Richiesta di risarcimento del danno, anche non patrimoniale, per notifica di cartella esattoriale errata

una recentissima sentenza di Cassazione tratta del risarcimento del danno – patrimoniale e non patrimoniale – a favore del contribuente che riceve una cartella esattoriale errata: la sentenza analizza le responsabilità della pubblica amministrazione (nel caso in esame la società di riscossione e un Comune quale ente impositore), pertanto ne offriamo un riassunto ragionato

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 7437 del 23.3.2017, ha chiarito un interessante aspetto, in tema di possibilità di risarcimento del danno non patrimoniale in caso di ricezione di un’errata cartella.

Nel caso di specie, il contribuente conveniva dinanzi al giudice di pace di Catania SERIT Sicilia S.p.A. (attualmente Riscossione Sicilia S.p.A.) e il Comune di Catania chiedendone la condanna solidale a risarcirgli danno patrimoniale e danno non patrimoniale, che sarebbero a lui derivati dall’emissione di ruoli e cartelle esattoriali di pagamento poi annullati.

Il danno patrimoniale veniva indicato nelle spese del relativo giudizio sfociato nell’annullamento.

Per il danno non patrimoniale si chiedeva invece una liquidazione equitativa.

Il giudice di pace di Catania, in accoglimento della domanda risarcitoria, condannava solidalmente i convenuti a corrispondere all’attore la somma di 1.000 Euro, “quale rifusione del danno patrimoniale e morale“, nonché a rifondergli le spese di causa. Avendo proposto appello principale SERIT Sicilia S.p.A. e appello incidentale il Comune di Catania, il Tribunale di Catania dichiarava inammissibile l’appello incidentale e rigettava quello principale.

Riscossione Sicilia S.p.A. presentava infine ricorso per cassazione, denunciando violazione del principio del giudicato (ne bis in idem), dal momento che il giudice che aveva annullato le cartelle aveva già compensato le spese processuali, e dunque, a suo avviso, il giudice di pace che aveva condannato l’Ente al risarcimento del danno patrimoniale aveva violato il relativo giudicato.

Il ricorrente denunciava poi, tra le altre, che, quanto al danno non patrimoniale, occorreva in realtà valutare la gravità dell’offesa, in quanto la lesione deve in tali casi superare una soglia minima, al fine di bilanciare il principio di solidarietà nei confronti della vittima del danno con il principio di tolleranza.

E nel caso in esame, ad avviso del ricorrente, mancava il requisito minimo per la risarcibilità, non avendo controparte spiegato quale prostrazione psicologica e quale senso di pericolo e di impotenza potessero esserle derivati dal rischio di dover versare al Comune di Catania la complessiva somma di Euro 428,19, tenuto conto anche della sua professione (avvocato).

Il ricorrente, infine, denunciava anche violazione e mancata applicazione degli articoli 2-quater d.l. 564/1994 e 1 D.M. 37/1997, affermando che l’agente di riscossione non poteva comunque autonomamente annullare la cartella esattoriale, neanche dopo l’esito favorevole al contribuente di una causa, poiché titolare del credito non è l’agente, bensì l’ente impositore, con la conseguenza che il contribuente che ottiene una sentenza a lui favorevole, per evitare atti esecutivi dell’agente di riscossione, dovrebbe chiedere all’ente impositore l’emissione di un provvedimento di sgravio della cartella esattoriale. E nel caso di specie l’ente impositore, il Comune di Catania, aveva comunicato al ricorrente concessionario lo sgravio tardivamente. Pertanto nessuna responsabilità aveva in realtà la ricorrente, che quindi non avrebbe dovuto risarcire danni, restando responsabile, semmai, il solo ente impositore.

La Corte di Cassazione, riguardo alla prima censura, cioè la pretesa violazione del giudicato, ricordava che il giudice d’appello l’aveva ritenuta infondata perché, pur avendo l’attore chiesto il risarcimento del danno patrimoniale identificato nelle spese processuali della causa di opposizione alle cartelle esattoriali (nella quale la decisione passata in giudicato aveva compensato le spese di lite), il giudice di prime cure non aveva però accolto tale domanda, riconoscendo e liquidando in realtà (nonostante un ambiguo dispositivo) solo il danno non patrimoniale.

Per quanto concerneva, poi, il danno non patrimoniale, la censura, secondo la Corte, aveva in realtà una inammissibile natura fattuale, chiedendosi al giudice di legittimità di revisionare l’accertamento operato dal giudice di merito sulla sussistenza del danno.

L’ultimo motivo, infine, era eccentrico, perché fondava i suoi argomenti sulla titolarità del credito e quindi sui limiti della incidenza, nella vicenda giuridica, dell’agente di riscossione, non abilitato ad emettere alcun provvedimento di sgravio della cartella esattoriale, laddove, in realtà, la responsabilità che era stata identificata in capo al ricorrente non derivava dalla mancanza di sgravio, bensì dalla omessa cancellazione dell’ipoteca e dalla segnalazione di insoluti.

L’occasione della sentenza è utile per approfondire il tema della possibile richiesta di risarcimenti legati ai procedimenti tributari.

Si pensi appunto, per esempio, all’ipotesi (come quella trattata dalla sentenza in commento) in cui il contribuente rivendichi il risarcimento di danni (anche esistenziali) patiti a seguito del mancato annullamento, da parte dell’ufficio tributario, di una cartella di pagamento palesemente illegittima (o emessa per un tributo già corrisposto), che ha comportato, per esempio, l’emissione del c.d. fermo amministrativo del veicolo e la successiva impossibilità di utilizzazione del mezzo.

Limitandosi ad esaminare le controversie aventi ad oggetto la responsabilità extracontrattuale, di cui all’articolo 2043 del codice civile, ai sensi del quale “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”, il contribuente, che si assuma danneggiato, dovrà in tali casi dimostrare:

  • l’esistenza di un comportamento doloso o colposo da parte dell’A.F., anche sotto forma di omissione;

  • il verificarsi di un danno ingiusto;

  • il nesso di causalità tra la condotta illecita dell’agente e l’evento dannoso;

  • la natura e la quantificazione del danno subito, sia che esso attenga al profilo patrimoniale (perdita o mancato guadagno), sia che rientri nella sfera del danno non patrimoniale (morale, esistenziale…);

  • l’assenza di cause di esclusione dell’antigiuridicità della condotta (caso fortuito, forza maggiore, stato di necessità…), oppure di fatti estintivi dell’obbligazione extracontrattuale (maturazione del termine quinquennale della prescrizione di cui all’articolo 2947 del codice civile).

La responsabilità risarcitoria del Fisco non deriva comunque, come mero automatismo, dall’illegittimità dell’atto impositivo, occorrendo la sussistenza contestuale di tutti gli elementi sopra evidenziati.

La prima questione da porsi in tali casi riguarda, in ogni caso, la giurisdizione.

Al fine di individuare il giudice competente a dirimere le controversie di tipo risarcitorio nei rapporti con il Fisco, infatti, si sono più volte pronunciate le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiamate a dirimere i contrasti di giurisdizione.

La Suprema Corte ha quindi escluso la giurisdizione delle commissioni tributarie sul presupposto che l’azione intentata dalla parte privata per l’ottenimento di un risarcimento danni risulta del tutto autonoma rispetto alle controversie tributarie, essendo cessato qualunque rapporto tributario tra contribuente e Amministrazione Finanziaria e non potendo neppure equipararsi l’azione risarcitoria alle controversie aventi ad oggetto gli “altri accessori” dell’obbligazione tributaria.

La Cassazione (SS.UU. sent. 15/07), pur constatando l’avvenuto ampliamento della giurisdizione tributaria, ha escluso infatti la competenza delle commissioni tributarie, evidenziando che, nella specie, “la posizione dedotta è quella della lesione patrimoniale che si assume subita per un illecito comportamento della p.a. rispetto a un rapporto tributario ormai del tutto esaurito che opera solo come sfondo e che non assume alcuna connessione determinante rispetto alla richiesta di risarcimento dei danni”.

Ciò che la Corte riconosce è comunque l’individuazione, quale limite all’attività della Pubblica Amministrazione (anche) nel campo tributario, della “norma primaria del neminem laedere”, dovendosi riconoscere al giudice ordinario il potere di accertare eventuali comportamenti colposi idonei a determinare la menomazione di un diritto soggettivo (svincolato comunque dall’accertamento della legittimità della pretesa tributaria, rimesso esclusivamente alla giurisdizione tributaria).

Le medesime considerazioni valgono nell’ipotesi in cui la violazione dovesse imputarsi all’agente della riscossione. In tal caso, anzi, la disciplina trova la propria fonte direttamente nell’art. 59 del Dpr 602/73.

Anche la responsabilità del concessionario si colloca dunque nell’ambito di quella extracontrattuale di cui all’articolo 2043 del codice civile e risulta sottoposta, sul piano processuale, alla stessa disciplina che regola gli illeciti comportamenti degli uffici tributari, con la conseguente attribuzione della giurisdizione in capo al giudice civile.

Se ne discosta, invece, sotto il profilo sostanziale, in quanto, come detto, trova la propria fonte direttamente all’interno della legislazione tributaria, essendo disciplinata dal testo unico della riscossione delle imposte sui redditi, il quale conferisce a chiunque si ritenga leso da un atto di esecuzione la possibilità di agire nei confronti del concessionario ai fini del risarcimento dei danni.

Infine, si ricorda che un’altra ipotesi di azione risarcitoria riguarda la responsabilità aggravata di cui all’articolo 96 del codice di procedura civile (cosiddetta lite temeraria), ai sensi del quale, qualora risulti che una delle parti processuali abbia agito o resistito in giudizio con colpa grave o, addirittura, con mala fede, il giudice può condannarla, su istanza dell’altra, anche al risarcimento dei danni, le cui somme vengono liquidate in sentenza unitamente alle spese processuali.

In merito a questo tipo di responsabilità, che si pone in rapporto di specialità rispetto alla disciplina generale di cui all’articolo 2043 del codice civile, le istruzioni ministeriali avevano escluso che essa potesse configurarsi nell’ambito del processo tributario. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15030 del 17.07.2015, ha però poi affermato l’applicazione della lite temeraria anche nel processo tributario.

E comunque, con il recente Dlgs 156/15, è stata infine introdotta un’espressa disciplina della lite temeraria nel processo tributario, al comma 2-bis all’articolo 15, mutuandola testualmente dall’art. 96, primo comma, c.p.c. già citato.

28 marzo 2017

Giovambattista Palumbo