IMU-TASI e comodato a figli/genitori: il labirinto delle regole

la riduzione del 50% dell’IMU e TASI per gli immobili concessi in comodato a figli o genitori rappresenta un’agevolazione di interesse per tanti contribuenti… peccato che le regole applicative siano veramente caotiche

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Dopo il valzer degli emendamenti in prossimità dell’approvazione della Legge di Stabilità del 2016 (Legge 28 dicembre 2015, n. 208) il legislatore ha optato per la riduzione della base imponibile dell’IMU e della TASI per gli immobili concessi in comodato ai parenti in linea retta entro il primo grado (ad esempio da padre in figlio). Inizialmente la proposta originaria di modifica prevedeva la completa assimilazione all’abitazione principale. Se questa proposta fosse stata approvata dal 2016 non sarebbero state più dovute né l’IMU né la TASI.

Il legislatore, probabilmente per esigenze di gettito, ha scelto una soluzione di compromesso che in alcuni casi potrebbe anche determinare un aggravio dell’imposizione locale. Infatti, la nuova disposizione deve essere coordinata con altre disposizioni in alcuni casi ancora in vigore e in altri abrogate.

Preliminarmente deve essere rilevato che la riduzione dei tributi locali (tramite la riduzione della base imponibile del 50%) scatta solo in presenza di determinate condizioni difficilmente realizzabili. In primis il comodante deve risiedere e dimorare nello stesso Comune in cui si trova l’immobile concesso in comodato (ad esempio al figlio). In linea di principio il comodante non deve possedere altri immobili rispetto a quello concesso in comodato. E’ ammessa una sola deroga laddove il comodante sia proprietario dell’abitazione principale nello stesso Comune in cui si trova l’immobile concesso in comodato. La proprietà, anche di una quota, di un altro immobile anche in un altro Comune (ad esempio la residenza estiva), fa perdere il beneficio della riduzione dell’IMU e della TASI.

Se il proprietario non è in grado di rispettare le su indicate condizioni non si può nemmeno fare affidamento sulla circostanza che il Comune stabilisca con apposita delibera l’assimilazione all’abitazione principale. Tale possibilità è venuta meno, per effetto dell’abrogazione della norma, con decorrenza dal 1 gennaio 2016.

Pertanto se il contribuente proprietario risiede in un Comune che nel 2015 ha deliberato l’assimilazione e che ora, dal 2016, non può deliberare in tal senso, subirà un aggravio di imposizione. Nel 2015 l’immobile concesso in comodato era in questo caso completamente escluso dall’applicazione dell’IMU. Invece dal 2016 lo stesso immobile pagherà l’imposta municipale unica sia pure nella misura ridotta del 50%.

Non sarà però agevole districarsi tra il labirinto delle norme ancora in vigore. Infatti, i Comuni, pur non potendo più deliberare l’assimilazione, hanno comunque la possibilità di prevedere l’applicazione di aliquote “ridotte” rispetto a quella base.

Occorre poi considerare che mentre l’assimilazione all’abitazione principale avrebbe potuto interessare, oltre l’immobile principale, una sola pertinenza per ciascuna categoria catastale, la riduzione dell’IMU e della TASI nella misura del 50 per cento è completamente scollegata dal numero delle pertinenze. Infatti, la disposizione prevede la riduzione dell’imposizione per gli immobili concessi in comodato che sono utilizzati quali abitazioni principali per il comodatari. Tuttavia i predetti immobili continuano ad essere considerati alla stregua di “seconde case” per i proprietari che non potranno fruire dei benefici dell’abitazione principale. Conseguentemente se l’oggetto del comodato è costituito, oltre all’abitazione, anche da due cantine (categoria catastale C/2), la riduzione de 50 per cento dell’IMU e della TASI riguarderà le due pertinenze senza alcuna limitazione.

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21 gennaio 2016

Nicola Forte