Il reato di millantato credito

Il millantato credito è il reato di chi, millantando credito presso un pubblico ufficiale o un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio, riceve o fa dare o fa promettere, a sè o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione. A cura di Massimiliano Giua e Daniele Corradini.

Il reato di millantato credito: disciplina generale

reato di millantato creditoContinuiamo l’analisi della macrocategoria di quei reati genericamente riconducibili al novero dei delitti contro la pubblica amministrazione esaminando il millantato credito.

Tale figura, denominata, secondo taluni autorevoli commentatori11, “vendita di fumo”, è il reato di chi, millantando credito presso un pubblico ufficiale (di seguito PU) o un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio (di seguito IPS), riceve o fa dare o fa promettere, a se’ o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione.

La pena prevista è quella della reclusione da due a sei anni se il colpevole riceve o fa dare o promettere, a sè o ad altri, denaro o altra utilità, col pretesto di dover comprare il favore di un PU o IPS, o di doverlo remunerare.

La fattispecie incriminatrice in analisi è contenuta nel Capo II del Titolo II del Libro Secondo del Codice Penale, rubricato “Dei delitti dei privati contro la Pubblica Amministrazione“, e non delinea un reato proprio, in quanto ipotesi integrabile anche dal privato2.

In merito ai soggetti attivi del reato, autorevole dottrina3 è concorde nel non ritenere punibile la persona che aderisca alla millanteria (il c.d. compratore di fumo”). Soggetto, quest’ultimo, che secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione4 sarebbe, addirittura, in qualche modo tutelato dalla norma in esame5.

La pena detentiva per il millantato credito, nella fattispecie delineata dal primo comma dell’art. 346 c.p., è quella della reclusione da uno a cinque anni e, nella fattispecie disciplinata al comma successivo, quella della reclusione da due a sei anni6.

Il delitto non è stato oggetto di modifiche da parte delle recenti disposizioni in materia di delitti contro la P.A., non avendo né la legge 190/2012 né il D.Lgs. 69/2015 disposto nulla in materia7.

Il bene giuridico protetto, secondo l’indirizzo dottrinario8 e giurisprudenziale9 dominante, è quello del prestigio della Pubblica Amministrazione, il quale per via dell’azione ingannatoria posta in essere dall’agente può essere intaccato creando una falsa apparenza di corruttibilità dei soggetti intranei alla stessa Amministrazione.

Secondo dottrina10 e giurisprudenza11, ci si trova di fronte ad una particolare ipotesi fraudolenta prevista tra i delitti contro la P.A., poiché gli artifici realizzati dall’agente pongono in pericolo la saldezza del prestigio della stessa.

Il soggetto attivo del reato in esame, infatti, per conseguire un indebito profitto, fa credere falsamente che le persone che formano o concorrono a formare la volontà della P.A. siano corruttibili, ovvero suscettibili di inframettenze illecite.

La disposizione incriminatrice de qua non pone alcuna tutela al compratore di fumo, il quale non sarebbe materialmente oggetto di una truffa12.

La condotta prevista dall’art. 346 c.p. consiste nel vantare influenze inesistenti o nell’esagerare quelle realmente esistenti13. Millantare significa, quindi, vantare un’influenza inesistente o esagerata14 su appartenenti alla Pubblica Amministrazione.

Il delitto in esame non contiene gli elementi della frode15.

Considerato, infatti, che il reato ex art. 346 c.p. è stato concepito per tutelare il prestigio della Pubblica Amministrazione piuttosto che il patrimonio del solvens, si è focalizzata l’attenzione sulla condotta dell’agente, che si fa dare il denaro “rappresentando” i pubblici impiegati come persone venali, inclini ai favoritismi.

Di conseguenza anche in giurisprudenza16 si è consolidato l’indirizzo ermeneutico secondo cui, per integrare la millanteria, non è necessaria una condotta ingannatoria o raggirante, perché ciò che rileva è la vanteria dell’influenza sul PU/IPS, che, da sola, a prescindere dai rapporti effettivamente intrattenuti, offende l’immagine della Pubblica Amministrazione.

La norma, inoltre, secondo gli Ermellini17, non pone quale requisito necessario l’indicazione di uno specifico appartenente alla P.A.18, essendo infatti sufficiente, in tal senso, per l’integrazione della fattispecie di cui all’art. 346 c.p. co. 1, riferirsi in genere a PU e IPS19.

Non occorre neanche che la millanteria abbia per oggetto un atto ingiusto o illecito, ma serve, invece, che essa sia idonea a raggiungere lo scopo, non essendo sufficiente un grossolano inganno inadeguato allo scopo20.

L’art. 346, cpv, codice penale prevede una figura autonoma ed aggravata di millantato credito. Essa ricorre quando il colpevole riceve o fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato, o di doverlo remunerare.

La disposizione non pone una forma circostanziata del delitto in esame21 ma differisce da quella di cui al primo comma, poiché l’utilità22 di cui gode l’agente non è carpita come prezzo dell’ipotetica opera di mediazione, bensì quale remunerazione del soggetto intraneo alla P.A. al fine di ottenere che egli agisca nel senso desiderato o per compensarlo dell’opera da svolgere23.

Naturalmente, deve trattarsi di un pretesto o di una scusa in quanto, se fosse effettivamente dovuta l’utilità, subentrerebbe il reato di corruzione24.

All’art. 346 co.2 c.p., quindi, il soggetto attivo non si propone attraverso un’attività di intermediazione, come nella ipotesi base dell’art. 346 c.p., ma si presenta quale strumento di corruzione di un funzionario pubblico.

Ne consegue che:

  • se realizza concretamente l’attività di corruzione concorre del delitto di cui all’art. 318-319 p.;
  • se, ingannando il “compratore di fumo”, si appropria della retribuzione risponderà del reato di cui all’art. 346 p. cpv25.

In merito, anche la Suprema Corte, con la sentenza n. 30150/2006, ha avuto modo di affermare che

“ciò che differenzia le due ipotesi di millantato credito è l’elemento del pretesto contenuto nel comma 2 dell’art. 346 c.p., un elemento che richiama il mendacio e l’inganno, in quanto corrisponde sostanzialmente alla falsa causa addotta dall’agente per indurre con l’inganno il compratore di fumo ad una prestazione patrimoniale, che diversamente non sarebbe ottenibile!”

 

Ed ancora, ulteriore elemento di differenziazione tra le due autonome fattispecie di reato è stato individuato nella diversa rappresentazione della destinazione del denaro che l’agente propone al soggetto passivo:

  • nella fattispecie meno grave il denaro serve a remunerare la mediazione;
  • nella fattispecie ex art. 346, cpv, c.p., il denaro è utilizzato con il pretesto di comprare il favore del pubblico funzionario26.

In merito alla condotta della fattispecie aggravata è, infine, intervenuta la sentenza della Suprema Corte n. 17941/13, la quale, seguendo un percorso consolidato27, ha avuto modo di evidenziare che

“per realizzare il discredito e la denigrazione della pubblica amministrazione costituente l’oggettività giuridica del reato di millantato credito previsto dall’art. 346 c.p., comma 2 – non occorre né che il soggetto millantato sia specificamente individuato o individuabile, né che disponga di effettiva competenza funzionale (ratione officii) rispetto al beneficio o favore fatto sperare o promesso dal millantatore alla persona offesa (id est danneggiata) dalla illecita “vanteria”.

Per perfezionare il reato di cui all’art.346 c.p., comma 2, è sufficiente che il millantatore faccia credere alla vittima di essere in grado di intervenire (in ogni modo che sia concussivo, o corruttivo) presso un pubblico ufficiale o un pubblico impiegato perché questi per denaro spenda a “favore” della vittima il prestigio, l’autorevolezza e l’influenza connessi alla sua qualità di pubblico impiegato, non occorrendo che egli eserciti o presti una funzione pubblica o un servizio pubblico strumentali rispetto alla realizzazione del prefigurato favore”.

 

Ed ancora, gli Ermellini, oltre a delineare le differenze tra le autonome fattispecie di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 346 c.p., hanno evidenziato in maniera puntuale quello che può considerarsi elemento di distinzione tra la fattispecie aggravata del millantato credito e il nuovo delitto di traffico di influenze illecite28 introdotto dalla L. 190/2012:

“l’art.346 c.p., comma 2, non richieda, a differenza del comma 1, che l’impiegato pubblico svolga anche un servizio pubblico nel senso tecnico di tale nozione ricavabile dall’art.358 c.p., è soltanto la qualifica di pubblico ufficiale o, comunque e in via assorbente, di “pubblico impiegato” del soggetto nei cui confronti il millantatore fa credere di dover spendere la propria “mediazione” che costituisce, infatti, condizione necessaria e sufficiente di esistenza del reato di millantato credito nella struttura prevista dall’art.346 c.p., comma 2.

Struttura che, può aggiungersi, concorre a delineare un peculiare dato differenziale rispetto alla nuova fattispecie del traffico di influenze illecite ex art.346 bis c.p. (introdotta con L. 6 novembre 2012, n.190).

 

Concorso tra reati?

Ci siano consentite, ora, alcune considerazioni sui delicati collegamenti tra il millantato credito, la truffa e le ipotesi corruttive.

Se, per ciò che concerne i rapporti tra millantato credito e corruzione, dottrina29 e giurisprudenza30 concordano nell’escludere il concorso materiale delle due diverse fattispecie, evidenziando che inizia la corruzione ove termina il delitto qui in esame, di contro risulta controversa l’ipotesi di concorso con il reato di truffa.

In merito, non sembrano esservi grossi contrasti per ciò che concerne il delitto di cui al primo comma dell’art. 346 c.p., per il quale dottrina31 e giurisprudenza32 convergono nel configurare il concorso formale tra reati quando con una sola condotta si siano realizzati i presupposti di entrambe le fattispecie: ciò in quanto i reati si differenziano:

  • per il bene giuridico tutelato;
  • per la diversità dei soggetti passivi;
  • per il diverso elemento materiale;
  • per gli artifici e raggiri previsti solo per la truffa.

Taluni contrasti sorgono, invece, nel caso della fattispecie aggravata di cui al capoverso all’art. 346, cpv, c.p.

In dottrina, secondo taluni33, il millantato credito aggravato ben può concorrere con il delitto di truffa. Secondo altri34, invece, essendo il delitto di millantato un reato più grave della truffa, lo assorbirebbe sempre. Anche in giurisprudenza, le pronunce riguardanti il concorso tra le citate fattispecie sono state ondivaghe, riconoscendo a volte la possibilità del concorso formale35 ed escludendola in altre36.

In tale ultimo senso, è intervenuta la Corte di Cassazione con sentenza n. 30150/2006, che proprio con riferimento ai rapporti tra truffa e ipotesi prevista dal co. 2 dell’art. 346 c.p., facendo applicazione del principio dell’assorbimento, ha riconosciuto solo l’apparenza del concorso.

Tale ultima tesi sembrerebbe, a parere degli scriventi, la più indicata sulla base di un principio fondamentale del diritto penale, ovvero del principio di specialità fissato dall’art. 15 c.p. il quale, come ricorda autorevole dottrina37, non esigendo l’identità dei beni protetti, ben può applicarsi al caso di specie.

In merito, vi è, comunque, da evidenziare che la Cassazione ha prodotto, negli ultimi anni, un percorso giurisprudenziale abbastanza consolidato che prevede la possibilità del concorso formale tra i due reati38.

Momento consumativo ed elemento psicologico

Momento consumativo del delitto in esame, il quale è punibile anche a titolo di tentativo, è quello in cui il soggetto attivo riceve il denaro o altra utilità o ne riceve la promessa39.

Infine talune considerazioni sull’elemento psicologico.

Il dolo previsto dalla norma è generico e consiste nella coscienza e volontà di ottenere il compenso mediante la condotta millantatrice.

Non risulta, invece, necessaria la volontà di discreditare il prestigio della P.A. o quello del singolo PU o IPS40.

 

29 agosto 2016

Massimiliano Giua e Daniele Corradini

 

NOTE

1 F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte Speciale, II, Giuffrè, 1997, 379. Secondo V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, 3a ed., Torino 1950, nel delitto in esame “mentre l’uno vuol vendere fumo, l’altro vuole e suppone, al contrario, di comprare arrosto”. Parte della dottrina moderna, tra cui C. PEDRAZZI, Millantato credito, trafic d’influence, influencepeddling, in Riv. it. dir. proc. pen., 1968 ha, invece, denominato il delitto in argomento come traffico di influenze illecite. In merito va comunque considerato che una fattispecie incriminatrice in tale ultimo senso denominata è stata di recente introdotta nell’ordinamento giuridico dalla riforma dei reati contro la P.A. (L. 190/2012).

2Per una approfondita analisi dei soggetti attivi dei reati contro la Pubblica Amministrazione si veda V. MONTESARCHIO, M. GIUA, D. CORRADINI, I soggetti dei delitti contro la pubblica amministrazione, I e II parte, in questa Rivista, 03 e 08.10.2015. Secondo R. GAROFOLI, Manuale di diritto penale – parte speciale, tomo I, Nel Diritto, 2015, “se il fatto è commesso da un patrocinatore e ne ricorrano i requisiti sarà applicabile la fattispecie prevista dall’art. 382 c.p.. “. In tale ultimo senso anche F. ANTOLISEI, ibidem.

3F. ANTOLISEI, ibidem, 379, G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale, parte speciale, Vol. I, V Ed, Zanichelli, 2012.

4 Cass. 2740 del 06.02.1977 e Cass. 18.09.1992.

5 In senso contrario, in dottrina, G. FIANDACA E.- MUSCO, cit.

6 Sul tema si veda, peraltro, il millantato credito la corruzione e la truffa, in www.diritto-penale.it.

7 Per una attenta analisi delle novità introdotte dalla legge 190 del 2012 in materia di concussione si vedano, tra gli altri, G. ANDREAZZA – L. PISTORELLI, Una prima lettura della legge 6 novembre 2012, n. 190 (Relazione a cura dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione), in www.penalecontemporaneo.it, 20 novembre 2012, nonché M. GIORDANO, M. GIUA, F. STELLA, V. MIRRA, D. CORRADINI, L’anticorruzione. Normativa, strumenti operativi e socialità, Filodiritto editore, 2015.

8 Tra gli altri, R. GAROFOLI, Manuale di diritto penale -parte speciale, tomo I, cit e F. ANTOLISEI, cit.

9 Oltre a Cass. Sez. VI n. 9425/1999 e 10662/2002, si riporta stralcio della sentenza della Corte di Cassazione n. 17941/13, secondo la quale “l’interesse protetto dalle due fattispecie sanzionate dall’art. 346 c.p. va individuato (come affermano dottrina e giurisprudenza concordi) nel prestigio e nella esteriore e tangibile credibilità della pubblica amministrazione, sì che ogni pubblico ufficiale o impiegato pubblico esercente un pubblico servizio (art. 346 c.p., comma 1) ovvero ogni pubblico ufficiale o impiegato pubblico pur non esercente un pubblico servizio (art. 346 c.p., comma 2) non appaia facilmente “avvicinabile” e disposto a favorire interessi privati in violazione dei principi di imparzialità e di correttezza comportamentale che debbono ispirarne l’azione nelle suindicate qualità.”

10 F. ANTOLISEI, cit.

11 Cassazione n. 17941/13 cit., secondo la quale “l’art. 346 c.p., comma 2 è pacificamente qualificabile come fattispecie autonoma di reato e non come ipotesi aggravata della generale illecita condotta descritta nell’art. 346 c.p., comma 1.”

12 In questo senso G. FIANDACA, E. MUSCO, cit. Contra F. ANTOLISEI, cit., 378.

13 Tra gli altri R. GAROFOLI, cit, e F. ANTOLISEI, ibidem.

14 L’art. 346 C.p. individua un reato a forma libera punendo, in tal senso, ogni comportamento che faccia credere al soggetto passivo di poter influire sul funzionario. Non importa dunque che il millantatore rappresenti al soggetto passivo il sicuro esito positivo del suo intervento. La vanteria non deve però essere meramente “discorsiva”, dovendo la stessa far credere di essere potenzialmente attuabile. Come già osservato, la vanteria può anche essere implicita e non espressa, dovendo però pur sempre essere credibile. Il reato si può integrare anche se il millantatore dichiari di non conoscere il funzionario (Cassazione n. 7529/1990). In tale ultimo senso si veda anche, il millantato credito, in www.dirittoinformazione.it, 06.04.2014.

15Così, in dottrina, anche R. GAROFOLI, cit, 369.

16 In tale ultimo senso, Cass. 4.3.2003 n. 16255 e Cass. 17.3.2010 n. 13479.

17 Si vedano in tal senso le sentenze della Cassazione 20 giugno 1987 e 13 gennaio 1981.

18 Cass. 12822/2010.

19 Secondo la Corte di Cassazione, risultano, inoltre, irrilevanti gli effettivi rapporti intercorrenti tra l’agente ed il pubblico ufficiale: il reato si configura, infatti, anche attraverso soggetti che abbiano effettivamente la possibilità di intercedere presso pubblici ufficiali o pubblici impiegati che svolgono un pubblico servizio (per tutte Cass. 04.02.1991).

20In tal senso, Cass. 19.06.1963.

21F. ANTOLISEI, cit.

22Sul significato del termine “utilità” pare potersi adoperare la definizione formatasi nel tempo in ordine ai reati corruttivi e concussivi. In merito, R. GAROFOLI, cit., 222, nonché M. GIORDANO, M. GIUA, F. STELLA, V. MIRRA, CORRADINI, cit, anche sulla base di specifici orientamenti giurisprudenziali (Cass. 23 settembre 1987; Cass. 11 luglio 2013, n. 29789), hanno ritenuto che in tale nozione dovesse rientrare qualsiasi vantaggio materiale o morale, patrimoniale o non patrimoniale che avesse avuto valore per il pubblico ufficiale e quindi qualsiasi prestazione di fare o non fare. Sono da considerarsi, quindi, utilità anche – a titolo esemplificativo ma certo non esaustivo – la concessione di mutui, le fideiussioni, le dilazioni di pagamento, l’uso gratuito o semi gratuito di un’abitazione, le onorificenze, gli impieghi procurati.

23Requisito essenziale della condotta, secondo R. GAROFOLI, cit., è la pattuizione del prezzo della mediazione verso il pubblico funzionario. Rilevante risulta, in tal senso, che il denaro sia stato dato come contropartita dell’attività di mediazione.

24In merito, la sentenza della Corte di Cassazione n. 33328/2012 ha evidenziato che “Tra il reato di corruzione e quello di millantato credito intercorre un rapporto alternativo che esclude la configurabilità del concorso materiale delle due diverse fattispecie: l’agente che riceve il denaro o la promessa di denaro con il falso pretesto di dover corrompere il pubblico ufficiale commette il reato di millantato credito e non quello di corruzione, che implica invece che la somma di denaro o la sua promessa siano date in vista della effettiva retribuzione dell’atto di ufficio che il pubblico ufficiale ha compiuto o deve compiere”. Per un approfondimento sul reato, si veda M. GIORDANO, M. GIUA, F. STELLA, V. MIRRA, D. CORRADINI, cit.

25In tal senso, si veda anche L. D’APOLLO, Truffa e millantato credito: non ci può essere concorso formale di reati. Nota a Corte di Cassazione – Sezione Sesta Penale, Sentenza /giugno -12 settembre 2006, n. 30150, in Filodiritto.com, 14.01.2007.

26Cass., n. 25122/2005.

27Ex multìs: Cass. n. 2645/2000.

28Per un approfondimento su tale figura delittuosa, si vedano, tra gli altri, M. GIORDANO, M. GIUA, F. STELLA, V. MIRRA, D. CORRADINI, cit., nonché M.GIUA, D.CORRADINI, Il traffico di influenze illecite: alcune considerazioni, in corso di pubblicazione su questa Rivista

29F. ANTOLISEI, cit, 381, secondo il quale “se effettivamente l’utilità fosse destinata al funzionario non sussisterebbe il millantato credito ma subentrerebbe il delitto di corruzione“. In tal senso anche R. GAROFOLI, cit., 370

30Corte di Cassazione, n. 33328/2012 e n. 44507/2012 secondo la quale “Orbene a fronte di tale condotta sono possibili due sole alternative: o il soggetto veramente corrompe o tenta di corrompere il funzionario e risponde del reato di corruzione – che nel caso de quo, i giudici del merito hanno escluso, ritenendo non raggiunta la prova del patto corruttivo e della dazione del danaro al pubblico ufficiale o il soggetto si appropria del danaro e in questo caso risponde del reato di cui all’art. 346, comma 2 “.

31R. GAROFOLI, cit., 372.

32Cass. n. 9470/2009 e 35340/2008.

33 In questo senso, tra gli altri, V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, 3a ed., Torino 1950, N. LEVI, Delitti contro la pubblica amministrazione, in trattato di diritto penale, coordinato da E. FLORIAN , IV ed., 1935 E. BATTAGLINI, Truffa e millantato credito, in Giust. pen., 1952, II.

34F. ANTOLISEI, cit., 381, 0. VANNINI, in Manuale di diritto penale italiano, Parte speciale, Milano, 1951, G. MAGGIORE, in Diritto Penale Volume II: parte speciale, IV ed., Zanichelli 1950. Nel senso di non considerare possibile il concorso si sono espressi anche G. FIANDACA, E. Musco, cit. e R. GAROFOLI, cit., 372.

35Cassazione 14 maggio 1976 e 11 ottobre 1975, le quali hanno giustificato il concorso sulla base della considerazione che sarebbe stata diversa la ed. oggettività giuridica nelle due fattispecie criminose. Nello stesso senso per la possibilità del concorso: Cass. n. 3905/1985, Cass. n. 547/1998, Cass. n. 49579/2003 e Cass. n. 9470/2010. Con tale ultima sentenza la Corte ha avuto modo di affermare che ” i delitti di truffa e di millantato credito si differenziano per la diversità dell’oggetto della tutela penale, che è il patrimonio, nella prima, e il prestigio della Pubblica Amministrazione, nel secondo. Le due violazioni, pertanto, anche se unite in un’unica azione, caratterizzata, oltre che da vanterie di ingerenze e pressioni nei confronti del pubblico ufficiale corruttibile, anche da ulteriori artifizi e raggiri, quali l’attribuzione a sé di un falso nome e di una falsa qualità, idonei ad ingenerare maggiore affidamento nel soggetto passivo, producono due distinti eventi criminosi, con conseguente concorso formale di reati.

36Si segnalano le sentenze della Corte di Cassazione del 07.7.1936 e del 26.61941. Nel senso della esclusione del concorso si veda anche Cass. n. 30150/2006, secondo cui “Tra il reato di truffa (art. 640 c.p.) e quello di millantato credito previsto al comma 2 dell’art. 346 c.p. non vi può essere concorso formale. Infatti, il reato di truffa deve ritenersi assorbito in quello di millantato credito, dal momento che, diversamente, l’imputato si troverebbe a dover rispondere di due reati, sebbene il disvalore del fatto risulti già integralmente valutato dalla norma incriminatrice contenuta nel capoverso dell’art. 346 c.p. “

37F. ANTOLISEI, cit., 382. In tal senso anche le sentenze della Cassazione n. 9569/2001 e n. 30150/2006. La tesi contraria, ovvero, quella che porta al riconoscimento del concorso formale si basa su un adattamento al caso di specie della sentenza della Corte di Cassazione SSUU n. 41164/2005.

Scarica il documento