L'istanza di fallimento contro una società in contabilità semplificata: è possibile difendersi

se viene presentata un’istanza di fallimento contro una società in contabilità semplificata, il debitore può provare di non possedere i requisiti di fallibilità anche se non ha depositato il bliancio d’esercizio? Proponiamo alcune ipotesi di difesa…

Cosa accade quando viene promossa istanza di fallimento ad una società di persone in contabilità semplificata? Su chi ricade l’onere della prova dell’esenzione dalla procedura concorsuale per assenza dei requisiti e cosa rischia la società in contabilità semplificata cui viene promossa istanza di fallimento?

La Legge Fallimentare, nella formulazione attuale, dispone che siano soggetti alla disciplina del Fallimento e del Concordato Preventivo gli imprenditori commerciali che dimostrino di non possedere i requisiti dimensionali e di indebitamento previsti dall’art. 1, comma 2, R.D. e che si trovino in stato di insolvenza.

Il primo requisito soggettivo è, quindi, la qualifica di imprenditore commerciale; sono sottratti pertanto alla disciplina gli imprenditori agricoli e gli enti pubblici, questi ultimi per espressa previsione del comma 1, art. 1, L.F.

Sono altresì sottratti al fallimento – sulla base dei c.d. requisiti soggettivi negativi – gli imprenditori commerciali che dimostrino congiuntamente di:

  1. a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;
  2. b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;
  3. c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.

Nel delineare i requisiti soggettivi negativi, la Legge Fallimentare distingue quindi l’imprenditore commerciale – soggetto al fallimento – da quell’imprenditore che, seppur svolgendo una attività commerciale – nel rispetto e possesso dei tre requisiti – sia da considerarsi “piccolo”[1] dal di vista fallimentare e quindi sottratto alla disciplina stessa del fallimento.

 

Requisito oggettivo richiesto dalla normativa è poi lo stato di insolvenza, come disciplinato dall’ art. 5 L.F.

Si trova nello stato di insolvenza, infatti, l’imprenditore che non è più in grado di soddisfare con regolarità le proprie obbligazioni, o che le soddisfa ricorrendo a strumenti diversi dal denaro; l’insolvenza può manifestarsi anche da particolari comportamenti dell’imprenditore (art. 7 L. F.) tra cui vi sono fuga o latitanza, chiusura dei locali dell’impresa, e il trafugamento, la sostituzione o la diminuzione fraudolenta dell’attivo.

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Al fine di valutare la fallibilità o meno di un imprenditore commerciale si impongono delle considerazioni legate alla tenuta dei libri obbligatori e sulle scritture contabili.

L’art.2214 c.c. stabilisce quelli che sono i registri obbligatori per tutti gli imprenditori commerciali.

Esso prevede che l’imprenditore che esercita un’attività commerciale deve tenere il libro giornale e il libro inventari.

Inoltre deve tenere le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa e conservare in modo ordinato la corrispondenza (lettere, telegrammi, fatture inviate e ricevute).

I soli soggetti che sono sottratti a tale disposizione sono gli imprenditori agricoli ed i piccoli imprenditori.

La nozione di questi ultimi è contenuta nell’art.2083 c.c. che definisce piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia.

Come appare evidente la nozione codicistica di “piccolo imprenditore”, rappresenta una definizione qualitativa e non dimensionale, tuttavia, proprio per evitare i problemi interpretativi che si erano avuti anche all’indomani della riforma del 2006, con il c.d. Decreto correttivo alla riforma fu espunto ogni riferimento ad esso dalla Legge Fallimentare, lasciando unicamente i requisiti dimensionali massimi che congiuntamente devono sussistere.

Le imprese, individuali e collettive, alle quali si applicano quindi le disposizioni contenute nell’art.2214 c.c. (tenuta delle scritture contabili) sono quelle che hanno l’obbligo di iscrizione alla sezione ordinaria del registro delle imprese.

Pertanto – a dispetto dell’esigenza fiscale – anche le società di persone in contabilità semplificata, sono tenute a redigere a fine anno il libro inventari ed alla stampa del libro giornale[2], ma mentre quest’ultimo può essere sostituito dai registri iva integrati di quelle scritture “non IVA”, questo non può accadere il libro inventari.

Ai sensi dell’art. 2217 c.c. nel libro inventari occorre riportare la descrizione analitica delle singole attività e passività con la loro valutazione e il bilancio, ovvero Stato patrimonialeConto economico e Nota integrativa.

Orbene, le società di persone in contabilità semplificata non dispongono delle informazioni per la redazione di questo documento, a meno di non effettuare a fine anno una ricognizione delle consistenze dell’attivo, del passivo, dei debiti e dei crediti, che sarebbero emersi in caso di tenuta ordinaria delle scritture contabili.

Questo risulta pregiudizievole in caso di ricognizione prefallimentare per le società di persone in contabilità semplificata?

Di notevole importanza, poiché supera i gravi problemi interpretativi emersi in passato in materia di distribuzione dell’onere della prova del presupposto soggettivo del fallimento, è la disposizione, contenuta nel comma 2, art. 1 L.F. volta a precisare che grava sul debitore l’onere di fornire la prova dei requisiti di non fallibilità, intesi come fatti impeditivi della dichiarazione di fallimento.

E’ infatti onere dell’imprenditore fallendo dimostrare di non aver superato, nel periodo di riferimento, alcuno dei tre parametri dimensionali previsti dalla norma in esame.

Come sottolineato in sede nella relazione illustrativa al Decreto Legislativo 12 Settembre 2007, n. 169 in tal modo “Si evita, così, di “premiare” con la non fallibilità quegli imprenditori che scelgono di non difendersi in sede di istruttoria prefallimentare o che non deposito la documentazione contabile dalla quale sarebbe possibile rilevare i dati necessari per verificare la sussistenza dei parametri dimensionali. In tale modo, qualora gli elementi probatori, dedotti dalle parti o acquisiti d’ufficio, non sono sufficienti a fornire la prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità, l’imprenditore, permanendo l’incertezza sulla sussistenza o meno dei requisiti soggettivi di esenzione dal fallimento, resta assoggettato alla procedura fallimentare.”

La giurisprudenza della Corte Costituzionale[3] che quella della Corte di Cassazione[4] hanno ribadito, tuttavia che anche dopo il d.lgs. correttivo del 2007, “nella materia fallimentare vi è un ampio potere di indagine officioso in capo allo stesso organo giudicante. Di ciò è sicuro indice non solo la previsione contenuta nella fine del quarto comma dell’art. 15 legge fallimentare, là dove si precisa che il tribunale, dopo aver ordinato al debitore fallendo il deposito dei bilanci relativi agli ultimo tre esercizi nonché atti da cui risulti una situazione economica aggiornata, può comunque chiedere informazioni urgenti, potendosi a tal fine avvalere, evidentemente, di ogni organo pubblico a ciò competente, ma anche quanto previsto alla lettera b) del secondo comma dell’art. 1 della legge fall, ove è chiarito che i dati relativi all’ammontare dei ricavi lordi realizzati dal debitore nel triennio antecedente alla data di deposito della istanza di fallimento sono utilizzabili in “qualunque modo risulti” e quindi non soltanto sulla base delle allegazioni probatorie del debitore“.

È a questi principi che si è riportato il Tribunale di Milano, che con il decreto del 28 febbraio 2017 ha respinto per insussistenza dei requisiti di fallibilità il ricorso presentato nei confronti di una società di persone in contabilità semplificata.

Nel caso in esame, dall’istruttoria pre-fallimentare risultava sicuramente che il soggetto alla ricognizione era un imprenditore commerciale; la società aveva però optato per la tenuta semplificata delle scritture contabili fiscali, non redigendo – pur essendone obbligata – il libro inventari.

Il Giudice delegato, nella sua ricognizione ha rilevato l’insussistenza dei requisiti per il fallimento in base ad altri elementi, posto che essa può essere dimostrata con ogni mezzo probatorio idoneo allo scopo; ferma restando l’oggettività del dato formale del mancato deposito dei bilanci di per sé certamente rilevante su altri piani, quali quello della responsabilità degli amministratori e dei liquidatori per la violazione dell’obbligo legale di deposito[5].

Per quanto attiene i ricavi si è fatto riferimento ai dati fiscali presenti in dichiarazione dei redditi, mentre per quanto attiene ai debiti sia al credito vantato dal debitore istante che ad un recente estratto di ruolo dell’agente della riscossione

In merito all’attivo si evidenziava sia l’esito del pignoramento tentato dal creditore istante sia quanto emergeva dalla documentazione bancaria fornita in sede di istruttoria.

Infine la società aveva presentato una dettagliata relazione che dimostrava come nell’arco temporale analizzato, la modesta produzione di ricavi non avrebbe mai potuto realizzare crediti di attivo circolante, superiore alle soglie previste.

Dall’esame di quanto sopra, il Giudice ha rilevato l’insussistenza dei requisiti per il fallimento.

Il caso de quo dimostra come la contabilità semplificata, sia una opzione a disposizione di tutti gli imprenditori, commerciali e non commerciali, piccoli e non piccoli, ma che risponde ad esigenze di disciplina ed informazioni fiscali. Il dettato del codice civile in tal senso è molto più rigoroso, e rappresenta un rischio che la società di persone deve tenere in conto, qualora si manifesti lo stato di insolvenza. Certo, questo non costituisce, come si è visto, un problema insormontabile, ma richiede “uno sforzo” che non sempre le società sono in grado o vogliono affrontare esponendosi così in caso di sentenza di fallimento, all’immediata contestazione del reato di bancarotta documentale proprio in ragione del fatto che pur essendo tenuta alla redazione del libro giornale e del libro inventari, la società di persone in contabilità semplificata, non ha redatto alcuno di questi documenti.

26 aprile 2017

Valeria Nicoletti

Leandro Canino

[1] Con il D.lgs 12 settembre 2007 n.169, il Legislatore elimina ogni riferimento alla nozione di “piccolo imprenditore” dalla Legge Fallimentare, ponendo fine ai problemi interpretativi che ciò aveva comportato.

[2] Sul punto vedasi in materia di reati fallimentari la sentenza della Corte di Cassazione n. 28923 del 17 luglio 2012, dove sebbene i giudici confermino l’autonomia della disciplina fiscale rispetto a quella civilistica, i medesimi attestano che il richiamo ai libri previsti dalla legge dell’articolo 18 D.P.R. 600/1973 si riferisce agli obblighi regolati dall’articolo 2214 cod. civ. e non alle scritture contabili previste dalle leggi fiscali.

[3] Corte Costituzionale, sentenza. 1 luglio 2009 n. 198

[4] Corte di cassazione, sentenza 5 novembre 2010 n. 22546

[5] Vedasi anche Corte di Appello di Torino, sentenza 9 maggio 2011