Accertamento sintetico e prova delle liberalità: il contribuente deve dimostrare da dove arrivano i soldi non basta dirlo

analizziamo come e con che limitI le liberalità tra familiari (dazioni dai genitori ai figli) possono essere utilizzate per contrastare le presunzioni che nascono in caso di accertamento sintetico

delittocastigo2Con l’ordinanza n. 17504 dell’1 settembre 2016 la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza della CTR che aveva affermato che l’accertamento sintetico effettuato dall’Ufficio non aveva pienamente valutato la particolare situazione, nell’anno di riferimento, del contribuente, il quale aveva provveduto ad accudire l’anziana nonna (risultava pertanto del tutto verosimile che egli avesse ricevuto, non soltanto dalla nonna, ma anche dal padre, contributi economici di una certa consistenza, dovendo in particolare ritenersi carente di prova l’assunto dell’ufficio, secondo cui le somme che questi aveva ricevuto dal padre, costituissero compenso “in nero” per prestazioni lavorative nell’impresa di costruzioni di quest’ultimo).

Il pensiero della Cassazione

L’idonea documentazione necessaria a dimostrare che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte, a titolo di imposta, è qualcosa “in più della prova della mera disponibilità di ulteriori redditi richiedendo espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (Cass. 25104/2014 e Cass, 14855/2015)”.

In tal senso, osserva la Corte, “va inteso lo specifico riferimento alla prova – risultante da idonea documentazione – dell’entità di tali ulteriori redditi e della durata del loro possesso, prova che ha la finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi, per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi (Cass. 25104/2014 e Cass. 14855/2015)”.

In particolare, precisano i massimi giudici, “qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca che tale spesa sia il frutto di liberalità, la relativa prova deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi (della nonna e degli altri familiari) ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente (nella specie, il figlio) interessato dall’accertamento. Orbene, nel caso di specie la CTR non ha fatto buon governo dei principi su richiamati, in quanto ha ritenuto assolto l’onere probatorio gravante sul contribuente sulla base di una mera valutazione di verosimiglianza, omettendo di verificare, dandone conto in motivazione, se detta prova fosse fondata su prova documentale ed ancorata a fatti oggettivi”.

Le nostre considerazioni

Il vecchio redditometro da luogo ad una presunzione “legale” ai sensi dell’art. 2728 c.c., poichè è lo stesso dettato normativo che impone di ritenere come diretta conseguenza di determinati fatti noti (la disponibilità di beni o servizi) il fatto ignoto (capacità contributiva).

Il giudice tributario, quindi, una volta constatata la sussistenza degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” accertati dall’ufficio, non ha il potere di negare a tali “elementi” la capacità presuntiva “contributiva” che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, dovendo solo limitarsi a valutare la prova che il contribuente offre in ordine alla provenienza non reddituale1.

Il cd. vecchio sintetico trae fondamento nell’art. 38, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973, che consente all’ufficio finanziario, in base ad elementi e circostanze di fatto certi ed indipendentemente da una previa rettifica analitica, di determinare il reddito complessivo netto delle persone fisiche, tutte le volte che tale reddito accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato e tale situazione permane per due o più periodi d’imposta2.

La presunzione genera, peraltro, l’inversione dell’onere della prova, trasferendo sul contribuente l’impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà, ovvero a darne una diversa valutazione.

Il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta: ovviamente l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione.

Il thema decidendum rimane circoscritto alla questione della sufficienza della prova, che il contribuente deve offrire, sul fatto che l’elemento posto dagli organi di controllo, a base della presunzione di reddito, non è invece indice di capacità contributiva (per esempio, che il denaro utilizzato per l’acquisto sia di un terzo soggetto; ma occorre, in questo caso, che il contribuente dia contezza della tracciabilità del denaro, non bastando la sola affermazione che l’incremento patrimoniale è frutto di un prestito o di un regalo).

La sentenza che si annota si pone sulla scia di precedenti pronunciamenti che hanno blindato il sintetico.

  • Con l’ordinanza n. 19637 del 16 settembre 2010 (ud. del 26 giugno 2010) la Corte di Cassazione ha affermato che costituisce principio consolidato “quello secondo il quale, in materia di accertamento dell’imposta sui redditi ed al fine della determinazione sintetica del reddito annuale complessivo, secondo la previsione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38 la sottoscrizione di un atto pubblico (nella specie: una compravendita) contenente la dichiarazione di pagamento di una somma di denaro da parte del contribuente può costituire elemento sulla cui base determinare induttivamente il reddito posseduto, in base all’applicazione di presunzioni semplici, che l’ufficio finanziario è legittimato ad applicare per l’accertamento sintetico, risalendo dal fatto noto a quello ignoto, restando poi sempre consentita, a carico del contribuente, la prova contraria in ordine al fatto che manca del tutto una disponibilità patrimoniale, essendo questa meramente apparente, per avere l’atto stipulato, in ragione della sua natura simulata, una causa gratuita anzichè quella onerosa apparente (Cass. nn. 86658/2002, 5991/2006 23252/2006)”.

  • Con l’ordinanza n. 14896 del 5 settembre 2012 (ud. 5 luglio 2012) la Corte di Cassazione ha assegnato al contribuente l’onere di smentire le risultanze dell’accertamento sintetico. Per la Corte, “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il metodo disciplinato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, – come via via modificato – consente, a fronte di circostanze ed elementi certi, che evidenzino un reddito complessivo superiore a quello dichiarato o ricostruibile su base analitica, la determinazione del maggior imponibile in modo sintetico, in relazione al contenuto induttivo di tali circostanze ed elementi. Pertanto, la norma esige dati certi con riguardo alla esistenza del maggiore reddito imponibile e, in presenza di dati siffatti, richiede la individuazione dell’entità del reddito stesso con parametri indiziari, in via di deduzione logica del fatto taciuto dal dichiarante da quello noto, secondo i comuni canoni di regolarità causale. Ne consegue che, in presenza di dati certi ed incontestati, non è consentito pretendere una motivazione specifica dei criteri in concreto adottati per pervenire alle poste di reddito fissate in via sintetica nel cosiddetto redditometro, in quanto esse, proprio per fondarsi su parametri fissati in via generale, si sottraggono all’obbligo di motivazione, secondo il principio stabilito dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 2, (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 327 del 11/01/2006, n. 10350 del 2003)”.

  • Con l’ordinanza n. 2015 del 29 gennaio 2014 (ud. 5 dicembre 2013) la Corte di Cassazione ha confermato il proprio orientamento. Questa Corte (Cass. n. 1909/2007) ha ritenuto che il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici ‘elementi indicatori di capacità contributiva’ esposti dall’Ufficio, non ha il potere di togliere a tali ‘elementi’ la capacità presuntiva ‘contributiva’ che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perchè già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma“. Allo stesso modo, “questa Corte (Cass. n. 5991/2006) ha ritenuto che l’accertamento sintetico, con metodo induttivo, consentito all’amministrazione finanziaria dalle norme contenute nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, commi 4 e 5, consiste nell’applicazione di presunzioni semplici, in virtù delle quali l’ufficio finanziario è legittimato a risalire da un fatto noto a quello ignorato (sussistenza di un certo reddito e, quindi, di capacità contributiva). La suddetta presunzione semplice genera peraltro l’inversione dell’onere della prova, trasferendo al contribuente l’impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà. A tali principi non risulta essersi attenuta la decisione impugnata laddove ha ritenuto documentati i redditi delle collaboratrici domestiche sulla base di dichiarazioni del contribuente”.

  • Con la sentenza 6 giugno 2014, n. 12745, la Corte ha ribadito che “l’accertamento dei redditi con metodo sintetico, ai sensi dell’art. 38, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non postula, in difetto di ogni previsione al riguardo della norma, che gli elementi e le circostanze di fatto in base ai quali il reddito viene determinato dall’ufficio siano in qualsiasi modo contestati al contribuente, ferma restando per quest’ultimo la possibilità di fornire, in sede di impugnazione dell’atto, la dimostrazione che il redito effettivo è diverso e inferiore rispetto a quello scaturente dalle presunzioni adottate dall’amministrazione finanziaria, sicché la sola circostanza relativa alla mancata instaurazione di una qualche forma di contraddittorio con il contribuente nella fase istruttoria non può giustificare l’annullamento dell’accertamento stesso” (Cass. n. 27079 del 2006). E in conclusione afferma che “l’accertamento del reddito con metodo sintetico, infatti, non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta (art. 38, sesto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600) e, più in generale, che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. n. 20588 del 2005). Una prova siffatta, secondo il giudice di merito, non è stata fornita”.

Sempre sul versante giurisprudenziale, merita di essere evidenziata la sentenza della Cassazione n.1638 del 28 gennaio 2016, che ripercorre di fatto il pregresso percorso giurisprudenziale. Rileva la Corte che (superando un precedente orientamento alla cui stregua la prova documentale contraria che il contribuente deve offrire per vincere l’accertamento sintetico del proprio reddito D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis) non riguarderebbe la sola disponibilità di redditi esenti o tassati alla fonte, ma anche l’essere stata la spesa per incrementi patrimoniali sostenuta proprio con detti redditi (Cass. 6813/09, 4138/13, 2010/14, 3111/14, 25104/14)) con la sentenza n. 6396/14 ha affermato, che qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alle spese per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa, a carico del contribuente, “riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte e non anche la dimostrazione del loro impiego negli acquisti effettuati, in quanto la prima circostanza è idonea, da sola, a superare la presunzione dell’insufficienza del reddito dichiarato in relazione alle spese sostenute.” Questa evoluzione giurisprudenziale si è successivamente affinata con la sentenza n. 8995/14 e confermata nella sentenza n. 17664/14.

Sempre di recente, per la Corte di Cassazione (ord. n. 3456/2016)la norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della ‘durata’ del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacita contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate al fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati“. Nella specifica ipotesi di liberalità “nell’ambito dell’accertamento sintetico la prova delle liberalità che hanno consentito l’incremento patrimoniale deve essere documentale e la motivazione della pronuncia giurisdizionale deve fare preciso riferimento ai documenti che la sorreggono ed al relativo contenuto” (cfr. Cass. nn. 24597/ 2010 e 6397/2014). Pertanto, appare necessario che il contribuente dimostri la specifica utilizzazione della provvista per l’investimento effettuato ovvero il disinvestimento di somme/titoli, azioni/libretti, pari alle somme corrispondenti alle spese sostenute.

Ed ancora con la sentenza n.10234 del 18 maggio 2016, la Corte di Cassazione ha ritenuto che, ai fini dell’accertamento sintetico, le spese per l’acquisto di terreni e fabbricati non giustificabili dai redditi dichiarati, non possono trovare copertura da dichiarazione di familiari per regalie elargite nel corso degli anni. Come la Corte ha avuto modo di chiarire (Cass. Civ., Sez. 5, 18 aprile 2014, n. 8995, richiamata dalle successive Cass. 26 novembre 2014, n. 25104, 16 luglio 2015, n. 14885), “pur non prevedendosi esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della “entità” di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico. Né la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la «durata» del possesso dei redditi in esame, quindi non il loro semplice «transito» nella disponibilità del contribuente”.

28 settembre 2016

Gianfranco Antico

1 Cfr. sentenza Cass. n. 22936 del 17 ottobre 2007 (dep. il 30 ottobre 2007) La Corte, richiamando un indirizzo consolidato (fra le tante, sentenza n. 19252 del 2005), ha affermato che la disponibilità di beni previsti dalla norma, costituisce una presunzione di “capacità contributiva” da qualificare “legale” ai sensi dell’art. 2728 c.c., perché è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità l’esistenza di una “capacità contributiva“. Quindi, prosegue la Corte, il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’ufficio, non ha il potere di togliere a tali “elementi” la capacità presuntiva “contributiva” che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, “ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma; che, pertanto, l’accertamento sintetico del reddito del contribuente, svolto sulla base di tali indici, non costituisce affatto uno strumento straordinario di accertamento reddituale, utilizzabile solo – come si sostiene nella sentenza impugnata – in caso di mancata dichiarazione dei redditi o di loro dichiarazione palesemente non corrispondente al vero, ma anche in caso di dichiarazione apparentemente corretta, ove, prima ancora che si dimostri l’effettivo contrasto tra quanto esposto e quanta capacità contributiva esprime il possesso di beni e valori (specificamente elencati negli strumenti conoscitivi predisposti dal legislatore), esso sia solo ipotizzato, sia pure non arbitrariamente, nell’ambito della discrezionalità amministrativa di cui sono dotati gli uffici pubblici titolari del relativo potere impositivo; che, in base tale ultimo principio di diritto, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa da cui essa si è originata va rinviata ad altra Sezione della stessa Commissione tributaria regionale perché, sulla base dell’enunciato principio in materia di accertamento sintetico del reddito, in uno con il regolamento delle spese di questa fase, esamini nuovamente le domande poste dalla ricorrente in sede di impugnazione della decisione di primo grado”. Evidenziamo ancora che la Corte di Cassazione (sent. 25386 del 26 ottobre 2007, dep. il 5 dicembre 2007) ha affermato che gli accertamenti effettuati mediante redditometro si sottraggono all’obbligo di motivazione ex art. 3, c. 2, della L. 7 agosto 1990, n. 241, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria è esonerata da qualunque prova ulteriore rispetto ai fatti indicativi di capacità contributiva individuati dal redditometro e posti a base della pretesa fiscale (nel caso di specie: possesso di automobili), gravando sul contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presupposto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore. Ne consegue, per la Corte, che “in presenza di dati certi ed incontestati, non è consentito pretendere una motivazione specifica dei criteri in concreto adottati per pervenire alle poste di reddito fissate in via sintetica nel cosiddetto redditometro, in quanto esse, proprio per fondarsi su parametri fissati in via generale, si sottraggono all’obbligo di motivazione, secondo il principio stabilito dall’art. 3, c. 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Cass. 327/06), e l’Amministrazione Finanziaria resta dispensata da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti indicativi di capacità contributiva, individuati dal redditometro stesso e posti a base della pretesa tributaria (nella specie, il possesso di automobili}, gravando sul contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 10350/03)”.

2 Sul punto ricordiamo che con sentenza n. 237 del 21 ottobre 2008 (dep. il 9 gennaio 2009), la Corte di Cassazione aveva già affermato che “dalla interpretazione letterale della norma non si ricava che i due o più periodi di imposta devono essere consecutivi, nè che essi devono essere necessariamente anteriori a quello per il quale si effettua l’accertamento, essendo sufficiente, secondo la disposizione in esame, che il reddito dichiarato non risulti congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di imposta”.