La disciplina delle cessioni all'esportazione

Partendo da un caso di giurisprudenza puntiamo il mouse sulla disciplina IVA delle esportazioni: la normativa che esenta le esportazioni dall’IVA, la definizione di esportatore abituale, il calcolo (a volte problematico) del plafond, la compilazione del quadro VC.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5168 del 16.3.2016, ha chiarito alcuni importanti aspetti giuridici in tema di cessioni all’esportazione.

Nel caso di specie la CTR accoglieva l’appello proposto dall’Amministrazione avverso la decisione di primo grado, con la quale era stato invece accolto il ricorso proposto dal contribuente nei confronti dell’avviso di accertamento per IVA, in relazione ad importazioni di merci effettuate nel corso dell’anno 1999, senza applicazione dell’imposta, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, c. 1, lett. c, per effetto dell’utilizzo del c.d. plafond costituito nell’anno precedente.

La CTR riteneva, infatti illegittimo l’inserimento nel plafond relativo al precedente anno di imposta di operazioni di esportazione temporanea per esposizione fieristica, non essendosi verificata in tale ipotesi una definitiva cessione all’esportazione che potesse giustificare l’innalzamento del plafond e la non imponibilità delle importazioni.

La contribuente presentava quindi ricorso per cassazione, denunciando la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, avendo la CTR errato nel ritenere che le merci inviate all’estero in regime di temporanea esportazione, in quanto destinate ad un’esposizione fieristica e cedute, poi, nell’ambito della stessa fiera, non costituissero cessioni all’esportazione, tali da giustificare la non imponibilità delle importazioni, mediante utilizzazione del plafond IVA costituito nell’anno precedente.

Era infatti, a suo avviso, infondata la tesi dell’Agenzia delle entrate, condivisa dal giudice di seconde cure, secondo cui l’operazione di specie non avrebbe costituito un’esportazione definitiva, sebbene la vendita della merce fosse avvenuta nel medesimo periodo di imposta, giacché, trovandosi fisicamente i beni venduti già all’estero al momento dell’alienazione, gli stessi avrebbero quindi già perduto il loro carattere di merce nazionale, con la conseguenza che la vendita di detti beni, avvenuta all’estero nell’ambito della fiera, non poteva costituire cessione all’esportazione, mancando appunto il requisito della territorialità ai fini IVA.

A parere della società, invece, ai fini della corretta applicazione della normativa in tema di IVA, bisognava fare riferimento allo stato giuridico dei beni inviati all’estero, e non a quello fisico.

Sicché, dal momento che, a norma del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 199, l’esportazione temporanea della merce non fa perdere alla stessa la natura di bene nazionale, non vi sarebbe stata alcuna ragione, una volta che l’esportazione da temporanea era divenuta definitiva, per escludere detta cessione dal plafond costituito nell’anno precedente.

Il ricorso, secondo la Suprema Corte, era fondato.

Come infatti già affermato in fattispecie analoga (Cass. n. 5894/2013), superando un precedente e difforme orientamento (Cass. nn. 1589 e 1595/2011), la disciplina nazionale delle operazioni relative a scambi con Paesi che si trovino fuori del territorio dell’Unione Europea, come configurata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, è ispirata al principio della detassazione dei beni “in uscita” dal territorio comunitario, e dell’applicazione dell’IVA italiana a quelli “in entrata”.

E tuttavia, al fine di conciliare l’esenzione da IVA delle operazioni di cessione di beni destinati al consumo all’estero con il diritto alla detrazione dell’imposta sugli acquisti, il legislatore ha introdotto talune operazioni concretamente non imponibili, sebbene astrattamente assoggettabili ad imposta.

Ed infatti, sottolineano i giudici di legittimità, benché il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, u.c., nella formulazione applicabile alla fattispecie concreta ratione temporis, prevedesse che non si considerano effettuate nel territorio dello Stato le cessioni all’esportazione (di cui ai successivi artt. 8, 8-bis e 9), la dottrina unanime ha comunque evidenziato l’improprietà della disposizione, atteso che le operazioni escluse per difetto di territorialità non devono essere confuse con le operazioni non imponibili (come, per l’appunto, le cessioni all’esportazione), per le quali invece il presupposto territoriale, a differenza delle prime, si realizza, come conferma il loro assoggettamento agli obblighi formali di fatturazione, dichiarazione…

A tal riguardo, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, individua come cessioni all’esportazione, come tali non imponibili, le cessioni, anche tramite commissionario, di beni che siano trasportati o spediti fuori del territorio comunitario, a cura o in nome del cedente o del suo commissionario (lett. a), oppure a cura o per conto del concessionario, purché questi non sia residente e l’invio avvenga entro 90 giorni dalla consegna (lett. b).

Tali disposizioni trovano, peraltro, la loro fonte diretta, a livello comunitario, nel combinato disposto dell’art. 15, c. 1, e art. 3, c. 1, della sesta Direttiva 77/388/CEE (applicabile al caso di specie ratione temporis), a norma dei quali gli Stati membri esentano dall’IVA le cessioni di beni spediti o trasportati dal venditore o per suo conto fuori del territorio della Comunità Europea (ora Unione Europea), laddove l’obiettivo dell’esenzione risiede nella volontà comunitaria, di cui è applicazione il sistema italiano di detassazione dei beni in uscita, di non assoggettare ad 1VA i consumatori degli Stati terzi, essendo detta imposta destinata a gravare esclusivamente sui consumatori della Comunità Europea (cfr. C. Giust. CE 2.8.93, Lange, C-I 11/92).

Tale esenzione, sempre senza limitare il diritto alla detrazione dell’IVA, è inoltre ora prevista anche dagli artt. 146-165 della successiva Direttiva 2006/112/CE.

Ma la norma succitata (lett. c) considera, altresì, non imponibili, sebbene si tratti di acquisti di merci o prestazioni di servizi destinati ad entrare nel territorio comunitario, anche le cessioni di beni (tranne i fabbricati e le aree edificabili) e le prestazioni di servizi fatte a soggetti che abbiano effettuato abitualmente cessioni all’esportazione od operazioni intracomunitarie, e chiedano al loro fornitore di non applicare l’imposta sull’operazione di acquisto e/o di importazione.

La ratio di tale previsione è che le suindicate operazioni non imponibili (cessioni all’esportazione ed operazioni intracomunitarie) non limitano la detrazione dell’imposta sugli acquisti. Sicché i soggetti che effettuino solo, o prevalentemente (esportatori abituali), operazioni di tale tipo, finirebbero per trovarsi costantemente in credito con l’Erario, giacché l’esiguità delle operazioni imponibili compiute (a debito) non varrebbe a compensare quella sugli acquisti (a credito).

Per limitare l’inconveniente che deriverebbe dal porre tali operatori in permanente attesa del rimborso dell’eccedenza di imposta, il legislatore consente allora loro di effettuare acquisiti senza applicazione dell’IVA, includendo tra le operazioni non imponibili anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi compiute nei loro confronti.

E tuttavia, trattandosi di un regime di sospensione di imposta, e non di esenzione, il beneficio in questione, per esigenze di cautela dell’Erario, è subordinato a rigorosi presupposti (Cass. 12744/11), laddove di tale beneficio, ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 e del D.L. n. 746 del 1983, art. 1, convertito in L. n. 17 del 1984, possono avvalersi soltanto i soggetti che abbiano effettuato cessioni all’esportazione di cui alle lettere a – b del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, registrate nell’anno precedente, per corrispettivi superiori al 10% del complessivo volume di affari.

Inoltre, l’esportatore abituale, prima di effettuare acquisiti senza pagamento dell’imposta, deve presentare alla controparte una “dichiarazione d’intenti”, della cui veridicità l’emittente assume ogni responsabilità (Cass. 21956/10), e con la quale l’esportatore medesimo manifesta chiaramente l’intento di avvalersi di tale facoltà. Infine, gli acquisiti senza applicazione dell’IVA sono consentiti nei limiti dell’ammontare complessivo dei corrispettivi delle cessioni all’esportazione di cui all’art. 8, lett. a – b, dec. cit., registrate nell’anno precedente (Cass. 4022/12).

Tutto ciò premesso, secondo la Corte, non era decisivo, ai fini di escludere che detta operazione costituisse cessione all’esportazione, il fatto che la merce venduta dalla contribuente si trovasse fisicamente all’estero nel momento in cui la vendita veniva conclusa.

Ed invero, sottolinea la Corte, va rilevato che, dal punto di vista del regime giuridico, in forza del combinato disposto del D.P.R. n. 43 del 1973, artt. 199 e 214, è consentita la temporanea esportazione (istituto conosciuto anche dal codice doganale comunitario) per il traffico internazionale di merci destinate a servire come campioni

“per tentarne la vendita”, e/o per “manifestazioni culturali, fieristiche, artistiche, sportive”…

Deve inoltre in questi casi considerarsi che, in forza del disposto di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 199, c. 3,

“le merci vincolate al regime della temporanea esportazione conservano la condizione giuridica di merci nazionali o nazionalizzate”.

Se ne doveva quindi necessariamente inferire che l’esportazione temporanea, a fini di esposizione fieristica e tentativo di vendita, con successiva cessione, dei beni esportati e con controllo dell’autorità doganale ed adempimento dei relativi incombenti, valeva certamente ad integrare la cessione all’esportazione ex art. 8, lett. a – b, come tale riconducibile al plafond costituito nell’anno precedente, ed utilizzabile, nell’anno successivo, ai fini dell’acquisito senza applicazione dell’IVA.

Per effetto della cessione dei beni esportati per le suindicate finalità, l’esportazione da temporanea era infatti divenuta definitiva, venendo, in tal modo, ad integrare i presupposti per la sua riconducibilità al plafond costituito nell’anno precedente.

Il permanere della condizione giuridica di merci nazionali dei beni vincolati all’esportazione temporanea rende quindi possibile la cessione in regime IVA, D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 7, laddove l’effettivo perfezionamento di tutte le operazioni di esportazione, attestato dalla Dogana ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, lett. a – b, determinava la destinazione dei beni all’esportazione (Cass. 6351/02).

Al contempo, l’assoggettamento di tali operazioni alle formalità relative all’IVA, come l’obbligo di fatturazione desumibile dall’art. 8, lett. a – b, ne determinava la possibilità di ricomprenderle nel coacervo di operazioni compiute nell’anno precedente quello in considerazione, utilizzabili come plafond dall’esportatore abituale per gli acquisti extracomunitari di merci senza pagamento di imposta, effettuati nell’anno successivo.

La vendita della merce temporaneamente esportata, che conserva la condizione giuridica di bene nazionale per effetto del compimento delle formalità in dogana, vale pertanto a determinare la trasformazione dell’esportazione temporanea, cui la merce è vincolata, in esportazione definitiva, come tale rilevante anche ai fini della non imponibilità delle operazioni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, lett. c.

Neppure del resto appariva convincente, secondo la Corte, l’ulteriore assunto della CTR, secondo la quale la cessione all’esportazione richiederebbe comunque una contemporaneità tra esportazione e vendita dei beni da esportare, dal momento che cessioni di beni sono, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2

“gli atti a titolo oneroso che importano trasferimento della proprietà, ovvero costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento”.

Per tale motivo, a parere del giudici di appello, solo la vendita già perfezionata all’atto dell’esportazione, mediante trasporto o spedizione fuori del territorio comunitario e pagamento del corrispettivo, avrebbe potuto dare luogo a cessione rilevante ai funi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8.

Senonché, sottolineano i giudici di legittimità, va di contro rilevato che l’art. 6, comma 1 del decreto cit. prevede, altresì, il caso in cui, ancorché la merce sia stata trasportata o spedita all’estero, gli effetti traslativi o costitutivi della vendita non si siano ancora perfezionati, in quanto destinati a prodursi successivamente; e, quindi, se la merce è stata spedita fuori del territorio comunitario, la vendita può venire a perfezionarsi anche nel luogo ove i beni si trovino nel momento in cui si producono detti effetti. Con la conseguenza che la scissione temporale tra temporanea esportazione e successiva vendita della merce viene, in tal modo, ad essere ulteriormente giustificata.

In conclusione, si evidenzia infine che, con consolidato indirizzo giurisprudenziale la Suprema Corte ha d’altro canto ormai accolto da tempo la tesi per cui la facoltà di esercitare l’opzione di determinati regimi non è subordinata all’adozione di forme particolari, ben potendosi desumere dal contegno del soggetto, purché concretamente verificabile.

E’ noto ormai l’indirizzo, anche legislativo, di progressiva perdita di rilevanza di tutti gli adempimenti che si rivelino puramente formali e che, se omessi, non siano comunque ostativi per l’attività di accertamento e verifica delle imposte.

Ma nel caso della comunicazione della dichiarazione di intento proprio di ostacolo all’attività accertativa si tratta.

Se dunque è vero che l’omessa compilazione del quadro VC non dovrebbe determinare l’inefficacia del regime di esonero dall’applicazione dell’imposta, bensì la mera irrogazione delle sanzioni previste in caso di omessa, ovvero irregolare comunicazione, è anche vero, come ora ancora confermato dalla Suprema Corte, che occorre comunque che, sul lato sostanziale, per la spettanza del regime di esonero, ricorrano le seguenti condizioni:

  • che il contribuente goda effettivamente dello status di esportatore abituale, avendo effettuato, nell’anno solare precedente (plafond fisso), oppure negli ultimi dodici mesi (plafond mobile), un ammontare di esportazioni, o altre operazioni rilevanti con l’estero, superiore al 10% del volume d’affari;
  • che egli abbia predisposto e inviato al proprio fornitore, prima dell’effettuazione dell’operazione, la dichiarazione di intenti.

I cosiddetti “esportatori abituali” per acquistare beni/servizi senza applicazione dell’IVA devono quindi previamente inviare ai propri fornitori l’apposita dichiarazione d’intento. E i fornitori, che ricevono tali dichiarazioni, devono inviare telematicamente i relativi dati all’Agenzia delle Entrate, utilizzando l’apposito modello.

E l’invio non è collegato al momento di ricevimento della dichiarazione d’intento, bensì al fatto di aver emesso fattura senza applicazione dell’IVA, in virtù della dichiarazione ricevuta e dunque va effettuato entro il termine di effettuazione della prima liquidazione periodica IVA, mensile o trimestrale, nella quale confluiscono le operazioni realizzate senza applicazione dell’imposta.

 

5 ottobre 2016

Giovambattista Palumbo