la Corte Costituzionale è intervenuta sulla competenza territoriale del contenzioso tributario degli enti locali: ha chiarito che la competenza nasce dalla sede dell’ufficio impositore, cioè quello presso cui si è formato il ruolo, non dalla sede della società che cura la riscossione per l’ente
Il giudice delle leggi, con la sent. n. 44 del 3 marzo 2016 – dichiarando una violazione dell’art. 24 Cost da parte del vecchio e nuovo testo dell’art. 4, comma 1, D.Lgs n.546/92, finisce con lo statuire che l’ufficio giudiziale ove deve svolgersi il contraddittorio delle cartelle dell’Agente della Riscossione non sia più quello riferibile alla sede del convenuto formale del giudizio.
In buona sostanza, il contribuente, ai fini della individuazione della commissione competente su tal tipo di liti, dovrà invece, secondo la conclusione assunta, aver riguardo dell’ufficio impositore, cioè quello presso cui si è formato il ruolo.
Premessa
Nel processo tributario, il giudice, presso il quale incardinare la controversia, è individuabile secondo le regole di cui all’art. 4 e 5 del D.lgs 546/92 ed indubbiamente il profilo di tali norme fornisce piena contezza del fatto che il rito tributario, non prevedendo alcun criterio distintivo per materia e valore, obbedisce al principio della inderogabilità della competenza territoriale (art.5, comma 1); in ordine ad una casistica piuttosto frequente (quale l’ ipotesi dell’impugnazione riguardante più atti in successione logica, attribuibili a soggetti aventi sedi non ricomprese nella medesima competenza territoriale giudiziale) aveva modo di pronunciarsi anche la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4682 del 2012. Con tale responso la Suprema Corte, infatti, stabiliva che, ai fini della corretta indicazione della competenza territoriale della commissione giudicante, non doveva assumersi come parametro di riferimento il contenuto del ricorso ma l’atto impugnato e quindi l’ente che aveva la paternità dello stesso.
In altri termini, secondo l’autorevole pronuncia, nel caso di ricorso nato dalla notifica di un atto dell’Agente della Riscossione, lo stesso deve (rectius: “doveva”, visto quanto si spiegherà a breve) essere necessariamente proposto innanzi la commissione provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio dell’Equitalia (cfr Cass. Civ. n.20671/2014), a nulla rilevando, ai sensi dell’art. 19, c, 3, D.Lgs. n. 546/1992, la contestazione, invece, dell’atto presupposto.
Come detto, però tali principi, assorbiti anche dalla giurisprudenza di merito (cfr. CTP Terni n.1/2015, CT I grado Trento n. 95/2015, nonché CTP Cremona n. 18 del 18 gennaio 2014, CTR Puglia-Bari n. 66 del 22 marzo 2013, CTP Campobasso n. 15 del 15 marzo 2013, CTP Aosta 26.10.2006 n. 82;) sono di fatto stati cancellati dalla sent. n. 44 della Corte Costituzionale, depositata il 3.3.2016 e di seguito brevemente riepilogata nei suoi contenuti più essenziali.
Il caso
Innanzi la CTP Cremona venivano impugnati avvisi di accertamento ICI, anni 2008, 2009 e 2010, per il mancato pagamento delle imposte, in relazione ad un terreno non dichiarato come area fabbricabile.
Tali atti, per delega del Comune di Casalmaggiore (Cremona), venivano notificati dal concessionario ufficio Area riscossioni spa avente sede in Mondovì (Cuneo); lo stesso concessionario avente sede in Mondovì notificava ad altra contribuente avvisi di accertamento ICI, anni 2008, 2009 e 2010, per il mancato pagamento delle imposte, in relazione ad un terreno (non dichiarato come area fabbricabile) di cui ella era usufruttuaria.
Tenuto conto che nella circoscrizione di Cremona erano ubicati gli immobili oggetto dell’accertamento e che invece (in virtù dell’inderogabilità della competenza territoriale) il ricorso avrebbe dovuto essere presentato innanzi alla CTP di Cuneo, la CTP di Cremona, con due ordinanze di identico tenore, emesse in data 10 novembre 2014, sollevava questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 24 e 97 della Costituzione, dell’art. 4 (rectius: art. 4 c. 1) del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui prevede(va) che le commissioni tributarie provinciali sono competenti per le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio riscossione che hanno sede nella loro circoscrizione anche nel caso in cui tale sede appartenga ad una circoscrizione diversa da quella degli enti locali concedenti.
A parere del giudice rimettente, l’individuazione della competenza in ragione della sede del concessionario poteva comportare, così come accaduto nelle fattispecie esaminata, effetti processuali distonici rispetto alla ratio che ispiratrice della norma, ovverosia quella di rapportare la competenza in prossimità del luogo in cui gli interessi della pubblica amministrazione e del contribuente risultano concretamente coinvolti e non presso il foro individuabile in conseguenza del fatto che (spesso) l’ente locale affida il servizio di accertamento e riscossione dell’imposta ICI ad un concessionario avente sede significativamente distante da quella del suddetto ente .
La conclusione della Consulta
A fronte dell’asserita violazione degli artt. 24 e 97 Cost., prospettata dalla CTP Cremona, la Corte Costituzionale ha preliminarmente rammentato che, con riferimento all’art. 24 Cost., la stessa giurisprudenza della Consulta (sent. n. 63/1977; analogamente, cfr. sent. n. 427/1999 , ord. n. 99/2000, ord. n. 386/2004) aveva più volte chiarito che tale precetto costituzionale non impone che il cittadino possa conseguire la tutela giurisdizionale sempre nello stesso modo e con i medesimi effetti purché non vengano imposti oneri tali o non vengano prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale. Alla luce di questi principi, la stessa Corte ha ritenuto che nella disciplina di cui all’art. 4, c. 1, D.Lgs n.546/92 (nel testo previgente la riforma ex D.Lgs n. 156/2015) il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, abbia individuato un criterio attributivo della competenza che concretizza “quella condizione di ‘sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione garantito dall’art. 24 della Costituzione‘ suscettibile ‘di integrare la violazione del citato parametro costituzionale‘” (così come indicato dalla sent. n. 237/2007 e dalla ord. n. 417/2007).
Nella sentenza n. 44/2016 in commento , non ci si attarda infatti a sottolineare che la problematica nasce dal fatto che l’ente locale non incontra alcuna limitazione di carattere geografico-spaziale nell’individuazione del terzo cui affidare il servizio di accertamento e riscossione dei propri tributi; ne deriva (ad avviso dello stesso organo giudicante) che lo “spostamento” richiesto al contribuente che voglia esercitare il proprio diritto di azione, garantito dal parametro evocato, è potenzialmente idoneo a costituire una condizione di “sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione1 e che lo stesso legislatore, all’art. 52, comma 5, lettera c), del d.lgs. n. 446 del 1997, ha precisato che l’individuazione, da parte dell’ente locale, del concessionario del servizio di accertamento e riscossione dei tributi e delle altre entrate (determinante ai fini del radicamento della competenza) ‘non deve comportare oneri aggiuntivi per il contribuente‘”.
La Corte sottolinea, conclusivamente, come lo “spostamento” geografico, significativo per esercitare il diritto di difesa del contribuente integra un considerevole onere a carico dello stesso, quando tale onere, già di per sé ingiustificato, “diviene tanto più rilevante in relazione ai valori fiscali normalmente in gioco, che potrebbero essere – come in concreto sono nella specie – di modesta entità, e quindi tali da rendere non conveniente un’azione da esercitarsi in una sede lontana”.
In base a queste ragioni , onde necessariamente individuare il criterio alternativo di competenza2, secondo la Consulta non può che emergere il rapporto sostanziale tra il contribuente e l’ente impositore, individuandosi quindi presso la sede di quest’ultimo la determinazione della competenza territoriale della commissione da adìre e questo anche perché (nel rapporto plurisoggettivo esistente tra l’ente locale e il soggetto cui è affidato il servizio di accertamento e riscossione) il secondo costituisce una longa manus del primo, con la conseguente imputazione dell’atto di accertamento e riscossione a quest’ultimo.
La Corte, infine, prende altresì in considerazione l’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo vigente a seguito della sostituzione operata dall’art. 9, c. 1, lett. b, del d.lgs. n. 156 del 2015 e, in base ai medesimi principi dianzi descritti, perviene alla conclusione che “accomuna” negli effetti pratici i contenuti ante e post D.Lgs n. 156/2015 e che integralmente si trascrive:
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi:
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nel testo vigente anteriormente alla sua sostituzione ad opera dell’art. 9, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 (Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a e b, della legge 11 marzo 2014, n. 23), nella parte in cui prevede che per le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio di riscossione è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i concessionari stessi hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale concedente;
2) dichiara, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo vigente a seguito della sostituzione operata dall’art. 9, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 156 del 2015, nella parte in cui prevede che per le controversie proposte nei confronti dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali) è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i medesimi soggetti hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale impositore.
8 marzo 2016
Antonino Russo
1 o comunque a “rendere ‘oltremodo difficoltosa‘ la tutela giurisdizionale” (sent. n. 237 del 2007; ordinanze nn. 382 e 213 del 2005); cfr., inoltre, sent. n. 117 del 2012, n. 30 del 2011, n. 237 del 2007 e n. 266 del 2006.
2 Che secondo la Corte non comporta un’operazione manipolativa esorbitante dai poteri della stessa “in quanto non deve essere operata una scelta tra più soluzioni, tutte praticabili perché non costituzionalmente obbligate (sentenza n. 87 del 2013; ordinanze n. 176, n. 156 del 2013 e n. 248 del 2012)”.