in caso di cessione di immobile o di azienda, il maggior valore definito ai fini dell’imposta di registro non è applicabile automaticamente alle imposte dirette; né si può presumere un maggior corrispettivo soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini delle imposte di registro ovvero delle imposte ipotecaria e catastale
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18234 del 16 settembre 2016, ha confermato che in caso di cessione di immobile o di azienda, il maggior valore definito ai fini dell’imposta di registro non è applicabile automaticamente alle imposte dirette. Né si può presumere un maggior corrispettivo soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini delle imposte di registro ovvero delle imposte ipotecaria e catastale.
La sentenza
La Corte prende atto che, nelle more del giudizio, è sopravvenuto l’art. 5, c. 3, del D.lgs. 147/2015, norma che ha sancito che le disposizioni in tema di imposizione diretta sulle plusvalenze da cessioni di immobili e di aziende ovvero da costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, si interpretano nel senso che, in proposito, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito a fini dell’imposta dì registro di cui al d.p.r. 131/1986 ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al d.lgs. 347/1990.
Viene, peraltro, rilevato che “questa Corte ha già ripetutamente affermato l’applicabilità della norma anche a situazioni oggetto di giudizi in corso all’atto della sua entrata in vigore (cfr. Cass. 11543/16, 7488/16, 6135/16), in base al rilievo (v., anche, Cass. 23550/15) che l’esplicita attribuzione alla norma di portata interpretativa di disposizione previgente – se non rende la norma, per ciò stesso, effettivamente interpretativa – le conferisce, di certo, carattere retroattivo, giacché attesta l’intento del legislatore di attribuire alla norma medesima quell’efficacia retroattiva (e, dunque, portata regolatrice di fattispecie formatesi precedentemente alla sua entrata in vigore), che, delle leggi interpretative, costituisce elemento connaturale (cfr., tra le altre, C.cost. 246/1992)”.
Brevi note
L’art. 5, c. 3, del D.Lgs. n.147 del 14 settembre 2015, in G.U. n.220 del 22 settembre 2015, in vigore dal 7 ottobre 2015, è intervenuto sulla prassi degli uffici di rettificare, ai fini reddituali, la plusvalenza dichiarata a seguito di cessione d’azienda (art.86, del T.U. n. 917/869 ovvero a seguito di cessione di un bene immobili (art. 67, del T.U. n. 917/86) sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al D.P.R. n. 131/86.
Il nuovo dettato normativo prevede che “Gli articoli 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e gli articoli 5, 5-bis, 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonchè per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347”.
La tecnica accertativa utilizzata finora dagli uffici finanziari (automatica efficacia ai fini delle imposte sui redditi, pur nella diversità della disciplina dell’imposta di registro rispetto a quella del reddito d’impresa, poiché la medesima situazione di fatto è rivelatrice della stessa capacità contributiva1) è stata costantemente avallata dalla Corte di Cassazione. Si veda, fra le altre, la sentenza n.20013 del 30 agosto 2013, la quale, dopo aver premesso che “ i principi relativi alla determinazione del valore di un bene che viene trasferito sono diversi a seconda dell’imposta che si deve applicare, sicchè quando si discute di imposta di registro si ha riguardo al valore di mercato del bene, mentre quando si discute di una plusvalenza realizzata nell’ambito di un impresa occorre verificare la differenza realizzata tra il prezzo di acquisto e il prezzo di cessione”, ed anche “considerando che, in tema di accertamento, ai fini Irpef, delle plusvalenze realizzate a seguito di trasferimento di azienda, il valore dell’avviamento resosi definitivo ai fini dell’imposta di registro, assume carattere vincolante per l’amministrazione finanziaria”, sostiene che “l’indicazione, nel bilancio di una società, di un’entrata derivante dalla vendita di un bene, inferiore rispetto a quella accertata ai fini dell’imposta di registro, legittima di per sé l’amministrazione a procedere ad accertamento induttivo mediante integrazione o correzione della relativa imposizione, mentre spetta al contribuente che deduca l’inesattezza di una tale correzione di superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato rispetto al valore di mercato, dimostrando (anche con il ricorso ad elementi indiziari) di avere in concreto venduto proprio al prezzo (inferiore) indicato in bilancio. Peraltro l’Ufficio, abilitato dalla legge ad avvalersi di presunzioni, può anche utilizzare una seconda volta gli stessi elementi probatori già utilizzati in precedenza e idonei secondo l’ordinamento a provare il fatto posto a base dell’accertamento” (Cass. n.19548/2005, n. 21055/2005)”.
Sempre la Suprema Corte, antecedentemente, con la sentenza n. 5078 del 2 marzo 2011, aveva legittimato l’Amministrazione finanziaria a “procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro”, passando la palla al contribuente: “è onere probatorio del contribuente (anche con ricorso ad elementi indiziari) superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato in sede di applicazione dell’imposta di registro”.
Ancora con l’ordinanza n. 20204 dell’8 ottobre 2015 (ud. 23 luglio 2015) la Corte di Cassazione aveva già affermato che, ai fini IRPEF, la dichiarazione di un valore inferiore a quello già accertato in via definitiva ai fini dell’imposta di registro legittima l’amministrazione finanziaria a procedere all’accertamento della plusvalenza. Infatti, secondo principi consolidati (sentenza n. 23115 del 11/10/2013), “in tema di plusvalenze patrimoniali realizzate a seguito di cessione di azienda, la dichiarazione del contribuente, ai fini IRPEF, di un valore inferiore a quello già accertato in via definitiva per il medesimo bene in sede di imposta di registro legittima l’amministrazione finanziaria a procedere all’accertamento induttivo della plusvalenza, integrando o correggendo la relativa imposizione con possibilità di utilizzare una seconda volta, ricorrendo anche a presunzioni, gli stessi elementi probatori già posti a fondamento del precedente accertamento, mentre spetta al contribuente, che deduca l’inesattezza della correzione o dell’integrazione, superare la presunzione dimostrando di aver venduto al minor prezzo indicato in bilancio”.
Tuttavia, la norma di interpretazione autentica introdotta dall’art. 5, c. 3, del D.Lgs. n. 147/2015 impone l’acquisizione di ulteriori elementi e circostanze, anche se presuntivi. Elementi e circostanze che impongono, a sua volta, al contribuente di confutarli, fornendo (se sussistente) una lettura diversa da quella operata dall’ufficio, attraverso prove documentali ovvero presuntive2: per esempio, conflittualità sociali che hanno indotto a vendere al di sotto del valore; età avanzata del titolare dell’azienda ceduta….
Se è vero che per le cessioni di aziende nonchè per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro ovvero delle imposte ipotecaria e catastale, occorre prendere atto che il legislatore delegato ha comunque legittimato tale procedimento accertativo, che va però costruito con ulteriori elementi.
27 ottobre 2016
Gianfranco Antico
1 Cfr. sent. Corte Costituzionale n.473 del 31 ottobre 1995, secondo cui in materia di imposta di registro /INVIM è “indubbio che il legislatore ha voluto che l’accertamento del valore del bene trasferito sia lo stesso per entrambe le imposte, nel caso in cui si verifichi il conflitto fra due titoli definitivi che nello stesso tempo danno al medesimo bene valori differenti, quello risultante dal giudicato deve prevalere sul valore maggiore riportato nell’atto amministrativo. Questa interpretazione risulta conforme ai principi di cui agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione. Il principio di uguaglianza impone, infatti, che se il valore dello stesso immobile viene riconosciuto per ragioni obiettive nei confronti di un debitore d’imposta, esso non può essere diverso ove si tratti del contribuente di un’altra imposta connessa e nello stesso contesto, che pur si riferisce al trasferimento dello stesso bene. Il principio della capacità contributiva esige che la medesima situazione di fatto non può che essere rilevatrice della stessa capacità contributiva e quindi dell’analogo prelievo fiscale. Infine, quello della imparzialità della pubblica amministrazione sancisce il dovere per essa di conformarsi al giudicato che ha riconosciuto la illegittimità oggettiva del valore dato dall’atto amministrativo ad un immobile”.
2 Cfr. Cass. sent. n. 7023/2010.