Il sequestro preventivo di beni fondato su un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza

analisi di una recente sentenza di Cassazione che tratta di un caso di sequestro preventivo basato sui risultati di un PVC della Guardia di finanza che elencava gli elementi che possono spingere ad adottare misure cautelari patrimoniali, quale il sequestro preventivo, nel corso delle connesse indagini preliminari

william_talman_raymond_burrLa Corte di Cassazione (con la sentenza n. 23368 del 7 giugno 2016) ha esplicitato interessanti principi di diritto concernenti la natura del processo verbale di constatazione, redatto al termine di attività di verifica fiscale dalla Guardia di Finanza, nonché l’incidenza degli elementi ivi contenuti nel procedimento di valutazione volto ad adottare misure cautelari patrimoniali, quale il sequestro preventivo, nel corso delle connesse indagini preliminari.

In particolare, la Suprema Corte si è soffermata sulla possibilità di fondare il provvedimento di sequestro preventivo di beni ai sensi del combinato disposto dell’art. 321 c.p.p. e dell’art. 12-bis del D.Lgs. n. 74/2000 nel caso in cui gli elementi sui quali si fonda l’ipotesi accusatoria per una delle fattispecie illecite penal-tributarie siano derivanti da un processo verbale di constatazione redatto in violazione dell’art. 220 delle norme di attuazione del c.p.p..

In merito, occorre preliminarmente richiamare l’attuale assetto normativo in ragione del quale (fermo restando quanto previsto dagli artt. 24 della Legge 7 gennaio 1929, n. 41, 52 del D.P.R. n. 633/1972 e 33 del D.P.R. n. 600/19732) il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, essendo diretto ad accertare o riferire violazioni a norme di leggi finanziarie o tributarie, costituisce atto irripetibile (ex articolo 234 c.p.p.) e può, quindi, essere inserito nel fascicolo per il dibattimento, sempreché siano state rispettate le prescrizione previste dal c.p.p.3.

Infatti, il richiamato art. 220 delle disposizioni di attuazione prevede che quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice.

Ne consegue, come già evidenziato, che ove emergano indizi di reità durante la verifica fiscale, occorre procedere secondo le modalità prescritte dall’art. 220 disp. att. c.p.p.; in caso contrario la parte del documento redatta successivamente a detta emersione non può assumere efficacia probatoria e, quindi, non è utilizzabile nel procedimento penale.

Sul punto, si richiama la sentenza 10 febbraio 2010 n. 15372 con la quale la Corte di Cassazione ha ribadito che “il verbale di constatazione della Guardia di Finanza costituisce un atto amministrativo extraprocessuale, come tale acquisibile e utilizzabile per provare la sussistenza dei reati tributari ex art. 234 c.p.p.; ma qualora emergano indizi di reato, il verbale diventa inutilizzabile nella parte redatta successivamente a tale emersione se non si procede secondo le modalità di cui all’art. 220 disp. att. c.p.p. (Cass. sez. 3, 18 novembre 2008-18 febbraio 2009 n. 6881; Cass. sez. 3, 1 aprile 1998 n. 7820; Cass. sez. 3, 21 gennaio 1997 n. 1969), norma la cui osservanza, nell’ambito di attività ispettive o di vigilanza, è prevista per assicurare le fonti di prova in presenza appunto di indizi di reato ed è presidiata dalla inutilizzabilità”.

Ciò premesso (chiarito il principio di inutilizzabilità nel procedimento penale degli elementi acquisiti nel corso di attività ispettiva fiscale amministrativa senza l’osservanza delle norme del codice di rito) occorre soffermarsi sull’applicabilità o meno del sequestro preventivo di beni ed utilità di valore corrispondente a quello frutto della presunta attività illecita tributaria, qualora gli indizi di reità emergano dal processo verbale di constatazione redatto in violazione del menzionato art.220.

A tal riguardo, la Corte di Cassazione (con la sentenza n. 23368) afferma che il sequestro preventivo di beni, in relazione al reato di dichiarazione infedele, può fondarsi anche sui dati trasfusi nel processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza in violazione dell’articolo 220; l’eventuale inutilizzabilità, ai fini probatori, del processo verbale per violazione di detta norma di garanzia procedurale è eccezione che potrà trovare ingresso nel successivo giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa.

A detta della Suprema Corte, infatti, sussiste una radicale diversità della funzione e dell’oggetto delle distinte fasi procedimentali delle indagini preliminari (volta a verificare la fondatezza di una notizia di reato al fine dell’eventuale promuovimento dell’azione penale) e del processo, mirata invece al giudizio di responsabilità penale in ordine ad un’accusa formulata alla chiusura della prima. Ne consegue, prosegue la Corte, un’evidente diversità ontologica del giudizio e delle sue regole nell’una e nell’altra delle due fasi.

In particolare, nel sottosistema normativo cautelare reale, per il giudice della cautela ovvero del riesame, si tratta di valutare, ancorchè “in concreto“, soltanto la sussistenza del c.d. fumus commissi delicti, che pacificamente è di già un quid minus rispetto alla sussistenza dei “gravi indizi di colpevolezza” oggetto di valutazione della cautela personale ed ancor più minus è rispetto alla valutazione della sussistenza della responsabilità penale oggetto del processo, vincolata dalle assai più stringenti e rigorose relative regole di valutazione della prova e di giudizio.

In conclusione, il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza:

  • nell’incidente fase cautelare, può costituire base di valutazione, in ragione degli elementi ivi contenuti, circa l’esistenza di concreti elementi indiziari in ordine alla sussistenza di fatto di reato al quale far conseguire il connesso provvedimento di sequestro preventivo;

  • dovrà essere valutato, nell’eventuale e successiva fase dibattimentale del processo penale, in ordine all’utilizzabilità o meno degli elementi indiziari rappresentati, alla luce dei principi contenuti nel codice di rito circa il giudizio di responsabilità penale.

In altre parole, nel richiamare la sentenza n. 15254 del 10/03/2015, la Cassazione evidenzia che “in sede di riesame del sequestro probatorio il Tribunale è chiamato a verificare l’astratta configurabilità del reato ipotizzato, valutando il ‘fumus commissi delicti’ in relazione alla congruità degli elementi rappresentati, non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa, ma con riferimento alla idoneità degli elementi su cui si fonda la notizia di reato a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti esperibili senza la sottrazione del bene all’indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell’autorità giudiziaria”.

Pertanto, il processo verbale di constatazione redatto in violazione dell’art. 220, pur non potendo costituire fonte di prova della commissione dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74/2000, può avere un valore indiziario sufficiente a integrare il “fumus commissi delicti” idoneo, in assenza di elementi di segno contrario, a giustificare l’applicazione di una misura cautelare reale. L’inutilizzabilità del processo verbale di constatazione (come ribadito dall’Organo giurisdizionale) potrà essere posta nella eventuale fase delibativa dell’accusa dopo la conclusione delle indagini preliminari ovvero nel successivo giudizio di merito sulla fondatezza dell’imputazione oggetto della promuovenda azione penale.

14 settembre 2016

Nicola Monfreda

1 Le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale.

2 Di ogni accesso effettuato nella fase di controllo deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute.

3 Cfr Corte di Cassazione 19 gennaio 2015, n. 1973.