Corte di Giustizia UE: il pro rata IVA italiano è conforme con la disciplina comunitaria

Analizziamo le motivazioni che rendono il regime del pro rata IVA applicato in Italia compatibile con la normativa comunitaria in tema di IVA.

Con sentenza del 14 dicembre 2016, causa C-378/15, la Corte di Giustizia UE ha riconosciuto la legittimità del sistema del pro rata IVA italiano così come disciplinato dagli artt. 19 e 19-bis del D.P.R. 633/1972.

La disciplina prevista dal legislatore italiano deve ritenersi compatibile con normativa comunitaria e conforme all’obiettivo delle VI direttiva CE di autorizzare criteri semplificati di calcolo dell’IVA e della detrazione.

Premessa: compatibilità del pro-rata italiano con la direttiva CE

La Corte di giustizia UE interpellata, dall’Avvocatura Generale Ue, sulla corretta interpretazione dell’articolo 17, paragrafo 5, comma 3, lettera d, della VI Direttiva CE che autorizza gli Stati Membri a derogare alla regola generale del calcolo del pro-rata di detrazione, si è pronunciata sulla compatibilità del pro-rata italiano così come trasposto, in osservanza del sistema delle deroghe previste dall’art. 17, par. 5 lett. d della VI direttiva CE.

Per quanto riguarda il pro rata IVA di detraibilità, ricordiamo, che il legislatore nazionale si è discostato dalla regola generale per cui il pro-rata è determinato partendo dall’assunto che i beni e servizi ad uso promiscuo sono utilizzati per lo svolgimento di operazioni imponibili ed esenti in modo proporzionale alla cifra di affari di ciascuna di esse.

Pertanto, in applicazione del sistema delle deroghe, previste dal comma 3 lettera d) dell’articolo 17, paragrafo 5 della VI direttiva CE, ed in osservanza di quanto previsto dagli artt. 19 e 19-bis del D.P.R. 633/1972, i soggetti passivi “misti” sono tenuti ad operare la detrazione secondo il criterio del pro-rata relativamente a tutti i beni e servizi utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplate.

Trattasi, quindi, di un pro-rata “matematico” la cui percentuale di detraibilità (da arrotondare all’unità superiore, ovvero, inferiore a seconda dei casi) è determinata secondo criteri indiretti e chiaramente forfettari, basati, tra l’altro, sulla presunzione empirica che i beni ed i servizi acquistati, da un soggetto passivo misto durante un anno d’imposta, si ripartiscano nella loro utilizzazione in misura proporzionale al rapporto esistente tra l’ammontare delle operazioni imponibili e la somma delle stesse imponibili e di quelle esenti.

La normativa IVA nazionale ex D.P.R. 633/1972: pro-rata IVA

Nell’ordinamento giuridico italiano il meccanismo del pro-rata di detraibilità IVA è disciplinato dal comma 5 dell’articolo 19 del D.P.R 633 del 1972.

Tale norma prevede che i soggetti passivi, esercenti, sia attività che danno diritto alla detrazione dell’Imposta sul Valore Aggiunto, sia attività esenti (di cui all’art 10 del medesimo decreto), possano detrarre il tributo in misura proporzionale alla prima tipologia di operazioni, in base ad una percentuale stabilita a norma dell’art. 19-bis del medesimo decreto.

In linea con tale impostazione l’amministrazione finanziaria ha puntualizzato, con vari documenti di prassi (rif. C.M. n. 328/E/97), che tali soggetti (cosiddetti “misti”) non devono distinguere gli acquisti dei beni e dei servizi a seconda della loro destinazione, poiché, il quantum detraibile è determinato applicando il pro-rata a tutta l’imposta assolta sugli acquisti.

La finalità del presente dispositivo è quella di consentire l’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti/importazioni (addebitata dai fornitori a titolo di rivalsa IVA) limitatamente alla parte ascrivibile proporzionalmente alle operazioni imponibili (e delle altre operazioni ad esse assimilate) effettuate nel periodo d’imposta considerato. La quota di imposta detraibile viene, quindi, calcolata previa determinazione di una percentuale di detraibilità (art. 19-bis c. 1 del D.P.R. n. 633/1972) ottenuta dal rapporto tra:

  • le operazioni effettuate nel corso dell’anno che danno diritto alla detrazione e

  • lo stesso importo aumentato delle operazioni esenti effettuate nell’anno.

Tuttavia, ai sensi di quanto previsto dal comma 2 dell’articolo 19-bis del D.P.R. n. 633/1972, al fine della corretta implementazione della regola del pro-rata, dalle operazioni da considerare ai fini del calcolo devono essere scomputate quelle inerenti la cessione di beni ammortizzabili, oltreché i passaggi di cui all’ultimo comma dell’art. 36 e le altre operazioni ivi indicate, tra le quali assumono particolare rilievo le operazioni esenti indicate dai numeri da 1 a 9 dell’articolo 10 quando non rientrano nell’attività propria del soggetto passivo.

L’obiettivo perseguito dal legislatore nazionale nella previsione di tali esclusioni (peraltro espressamente indicate nell’art. 19 par. 2 della VI direttiva CEE) è quello di non alterare il pro rata includendo nel calcolo operazioni che nulla esprimono circa al rapporto di composizione tra i beni e servizi utilizzati in operazioni imponibili e quelli impiegati in operazioni esenti.

L’applicazione della percentuale di detrazione secondo le disposizioni dell’art. 19-bis c. 1 del D.P.R. 63371972, non avviene qualora il soggetto passivo svolga:

  • attività imponibili o assimilate e sporadiche o occasionali operazioni esenti;

  • attività esenti e sporadiche o occasionali operazioni imponibili o assimilate;

  • operazioni esenti da 1 a 9 dell’articolo 10 (concessione crediti, dilazioni di pagamento, locazioni non finanziarie, eccetera) “quando non formano oggetto dell’attività propria del soggetto passivo o siano accessorie alle operazioni imponibili” (articolo 19-bis, comma 2).

Ed in effetti, nel caso in cui le attività esenti siano svolte in maniera occasionale, non potendo far rinvio al calcolo della percentuale di detraibilità, l’imposta relativa

“ai beni e servizi utilizzati esclusivamente per effettuare queste ultime operazioni”

deve essere considerata totalmente “indetraibile” (articolo 19-bis, comma 2).

In senso conforme si è espressa l’Amministrazione Finanziaria che, con la circolare ministeriale n. 328 del 24 dicembre 1997, ha affermato che

“… l’occasionale effettuazione di operazioni esenti da parte di un contribuente che svolge essenzialmente attività soggetta ad IVA … non dà luogo all’applicazione del pro-rata…”.

In sostanza, l’IVA inerente l’acquisto di beni e servizi afferenti ad operazioni esenti, poste in essere occasionalmente, è indetraibile in base alla regola dell’indetraibilità specifica (articolo 19 comma 2 del D.P.R. 633/1972).

Conclusioni Avvocatura Generale UE

La sentenza inerente la causa C-378/15 (Mercedes Benz Italia) è relativa dirimere la questione sollevata dalla Commissione Tributaria Regionale di Roma (ordinanza 6 maggio 2015, n. 353/22/15), che traeva origine da un avviso di accertamento, con il quale l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale Roma – 3 al fine di recuperare un importo pari a € 1.755.882 (oltre a sanzioni ed interessi ), aveva ridotto l’ammontare dell’IVA detraibile e rettificato la dichiarazione IVA per l’anno d’imposta 2004, presentata dalla società Mercedes Benz Italia.

Ad avviso dell’Agenzia, la società avrebbe dovuto includere, nel calcolo del pro-rata IVA, anche gli interessi da finanziamento “esenti” conseguiti a fronte dei prestiti concessi alle proprie controllate, in quanto trattasi di operazioni non qualificabili come “accessorie” rispetto all’attività principale dalla stessa esercitata.

La società aveva contestato la pretesa, sostenendo che tali operazioni dovevano essere escluse dal calcolo del pro rata, ai sensi e per gli effetti all’art. 19-bis del D.P.R 633/1972, poiché effettivamente accessorie rispetto all’attività commerciale svolta.

In merito, al fine di avvallare la propria asserzione la società aveva prodotto ben 2 perizie probanti la marginalità dei costi sostenuti (incidenza pari allo 0,22% dei costi totali in base ad una prima perizia, ed addirittura azzerata in base ad una seconda) per l’implementazione delle operazioni esenti.

L’Agenzia, dal canto suo, aveva posto l’accento sul fatto che i proventi esenti costituivano circa il 71,64% della cifra d’affari e non potevano, quindi, essere considerati accessori.

Oltre a contestare la riqualificazione delle proprie “operazioni esenti”, la società nell’ambito della controversia principale, aveva, poi, lamentato gli effetti distorsivi e la non conformità della normativa nazionale, in materia di pro-rata di detraibilità, adducendo che il predetto meccanismo, poiché basato su un criterio esclusivamente formale (pro-rata matematico), qual è la composizione del volume di affari del soggetto passivo, impone erroneamente l’applicazione del pro-rata anche per gli acquisti destinati esclusivamente a compiere operazioni imponibili o esenti.

Regola questa in netto contrasto con la normativa comunitaria, secondo la quale il metodo del pro-rata dovrebbe essere impiegato al fine di determinare l’Iva ammessa in detrazione solo con riferimento ai costi dei beni e dei servizi impiegati promiscuamente per effettuare contestualmente operazioni che danno diritto alla detrazione ed operazioni esenti.

Le osservazioni così come formulate dalla società erano state pienamente condivise dell’Avvocatura Generale UE le cui conclusioni erano, tra l’altro, fondate sulla giurisprudenza della medesima Corte di Giustizia e, sull’interpretazione teleologica del sistema della detrazione alla luce del principio di neutralità dell’imposta.

Invero, nelle proprie conclusioni l’Avvocato generale UE asseriva che la VI direttiva CE, recante disposizioni sul sistema comune della tassa sul valore aggiunto, si pone, tra gli altri obiettivi, quello di consentire l’adozione di metodologie per la determinazione del pro-rata di detrazione IVA in grado di stabilire con precisione la parte dell’IVA che può essere imputata alle operazioni che danno diritto a detrazione.

A parere dell’Avvocatura, quindi, il pro-rata IVA previsto dal legislatore comunitario doveva applicarsi solo con riferimento all’IVA assolta sull’acquisto di beni e servizi utilizzati promiscuamente per l’effettuazione delle operazioni imponibili (e ad esse assimilate ed esenti). In linea con tale asserzione, quindi, si concludeva che:

  • il pro rata di detrazione, per quanto riguarda beni e servizi utilizzati esclusivamente per effettuare operazioni imponibili, doveva essere pari al 100%;

  • il pro rata di detrazione per quanto riguarda beni e servizi utilizzati esclusivamente per effettuare operazioni esenti, doveva essere pari allo 0%.

Da ciò seguiva, dunque, l’affermazione per cui le regole nazionali (artt. 19 e 19-bis dell’art. 633/1972), previste per il calcolo del pro-rata di detraibilità, dovevano intendersi come disposizioni incompatibili con la normativa comunitaria.

Incompatibilità giudicata, tra l’altro, persistente nonostante la previsione di cui all’art. 36 del D.P.R. 633/1972 in forza del quale è ammessa la facoltà per i soggetti passivi “misti” di optare per la separazione contabile delle attività, al fine di neutralizzare gli effetti negativi del pro-rata.

Tale constatazione, rilevava l’Avvocatura UE, trovava fondamento nell’assunto che

“… un’opzione del genere, avente natura puramente facoltativa, fa dipendere la detrazione prevista dalla sesta direttiva da una scelta del soggetto passivo…”.

Alla luce di quanto precede, l’Avvocato Generale UE affermava che il sistema del pro-rata IVA italiano genera effetti prettamente distorsivi poiché:

  • preclude il diritto di detrarre la totalità dell’IVA assolta a monte su acquisti di beni e servizi utilizzati esclusivamente ai fini di operazioni soggette ad imposta;

  • ammette detrazioni non previste, nella misura in cui autorizza la detrazione di una parte dell’IVA assolta su acquisti di beni e servizi utilizzati esclusivamente ai fini di operazioni esenti.

Nelle sue conclusioni, dunque, l’Avvocato Generale UE propose alla Corte di dichiarare incompatibile con il Diritto dell’Unione Europea il metodo di calcolo del pro-rata di detraibilità IVA così come previsto dall’ordinamento giuridico italiano.

 

La Corte di Giustizia sul pro rata IVA italiano

In sostanza, la questione, sottoposta al vaglio della Corte Giustizia, ha ad oggetto l’ambito d’applicazione della deroga prevista dall’art 17, par. 5, c. 3, lett. d, della VI Direttiva CEE, in base al quale gli Stati Membri possono autorizzare od obbligare il soggetto passivo ad operare la detrazione

“… secondo la norma di cui al primo comma relativamente a tutti i beni e servizi utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplate…”.

Orbene, al fine di pronunciarsi circa la compatibilità del pro-rata IVA italiano con la normativa comunitaria, la Corte ha ampiamente disquisito sulla portata delle deroga di cui alla lettera d) evidenziando, tra l’altro, quanto segue:

  • l’articolo 17, paragrafo 5, comma 3, lettera d, della VI direttiva, letto in combinato disposto con l’articolo 17, paragrafo 5, commi 1 e 2, nonché con l’articolo 19, paragrafo 1, della medesima direttiva, deve essere interpretato nel senso che il metodo di calcolo del diritto alla detrazione dell’Iva che esso prevede implica il ricorso a un pro rata fondato sulla cifra d’affari;

  • dato che l’articolo 17, paragrafo 5, primo comma, della sesta direttiva (richiamato espressamente all’articolo 17, paragrafo 5, comma 3, lettera d, della medesima direttiva) si riferisce sia alle operazioni che danno diritto alla detrazione sia a quelle che non conferiscono tale diritto, il termine “tutte le operazioni ivi contemplate” deve essere inteso come comprensivo di entrambe le operazioni e, pertanto, concerne sia le operazioni che danno diritto alla detrazione sia quelle che non conferiscono tale diritto;

  • il criterio previsto dalla lettera d) deve intendersi riferito al complesso dei beni e dei servizi utilizzati dal soggetto passivo per realizzare tanto le operazioni che danno diritto a detrazione, quanto quelle che non conferiscono tale diritto, senza che sia necessario che tali beni e servizi servano ad effettuare sia l’uno che l’altro tipo di operazioni.

I Giudici del Lussemburgo hanno precisato, dunque, che il riferimento, contenuto nell’articolo 17, paragrafo 5, comma 3, lettera d, al primo comma del medesimo paragrafo non riguardi la metodologia di calcolo del pro-rata di detraibilità (previsto dal secondo comma dello stesso paragrafo e dal successivo articolo 19 della VI direttiva) bensì il principio generale del pro-rata, secondo cui la detrazione è ammessa soltanto per la parte dell’IVA che è proporzionale all’importo relativo alle operazioni che danno diritto a detrazione.

Ad avviso della Corte, quindi, la deroga prevista dalla lettera d) deve essere interpretata ed implementata in maniera tale per cui deve giudicarsi “legittimo” un sistema di pro rata di detrazione, basato sulla cifra d’affari applicabile alla totalità dei beni e dei servizi, senza tener conto, quindi, della natura e della destinazione effettiva di ciascun bene e servizio acquistato.

In sostanza, per effetto della deroga dovrebbero considerarsi, nel calcolo del pro rata, non solo i costi promiscui ma anche a quelli specifici, ossia quei costi direttamente imputabili sia alle operazioni per le quali sussiste il diritto alla detrazione sia a quelle che, di contro, ne sono prive. Invero, prendendo in considerazione i soli acquisti di beni e/o servizi a destinazione promiscua la norma risulterebbe una mera duplicazione del principio generale, in base al quale il pro rata di detraibilità è pari al rapporto tra

  1. il volume d’affari annuo relativo alle operazioni che danno diritto alla detrazione

  2. la somma dell’importo di cui al precedente punto a) ed il volume d’affari annuo relativo ad operazioni che non danno diritto alla detrazione.

Ne consegue, quindi, che l’unica interpretazione compatibile con il metodo di calcolo derogatorio previsto dall’art. 17, paragrafo 5, comma 3, lettera d, è quella per la quale viene ampliato il raggio d’azione del pro-rata che, pertanto, avrà portata generale.

Del pari, la Corte ha evidenziato che la semplificazione nel calcolo del pro-rata (in applicazione della deroga di cui alla lettera d) fa sì che i soggetti passivi “misti” non abbiano, di fatto, l’obbligo d’imputare i beni ed i servizi acquistati alle operazione che danno, o meno diritto a detrazione con la conseguenza che le Amministrazioni Fiscali Nazionali non sono tenute a controllare la correttezza nella predetta imputazione.

Da ultimo, la Corte di Giustizia UE ha, poi, osservato che il sistema normativo italiano è conforme alla normativa comunitaria, nella parte in cui prevede che per l’individuazione delle operazioni “meramente accessorie” a quelle imponibili, è possibile far riferimento al fatturato complessivo dell’impresa.

Tuttavia, ad avviso della stessa Corte, nel determinare le operazioni qualificabili come “accessorie” occorre tener conto, in ogni caso, sia del rapporto esistente tra queste e le altre attività imponibili, riconducibili al medesimo soggetto passivo, che dei beni dei servizi (per i quali l’IVA è dovuta) impiegate dalle stesse.

Ciò posto viene, dunque, a rilevarsi il netto contrasto tra quanto enunciato nella citata sentenza e le conclusioni cui era diversamente giunto l’Avvocato Generale UE, il quale, si ricorda che per avvallare le proprie osservazioni, aveva citato alcune sentenze adottate (in passato) dalla stessa Corte di giustizia UE e che esplicitamente restringevano l’ambito di applicazione dell’intero paragrafo 5 dell’art 17 ai soli costi promiscui (sentenza del 27 settembre 2001 C-16/00 Cibo-Participations EU:C:2001:495; sentenza C-496/11 – Portugal Telecom).

La Corte di Giustizia, con la sentenza relativa alla causa C-378/15, ha chiarito che il diritto comunitario non osti ad una normativa di uno Stato Membro che preveda, per i soggetti ad attività “mista”, un trattamento omogeneo delle attività imponibili e delle attività esenti, mediante l’applicazione di un unico pro-rata (della detrazione e della corrispondente imposta) su tutti gli acquisti.

L’articolo 17, paragrafo 5, comma 3, lettera d, e l’articolo 19 della VI direttiva CE devono essere interpretati, quindi, nel senso che essi non sono contrari ad una normativa e ad una prassi nazionale che impongono ad un soggetto passivo

  • di applicare alla totalità dei beni e dei servizi da esso acquistati un pro-rata di detrazione basato sulla cifra d’affari, senza prevedere un metodo di calcolo che sia fondato sulla natura e sulla destinazione effettiva di ciascun bene e servizio acquistato e che rifletta oggettivamente la quota di imputazione reale delle spese sostenute a ciascuna delle attività tassate e non tassate; e

  • di riferirsi alla composizione della sua cifra d’affari per l’individuazione delle operazioni qualificabili come «accessorie», a condizione che la valutazione condotta a tal fine tenga conto altresì del rapporto tra dette operazioni e le attività imponibili di tale soggetto passivo nonché, eventualmente, dell’impiego che esse implicano dei beni e dei servizi per i quali l’IVA è dovuta.

12 gennaio 2017

Fabio Gallio e Valeria D’Alessandro