Corte di Giustizia UE: definite le attività accessorie che determinano il pro rata IVA

Calcolo del pro-rata: nell’ambito delle attività accessorie rientrano quelle che non costituiscono “un prolungamento diretto, permanente e necessario all’attività imponibile dell’impresa” e “non implichino un impiego significativo di beni e di servizi per i quali l’Iva è dovuta” a prescindere dal volume d’affari da esse generato

L’art. 19–bis del D.P.R. n. 633/1972, avente ad oggetto l’applicazione del meccanismo del pro rata ai contribuenti che esercitano un’attività mista (con operazioni imponibili e esenti), non si pone in contrasto con le disposizioni comunitarie.

La sentenza “Mercedes Benz” (Corte di Giustizia UE, causa C-378/15) si è espressa in senso difforme rispetto alle conclusioni dell’Avvocato generale.

Secondo quanto precisato dal collegio giudicante la disposizione non determina alcun effetto distorsivo ed è compatibile con la direttiva in ragione della deroga prevista dall’articolo 168, comma 2, lettera d.

Oltre alle considerazioni della Corte di Giustizia deve essere osservato come i possibili “effetti distorsivi”, conseguenza diretta dell’indetraibilità parziale del tributo, che darebbe luogo alla lesione del principio di neutralità, possano essere agevolmente evitati.

Sul punto deve essere osservato come il contribuente, in virtù di una precisa scelta, sia in grado di salvaguardare l’applicazione del predetto principio di neutralità.

Infatti, ove si decidesse di separare la registrazione delle operazioni relative all’attività esente rispetto a quella imponibile (ex art. 36 del D.P.R. n. 633/1972), l’Iva relativa agli acquisti destinati alla seconda attività potrebbe essere considerata integralmente in detrazione.

Dalla sentenza della Corte di Giustizia possono essere desunti ulteriori spunti utilizzabili ai fini di una analisi più approfondita delle “norme interne”.

I giudici comunitari hanno altresì osservato che ai fini del calcolo del rapporto percentuale di pro rata non debbano essere considerate le operazioni accessorie, cioè quelle operazioni aventi natura “incidentale”.

A tal proposito la pronuncia ribadisce che nell’ambito delle attività accessorie rientrano quelle che non costituiscono

“un prolungamento diretto, permanente e necessario all’attività imponibile dell’impresa”

e

“non implichino un impiego significativo di beni e di servizi per i quali l’Iva è dovuta”

a prescindere dal volume d’affari da esse generato.

In passato l’Assonime ha fornito una definizione di attività accessorie che, come ribadito anche dalla sentenza in rassegna, devono essere escluse (nel partecipano) dalla formazione del rapporto di pro rata.

Secondo quanto precisato dal documento di approfondimento n. 1/2014

“può ricavarsi che qualora una società si limiti, ad esempio, a realizzare operazioni esenti di carattere finanziario impiegando proprie eccedenze di liquidità, senza ricorrere a fondi richiesti al sistema bancario, tali operazioni dovrebbero essere considerate ‘accessorie’ nel senso prima indicato, e quindi non dovrebbero essere considerate nel calcolo del pro rata”

(sul punto cfr anche Corte di Giustizia UE, causa C-77/01 e Ris. Agenzia delle entrate nn. 305/2008 e 41/2011).

Ora la sentenza relativa alla controversia “Mercede Benz” in rassegna sembra definire con ancora più precisione la nozione di “attività accessoria”.

Si consideri a tal proposito il caso di una holding industriale (operativa) che oltre all’attività imponibile effettua operazioni di finanziamento (esenti) nei confronti delle società controllate.

Il volume d’affari esente dovrebbe essere escluso dal calcolo del pro rata in considerazione dell’accessorietà della predetta attività rispetto a quella imponibile.

Infatti, i costi gravati da Iva, sostenuti per esercitare l’attività esente, sono marginali rispetto alla totalità dei costi e la circostanza consente di qualificare la predetta attività, le cui prestazioni sono effettuate nei confronti delle società controllate, come marginale (rispetto all’attività imponibile).

Ciò indipendentemente dalla circostanza che l’attività esente possa costituire un’attività tipica di una holding industriale e indipendentemente dalla possibile separazione delle attività avvalendosi il contribuente dell’art. 36 del D.P.R. n. 633/1972. Una conclusione in senso opposto darebbe luogo, inevitabilmente, alla violazione del principio di neutralità del tributo.

2 febbraio 2017

Nicola Forte