Società in Accomandita Semplice: le deliberazioni dei soci

La gestione della società in accomandita semplice può generare dubbi stante la differenza fra le due diverse tipologie di soci: in questo articolo approfondiamo le regole ordinarie che presiedono la gestione delle deliberazioni.

Le regole generali per le SAS

sas società in accomandita sempliceIl codice civile non prevede che la società in accomandita semplice sia dotata di organi sociali: non c’è una assemblea in cui si formi la volontà sociale, né esiste un consiglio di amministrazione. Esiste solo una pluralità di soci, normalmente tutti amministratori, i quali adottano ogni decisione liberamente, senza l’osservanza di formalità, a seconda dei casi all’unanimità o a maggioranza (Cass., 6 marzo 1953, n. 536).

Per la verità, in alcuni casi, la legge usa alcuni termini tipici del procedimento assembleare (ad esempio: consenso, volontà, decisione, deliberazione, maggioranza); tuttavia la dottrina e la giurisprudenza prevalenti non ritengono necessario istituire un organo assembleare, in quanto la società di persone è dominata dall’esigenza di elasticità e rapidità nelle decisioni incompatibile con un organo assembleare.

In dottrina, tuttavia, alcuni ritengono necessaria un’assemblea nelle società di persone (Bolaffi); altri ritengono necessario rispettare un sia pur embrionale metodo assembleare, quantomeno per le decisioni a maggioranza (preventiva informazione di tutti i soci, riunione, discussione e votazione contestuale); ciò consentirebbe decisioni più ponderate, attraverso il confronto delle diverse opinioni e il concorso di tutti i soci nella valutazione dell’interesse comune (Campobasso).

Naturalmente l’atto costitutivo può espressamente prevedere il metodo collegiale e, quindi, disciplinare un’assemblea sociale in cui tutti i soci esprimono il loro consenso, precisando quali questioni mettere alla sua competenza e determinando, se del caso, le forme e le modalità di convocazione: riunione, discussione e deliberazione.

In tal caso la formazione della volontà sociale per il tramite di una decisione diventerebbe vincolante per i soci e l’inosservanza delle regole statutarie costituirebbe causa di invalidità della decisione, sempre che non risulti dall’interpretazione dell’atto costitutivo che l’assemblea sia prevista solo come eventuale o che costituisca semplicemente una forma di manifestazione della volontà sociale (Cass., 6 marzo 1953, n. 536).

Le delibere dei soci sono solo la somma delle loro volontà individualmente considerate e manifestate. Le decisioni dei soci devono essere adottate all’unanimità, salvo che la legge o il contratto sociale preveda la maggioranza. Come detto in precedenza, a causa della mancanza dell’assemblea, il consenso può formarsi in qualsiasi modo (anche tacitamente).

Affinché le modifiche statutarie abbiano efficacia esterna, è necessario che vengano portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei.

I soci possono partecipare alle delibere:

  • personalmente o direttamente;

  • attraverso un rappresentante volontario, autorizzato per procura;

  • attraverso un legale rappresentante.

La necessità del consenso dei soci

Il codice civile prevede che in alcuni casi una decisione sia presa con il consenso dell’unanimità o della maggioranza dei soci; a volte menziona il solo consenso dei soci o la necessità di una deliberazione, oppure non prevede nulla.

Indichiamo, nella tabella riepilogativa che segue, tutti i casi in cui il codice richiede che su una determinata materia sia adottata una decisione sociale, specificando se per tale decisione è richiesto il consenso di tutti i soci o della maggioranza.

Le prescrizioni di legge circa i quorum sono generalmente derogabili nell’atto costitutivo.

Le decisioni sociali nelle società di persone in generale: quorum previsti e riferimento normativo

Decisioni sociali Disposizione di legge (derogabile dall’atto

costitutivo)

Riferimento normativo
Modificazioni dell’atto costitutivo Consenso di tutti i soci Art. 2252 c.c.
Proroga della società Artt. 2273 e 2307 c.c.
Modifiche del capitale sociale Artt. 2303 e 2306 c.c.
Nomina e revoca dell’amministratore nominato con atto separato. Consenso dei soci accomandatari e maggioranza dei capi – tale      degli accomandanti. Art. 2319 c.c.
Decisioni sociali
Disposizione di legge (derogabile dall’atto costitutivo)
Riferimento normativo
Trasferimento della quota dell’accomandante Consenso dei soci che rappresentano la maggioranza del capitale degli accomandanti Art. 2322 c.c.
Rendiconto. Approvazione Art. 2262 c.c.
Esonero di un socio dal divieto di concorrenza Consenso degli altri soci Art. 2301, c. 1, c.c.
Esclusione facoltativa di un socio. Deliberazione della maggioranza dei soci, non computandosi nel numero di questi il socio da escludere Art. 2287 c.c.
Decisione sull’opposizione di un amministratore all’operato di un altro amministratore in regime di amministrazione disgiuntiva Maggioranza dei soci determinata secondo la parte attribuita a ciascun socio negli utili Art. 2257, c. 3, c.c.
Scioglimento della società Volontà di tutti i soci. Art. 2272, n. 3, c.c.
Nomina dei liquidatori Consenso di tutti i soci Art. 2275, c 1
Revoca dei liquidatori Volontà di tutti i soci Art. 2275, c 2, c.c.
Autorizzazione del singolo socio a usare i beni sociali per fini extra-ociali. Consenso degli altri soci Art. 2256 c.c.

Capacità di esprimere il consenso

Il consenso alle delibere collettive può essere dato:

1)      per persone fisiche:
  • personalmente o direttamente: dai maggiorenni capaci di agire, dal minore emancipato, dal socio inabilitato (quest’ultimo con l’assistenza del curatore);
  • attraverso un rappresentante volontario, autorizzato per procura;
  • attraverso un legale rappresentante (genitore o tutore) per i minori non emancipati e gli incapaci legali;
2)      per società:
  • socio d’altra società, tramite un rappresentante legale;
  • il creditore pignoratizio e l’usufruttuario possono partecipare alle decisioni sociali per tutte le deliberazioni che riguardano l’ordinaria vita della società. spettano invece al nudo proprietario e al debitore le decisioni nelle quali la responsabilità illimitata viene maggiormente coinvolta.

Formazione del consenso

Il legislatore, quando prevede la necessità di una decisione collettiva dei soci, trascura di indicare le modalità di espressione del consenso dei soci.

La giurisprudenza ha costantemente affermato che nelle società di persone la volontà sociale si può formare in qualunque modo, potendosi desumere da atti o comportamenti concludenti (Cass., 10 maggio 1984, n. 2860; Trib. Monza, 10 aprile 1990; Trib. Como, 12 marzo 1987).

È sufficiente che attorno ad una proposta si raccolgano anche separatamente i consensi di tanti soci quanti bastano per formare l’unanimità o la maggioranza.

La sola raccolta di tutti i consensi necessari determina l’adozione della decisione.

Non è pertanto necessaria né la convocazione di una riunione, né la preventiva determinazione degli argomenti da esaminare in un ordine del giorno. Non sono quindi ipotizzabili dei vizi procedurali, salvo casi partitori quali la necessità di motivare la decisione di esclusione.

Quorum deliberativo

Quando la decisione sociale ha per oggetto una modifica dell’atto costitutivo, la legge richiede l’unanimità dei consensi (soci accomandanti e soci accomandatari) (art. 2252 c.c.).

L’atto costitutivo o una successiva modificazione può ammettere una decisione a maggioranza, ma non può attribuire il potere di modificare l’atto costitutivo ad una minoranza di soci o ad un solo socio o ad un terzo arbitratore, a pena di invalidità della relativa clausola.

Per le decisioni sociali che hanno oggetto diverso della modifica dell’atto costitutivo, la dottrina prevalente ritiene generalmente necessaria l’unanimità dei consensi, a meno che l’atto costitutivo consenta una decisione a maggioranza e fatti salvi co- munque i casi in cui la legge richiede la maggioranza (come è il caso della decisione di esclusione del socio); un’altra tesi ritiene invece che la regola generale sia quella della maggioranza.

Una tesi intermedia distingue, da una parte, le decisioni attinenti alle basi organizzative della società richiedendo per esse l’unanimità dei consensi (p.es. revoca del socio amministratore nominato con l’atto costitutivo, trasformazione, cambiamento del modo di amministrare), mentre da un’altra parte, per le decisioni riguardanti la gestione dell’impresa comune, ritiene sufficiente un accordo della semplice maggioranza (ad esempio: approvazione del bilancio, nomina e revoca degli amministratori nominati per atto separato).

In alcune ipotesi si ritiene inderogabile la regola dell’unanimità ed inefficace una delibera presa a maggioranza e comunque inoperante una diversa previsione dell’atto costitutivo.

È il caso della revoca della liquidazione e dei casi in cui i soci intendano modificare le basi essenziali della società, ad esempio in caso di modifica radicale dell’oggetto sociale o di trasformazione della società, e quando si intenda imporre ai soci nuovi obblighi, limitare la misura della loro partecipazione agli utili, privare il singolo socio del potere di amministrazione, riservando lo stesso solo ad alcuni soci.

Il calcolo della maggioranza

Quando l’atto costitutivo non disciplini espressamente le modalità di calcolo della maggioranza, alcuni autori ritengono che la maggioranza vada sempre calcolata per quota, altri per numero o per capi.

Un’autorevole impostazione ritiene, invece, che si debba applicare il criterio per valore della quota ogni volta che la decisione attenga allo svolgimento della vita della società, mentre si deve preferire il criterio per capi quando si tratta di questioni che incidono sull’esistenza della società o del singolo rapporto sociale.

Quando un socio si trova in conflitto di interessi con l’oggetto della decisione sociale, deve astenersi dall’esprimere la sua volontà nella decisione stessa. Questo consente di non tenere conto, al fine del calcolo dell’unanimità o della maggioranza, del voto dato in conflitto di interessi.

Se, nonostante il conflitto, il socio esprime comunque il suo voto, la decisione sociale presa con il suo voto determinante si considera invalida, se è configurabile un danno anche solo potenziale per la società.

L’invalidità delle decisioni sociali

Manca in generale nelle società di persone una disciplina delle ipotesi di invalidità delle decisioni sociali, sia per il caso della loro annullabilità per violazione della legge o del contratto sociale, sia per il caso della loro nullità per impossibilità o illiceità dell’oggetto.

Una prima impostazione ritiene applicabile per analogia:

  • in caso di annullabilità, la disciplina dettata in tema di comunione e condominio (artt. 1109 e 1137 c.c.), in forza della quale i dissenzienti e gli assenti ad una decisione potrebbero impugnare le decisioni adottate dalla maggioranza entro il termine di decadenza di 30 giorni dall’adozione della decisione per i dissenzienti o dalla sua comunicazione per gli assenti;
  • in caso di nullità, le norme generali sulla nullità dei contratti (artt. 1418 c.c.) in forza delle quali chiunque vi abbia interesse potrebbe impugnare la decisione, senza limiti di tempo. Una rara decisione in materia ha precisato che qualunque socio può far valere la nullità di una decisione sociale quando essa sia stata adottata senza unanimità dei consensi (Cass., 16 luglio 1976, n. 2815).

Tuttavia altri ritengono che, quando l’atto costitutivo contenga una disciplina del procedimento assembleare, sia applicabile per analogia e, ove compatibile, la disciplina delle impugnazioni delle delibere assembleari annullabili e nulle dettato per la società per azioni (artt. 2377 e 2379 c.c.).

Modifiche dell’atto costitutivo

Si ha modificazione dell’atto costitutivo quando si introducono dei mutamenti alla disciplina legale della società oppure quando si muta la disciplina convenzionale della stessa. Pertanto può accadere che, durante la vita della società, anche nelle S.a.s. i soci intendano apportare modifiche all’atto costitutivo.

Se non è stabilito diversamente, tali modifiche devono essere adottate all’unanimità (salvo per le trasformazioni in società di capitali e le operazioni di fusione e scissione) e devono risultare, come per l’atto costitutivo, da un atto pubblico o da una scrittura privata autenticata in quanto è prescritto dalla legge che anche le suddette modificazioni siano iscritte, su richiesta degli amministratori o del notaio, nel Registro delle imprese.

Le modifiche apportate possono essere di carattere soggettivo, cioè, modifiche riguardanti i mutamenti nella compagine personale della società, o modifiche di carattere oggettivo.

Le modifiche oggettive e soggettive

Le modificazioni dell’atto costitutivo possono avere carattere soggettivo e consistere, ad esempio:

  • nella cessione di quota sociale;
  • nell’ingresso di un nuovo socio;
  • nella sostituzione di un socio;
  • nella cessazione della qualità di socio;

oppure possono avere carattere oggettivo, e riguardare, ad esempio:

  • la proroga di durata della società;
  • la riduzione o l’aumento del capitale sociale;
  • il trasferimento della sede sociale (tuttavia si ritiene che l’art. 111-ter, disp. att., c.c., si applichi a tutti i tipi di società, quindi anche alle società di persone che nei patti sociali abbiano recepito detta normativa: utile sarà al riguardo il consiglio del notaio);
  • la decisione di scioglimento;
  • il cambiamento dell’oggetto sociale;
  • la variazione del numero degli amministratori o dei rappresentanti nominati con l’atto costitutivo;
  • la revoca dell’amministratore nominato con l’atto costitutivo;
  • modificazione dei criteri di ripartizione degli utili, trasformazione in altra società, fusione e scissione.

Sono, infine, da equiparare alle modificazioni delle pattuizioni originarie le deroghe, deliberate dai soci, alle norme dispositive di legge regolatrici della società.

L’inserimento di nuove pattuizioni, in luogo di quelle iniziali, non dà vita ad un nuovo contratto, permanendo piuttosto l’originario rapporto sociale.

I modi mediante i quali procedere alla modificazione del contratto sociale sono, tuttavia, gli stessi modi che presiedono alla sua formazione: occorre l’unanimità dei consensi; occorre, cioè, che tutti coloro che concorsero a formare il contratto sociale (o che, successivamente, vi hanno aderito) siano concordi nel volerlo modificare.

La norma è ispirata al massimo rispetto dell’autonomia contrattuale dei soci; ciascuno di essi non è vincolato che dalla propria volontà e nessuno di essi può essere assoggettato alla volontà altrui.

L’art. 2252 c.c. prevede, poi, la possibilità di inserire nel contratto sociale una clausola che ne preveda la modificabilità a maggioranza (la legittimità di tali clausole è pacificamente  riconosciuta dalla giurisprudenza, si vedano: Cass., 28 marzo 1960, n. 652; Trib. Milano, 23 settembre 1965).

Il principio in questo caso incontra dei limiti invalicabili. Non è infatti possibile affidare alla sola volontà della maggioranza la decisione in ordine a modificazioni che, sopprimendo o limitando i diritti del socio, ovvero imponendogli ulteriori obblighi, abbiano l’effetto di mutare la sua posizione all’interno della società.

Diverso principio vige nelle società di capitali: qui il contratto sociale è, per legge, modificabile a maggioranza (artt. 2365 e 2368, comma 2, c.c.).

Sulle esigenze di protezione dell’autonomia dei soci prevalgono, nelle società di capitali, altre esigenze: è favorita la possibilità di un costante adeguamento del contratto sociale al mutare delle esterne condizioni del mercato o delle interne situazioni dell’impresa sociale; si deroga, nel nome delle esigenze di funzionalità dell’organismo produttivo, ai principi sull’autonomia contrattuale.

Si può pensare che la rigorosa applicazione di questi principi ed il sacrificio delle opposte esigenze di funzionalità siano giustificati, nelle società di persone, dalla responsabilità illimitata dei soci: costoro rischiano, nell’impresa sociale, l’intero loro patrimonio; ma hanno accettato questo rischio – sembra potersi argomentare – per quella determinata impresa, indicata nel contratto sociale, ed a quelle determinate condizioni, risultanti dal contratto stesso.

Senonché il principio d’unanimità vale, per le modificazioni del contratto sociale, anche nella società in accomandita semplice, e vale anche nei confronti dei soci accomandanti, i quali godono del beneficio della responsabilità limitata e si trovano, quanto al rischio, nella medesima posizione dei soci di società di capitali.

Il fenomeno sfugge, in realtà, ad una razionale giustificazione: esso si ricollega al diverso substrato storico-economico delle società di persone e delle società di capitali e, in particolare, al fatto che le seconde sono  forme giuridiche proprie del capitalismo moderno, fondato sulla produzione industriale e sulla distribuzione di massa. rispetto alle società di persone, il contratto di società è rimasto un contratto nel significato classico dell’espressione: esso è il prodotto dell’accordo delle parti, e non può essere modificato se non mediante un nuovo accordo fra le stesse parti che concorsero a formarlo.

Quorum deliberativo (art. 2252 c.c.) – La legge richiede per le delibere di modifica dell’atto costitutivo l’unanimità dei consensi, salvo deroghe nel caso di conflitto di interessi e se i soci hanno espressamente convenuto il patto di modificabilità a maggioranza. Anche nel caso di esclusione di un socio, l’unanimità è derogata. In tal caso la legge prescrive una decisione a maggioranza dei soci non computandosi nel numero di questi il socio da escludere.

Modifiche soggettive

–   Ingresso di nuovo socio;

–   sostituzione di nuovo socio;

–   cessazione della qualità di socio;

–   trasferibilità della quota.

Modifiche oggettive

–   Trasferimento di sede;

–   proroga della durata;

–   cambiamento dell’oggetto sociale;

–   modifica del capitale sociale;

–   costituzione di usufrutto su quota sociale;

–   scioglimento della società (art. 2772, n. 3, c.c.);

–   decisione sull’opposizione di un amministratore in regime di amministrazione disgiuntiva (art. 2257, comma 2, c.c.);

–    nomina e revoca dell’amministratore nominato con atto separato (art. 2259, comma 2, c.c.);

–   approvazione del rendiconto (art. 2262 c.c.)

–   autorizzazione ad un socio di usare i beni per fini extra-sociali (art. 2256 c.c.);

–   approvazione del bilancio d’esercizio;

–   esonero dall’obbligo di non concorrenza (art. 2301 c.c.);

–   proposta di concordato fallimentare, amministrazione controllata, concordato preventivo.

31 ottobre 2016

Cinzia De Stefanis

Estratto dal testo La società in accomandita semplice di Cinzia De Stefanis, edito da Maggioli Editore

Leggi anche: Società in Accomandita Semplice: le delibere che influiscono sul capitale sociale – con verbali

NOTE

  1. In questi termini si esprimono Ferrara F. jr. – Corsi F., Gli imprenditori e le società, Milano, 1992, 308; Ferri G., Manuale di diritto commerciale, Torino, 1993, 273.
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