il n. 4 di inviare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti nonche’ nei confronti di altri contribuenti con i quali abbiano intrattenuto rapporti, con invito a restituirli compilati e firmati.

Normativamente appare, quindi, legittimo il comportamento dell’ufficio, che ha cercato in ogni caso solo di instaurare un contraddittorio per capire come funziona l’impresa, in linea, peraltro, con le metodologie di controllo. La critica che viene mossa attiene, pertanto, alla tempistica: il contribuente deve essere previamente informato; al di là del fatto, che avrebbe potuto richiedere l’assistenza del consulente ovvero riservarsi, resta fermo che l’ufficio ha solo rivolto domande sull’attività produttiva.

Resta ferma che non appare condivisibile l’interpretazione fornita dai giudici in ordine all’inutilizzabilità degli elementi raccolti, in aperto contrasto con quanto asserito nel corso di questi anni dalla Corte di Cassazione2. Infatti, nell’attività istruttoria, i presunti effetti invalidanti dell’acquisizione degli elementi probatori, in assenza di preclusioni specifiche, non rinvenibili né nel dettato normativo né nell’ordinamento tributario, sono ostacolati dalle stesse norme sull’accertamento (peraltro richiamate dalla stessa Cassazione nelle due ordinanze nn. 8605 e 8606 del 2015) che consentono all’Amministrazione finanziaria di ricostruire la posizione reddituale del contribuente sulla base di tutti gli elementi che, a qualsiasi titolo ed a prescindere dalla fonte di provenienza, siano entrati nella sfera di conoscenza dell’Amministrazione medesima:

  • l’art. 36 del D.P.R. n. 600/1973, che prescrive che “i soggetti pubblici incaricati istituzionalmente di svolgere attività ispettive o di vigilanza nonché gli organi giurisdizionali civili e amministrativi che, a causa o nell’esercizio delle loro funzioni, vengono a conoscenza di fatti che possono configurarsi come violazioni tributarie devono comunicarli direttamente ovvero, ove previste, secondo le modalità stabilite da leggi o norme regolamentari per l’inoltro della denuncia penale, al comando della Guardia di finanza competente in relazione al luogo di rilevazione degli stessi, fornendo l’eventuale documentazione atta a comprovarli“;

  • l’art. 37, c. 1, del D.P.R. n. 600/1973, che afferma che ”gli uffici…procedono….al controllo delle dichiarazioni …attraverso …le informazioni di cui siano comunque in possesso“;

  • l’art. 38, c. 3, del D.P.R. n. 600/1973, che statuisce che “l’incompletezza, la falsità e l’inesattezza della dichiarazione, salvo quanto stabilito dall’art. 39, possono essere desunte … dai dati e dalle notizie di cui all’articolo precedente“ (da individuarsi nell’art. 37);

  • l’art. 39, cc. 1 e 2, del medesimo D.P.R. n. 600/1973 che, rispettivamente, in tema di rettifica analitica ed induttiva dei redditi determinati in base a scritture contabili, contemplano la possibilità di rilevare l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati in dichiarazione da altri atti e documenti in possesso dell’ufficio, nonché di determinare induttivamente il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza;

  • l’art. 41, cc 1 e 2, del D.P.R. n. 600/1973, che consente agli uffici di procedere all’accertamento d’ufficio nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di dichiarazioni nulle, “sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza“;

  • gli artt. 41-bis del D.P.R. n. 600/1973 e 54, c. 5, del D.P.R. n. 633/1972, che permettono agli uffici di procedere ad accertamento qualora risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile;

  • l’art. 55 del D.P.R. n. 633/1972, in tema di accertamento induttivo ai fini Iva, che permette, così come ai fini delle imposte sui redditi, la determinazione dell’imponibile complessivo e dell’aliquota applicabile sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza.

17 maggio 2017

Gianfranco Antico

1 Cfr. sul tema BORGOGLIO, L’interrogatorio a sorpresa del Fisco rende nullo l’accertamento, in Il fisco, n. 12/2017, pag. 1191.

2 Cfr. Cass. ord.n. 9760 del 13 maggio 2015 (ud. 15 aprile 2015), che ha confermato l’utilizzabilità della cd. lista Falciani. Nell’ordinamento tributario non si rinviene una disposizione analoga a quella contenuta all’art. 191 c.p.p., a norma del quale “le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate“. La Corte, quindi, indica i principi normativi dai quali inferire la piena utilizzabilità del materiale del quale qui si discute. “Ed infatti, tanto il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, che l’art. 41, comma 2, e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, comma 1, prendono esplicitamente in considerazione l’utilizzo di elementi ‘comunque’ acquisiti, e perciò anche nell’esercizio di attività istruttorie attuate con modalità diverse da quelle indicate nel D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 33 e nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51. Tali disposizioni individuano, quindi, un principio generale di non tipicità della prova che consente l’utilizzabilità – in linea di massima – di qualsiasi elemento che il giudice correttamente qualifichi come possibile punto di appoggio per dimostrare l’esistenza un fatto rilevante e non direttamente conosciuto. Ciò che trova, peraltro, un limite quando gli elementi probatori siano stati direttamente acquisiti dall’Amministrazione in spregio di un diritto fondamentale del contribuente”. Inoltre, “l’eventuale responsabilità penale dell’autore materiale della lista – questione che esula dalla vicenda processuale odierna, non risultando la condotta nemmeno posta in essere in Italia … e, comunque, l’illiceità della di lui condotta nei confronti dell’istituto bancario presso il quale operava non è in grado di determinare l’inutilizzabilità della documentazione anzidetta nel procedimento fiscale a carico del contribuente utilizzata dal Fisco italiano al quale è stata trasmessa dalle autorità francesi. Nè l’utilizzazione, nel procedimento amministrativo volto all’accertamento di violazioni di natura fiscale, dei documenti provenienti dalla lista XXX determina una lesione di diritti costituzionalmente garantiti del contribuente”.