Assoggettabilità ad IRPEF delle indennità da lavoro subordinato

sempre più controversie tra datori di lavoro e dipendenti si concludono con accordi stragiudiziali tra le parti: l’assoggettabilità o meno ad IRPEF delle indennità da lavoro subordinato

  1. Premessa.

Negli ultimi anni, a causa dei costi sempre più elevati del contenzioso del lavoro, unitamente all’allungamento dei tempi dei procedimenti e all’alea del giudizio, sempre più controversie tra datori di lavoro e dipendenti si concludono con accordi stragiudiziali tra le parti.

Molto spesso infatti, con l’intento di porre fine alla lite, i datori di lavoro erogano, al dipendente, somme di denaro che generano a costui ricchezza.

Ciò comporta, ovviamente, delle conseguenze in materia fiscale e contributiva in merito alla natura e alla tassabilità di tali transazioni.

  1. Il caso.

Alcuni lavoratori, dipendenti di un ente pubblico, propongono ricorso dinanzi al Tribunale del Lavoro al fine di ottenere, in alcuni casi, il riconoscimento di qualifica superiore, ed in altri, il pagamento di indennità contrattualmente previste e non erogate.

Al solo fine di evitare l’alea del giudizio e dirimere la controversia, i lavoratori/ricorrenti e l’ente addivengono a degli accordi, a seguito dei quali, quest’ultimo riconosceva ai dipendenti le indennità chieste, di contro questi rinunciavano espressamente a qualsiasi pretesa e richiesta come avanzata nei ricorsi.

Alla luce di tali fatti, si pone, dunque, il problema di comprendere se le somme, corrisposte a seguito di accordi di transazione, siano o meno assoggettabili a tassazione.

  1. La normativa di riferimento.

Preliminarmente, occorre fare riferimento all’art. 6 del TUIR, rubricato “Classificazione dei redditi”, il quale dispone che “I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti e le indennità conseguite, anche in forma associativa, a titolo di risarcimento danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti”.

Tale disposizione mette in luce quello che sarà l’effettivo discriminante ai fini dell’imponibilità fiscale delle indennità da lavoro subordinato, e cioè la distinzione tra somme percepite a seguito di mancati guadagni (lucro cessante), da quelle atte a reintegrare il patrimonio deturpato a seguito di perdite subite (danno emergente).

In applicazione della norma succitata, pertanto, devono essere ricondotte a tassazione le indennità corrisposte a titolo risarcitorio, semprechè le stesse abbiano una funzione sostitutiva o integrativa del reddito del percipiente; sono, in sostanza, imponibili le somme corrisposte al fine di sostituire mancati guadagni (lucro cessante) sia presenti che futuri del soggetto che le percepisce. Diversamente, non assumono rilevanza reddituale le indennità risarcitorie erogate al fine di reintegrare il patrimonio del soggetto, ovvero al fine di risarcire la perdita economica subita dal patrimonio (danno emergente), in quanto non rappresentative di un flusso di reddito nuovo.

La distinzione tra la tassabilità o meno di tali indennizzi risarcitori si basa, infatti, sull’effettiva consistenza del pregiudizio economico che il risarcimento tende a riparare.

In considerazione di tali principi, ai fini dell’assoggettabilità a tassazione di somme percepite a seguito di accordi transattivi, è d’uopo, dunque, comprendere la natura di tali somme.

Altro importante riferimento normativo ai fini della comprensione della tematica in trattazione è l’art. 51 TUIR.

Tale norma, rubricata “Determinazione del reddito di lavoro dipendente”, dispone: “Il reddito da lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro“.

L’art. 51 appena riportato sembra riconduca, senza distinzione, a tassazione qualsiasi somma risarcitoria.

Ecco che, per non ingenerare equivoci, si rende opportuno leggere l’art. 51 alla luce del succitato art. 6 TUIR.

I criteri contenuti nell’art. 6 consentono, infatti, di comprendere se la somma rappresenta o no reddito. Una volta compreso ciò, se l’importo costituisce reddito trovano applicazione le successive norme del TUIR, ivi compreso l’art. 51, per comprendere in quale categoria reddituale inseirirlo e secondo quali regole determinarne la base imponibile.

Ne consegue che, in forza del combinato disposto degli artt. 6 e 51 TUIR, per comprendere se una somma erogata a titolo di indennizzo sia assoggettabile o meno a tassazione, occorre prima verificare se la stessa costituisce un’erogazione avente natura patrimoniale ma non apportante “novella” ricchezza al patrimonio del lavoratore (quindi non tassabile ai fini delle imposte sui redditi) o un’erogazione implicante incremento di ricchezza, avente, conseguentemente, natura reddituale (pertanto tassabile ai fini delle imposte sui redditi).

  1. La giurisprudenza in materia.

La giurisprudenza sia di merito sia di legittimità è stata chiamata numerose volte a pronunciarsi su questioni aventi ad oggetto importi corrisposti dal datore di lavoro al proprio dipendente.

La Corte di Cassazione, ad esempio, nella recentissima sentenza n. 2229 del 04/02/2016 ha ritenuto che “al fine di poter negare l’assoggettabilità ad IRPEF di un’erogazione economica effettuata a favore del prestatore di lavoro da parte del datore di lavoro, è necessario accertare che la stessa non trovi la sua causa nel rapporto di lavoro e, se ciò non viene positivamente escluso, che tale erogazione, in base all’interpretazione della concreta volontà manifestata dalle parti, non trovi la fonte della sua obbligatorietà nè in redditi sostituiti, nè nel risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi futuri, cioè successivi alla cessazione od interruzione del rapporto di lavoro (cfr. Cass. n. 24988/2015, n. 20482/2013, n. 2196/2012 e n. 23795/2010).

La Suprema Corte aveva affermato tali principi già in tempi meno recenti. Infatti, nella sentenza n. 26385/2010 gli ermellini ritengono che “tutte le indennità aventi causa o che traggono comunque origine dal rapporto di lavoro, comprese le indennità per la risoluzione del rapporto per illegittimo comportamento del datore di lavoro, costituiscono redditi da lavoro dipendente ed è, comunque, onere del contribuente dimostrare che l’indennità si riferisce (in tutto o in parte) a voci di risarcimento puro, esenti da tassazione, e non è sufficiente che sia precisato che esso ha carattere risarcitorio, perchè costituisce risarcimento anche il ristoro di emolumenti non percepiti, tassabili ai sensi del DPR. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6 comma 2″.

I giudizi della CTR Lombardia, nella sentenza n. 4314 del 07/10/2015, hanno ritenuto che con la decisione appena riportata “La Cassazione ha, dunque, affermato che, al fine di poter negare l’assoggettabilità ad Irpef di un’erogazione economica effettuata a favore del prestatori di lavoro da parte del datore di lavoro, è necessario accertare che l’erogazione stessa non trovi la sua causa nel rapporto di lavoro, e se ciò non viene positivamente escluso, che l’erogazione stessa, in base all’intepretazione della concreta volontà manifestata dalle parti, non trovi la fonte della sua obbligatorietà nè in redditi sostituiti, nè nel risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi futuri, cioè successivi alla cessazione o all’interruzione del rapporto di lavoro”.

Per i giudici della CTR, dunque, “L’unica possibilità di esenzione dal prelievo fiscale è la dimostrazione, da parte del contribuente, che l’erogazione di somme da parte del datore di lavoro sia riferibile alla sola voce di “risarcimento puro”.

  1. Conclusione.

Orbene, alla luce della normativa e della giurisprudenza summenzionate, per comprendere se le indennità oggetto del caso in trattazione siano o meno assoggettabili a tassazione, è d’uopo verificare se esse rappresentano somme corrisposte al fine di sostituire mancati guadagni (lucro cessante), oppure al fine di reintegrare il patrimonio del soggetto, risarcendolo della perdita economica subita (danno emergente).

Nel caso di specie, trattandosi di indennità di qualifica superiore e di indennità contrattualmente previste e non erogate, e quindi di somme strettamente legate al rapporto di lavoro, così come previsto dall’art. 51 TUIR, non vi è alcun dubbio sul fatto che esse rappresentino mancati guadagni che implicano, conseguentemente, un incremento di ricchezza.

Alla luce di ciò, tali indennità, avendo natura reddituale, sono senz’altro tassabili ai fini delle imposte sui redditi.

7 giugno 2016

Maria Leo