Le conseguenze del mancato invio dell'avviso bonario da parte dell'Agenzia delle Entrate

quali sono le conseguenze per il contribuente che si vede arrivare dopo un controllo formale direttamente la cartella esattoriale? Il mancato invio dell’avviso bonario può essere una valida motivazione di contenzioso?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15629 del 24.07.2015, ha chiarito quali sono le conseguenze in caso di omesso preventivo invio dell’avviso bonario.

Nel caso all’attenzione dei giudici di legittimità, la CTR aveva infatti annullato la cartella, statuendo che la iscrizione a ruolo delle somme dovute dal contribuente a titolo omesso o carente versamento delle imposte (nella specie dell’IVA) avrebbe dovuto essere necessariamente preceduta dal “preventivo invio al contribuente, di un avviso contenente l’esito del controllo e l’invito a versare le somme“.

L’art. 60 del Dpr n. 633/1972 (nel testo modificato dall’art. 37, Dlgs 26.2.1999 n. 46, in vigore, al tempo della notifica della cartella), disponeva, al comma 6, che “L’imposta non versata, risultante dalla dichiarazione annuale, è iscritta direttamente nei ruoli a titolo definitivo unitamente ai relativi interessi e alla sopratassa di cui all’articolo 44. La stessa procedura deve intendersi applicabile per la maggiore imposta determinata a seguito della correzione di errori materiali o di calcolo rilevati dall’ufficio in sede di controllo della dichiarazione. L’ufficio, prima dell’iscrizione a ruolo, invita il contribuente a versare le somme dovute entro trenta giorni dal ricevimento dell’avviso, con applicazione della soprattassa pari al 60 per cento della somma non versata o versata in meno. Le somme dovute devono essere versate direttamente all’ufficio con le modalità di cui all’articolo 38, quarto comma“.

La norma deve intendersi implicitamente abrogata dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina delle violazioni tributarie di cui ai decreti legislativi n. 471/1997 e n. 472/1997, come statuito dalla stessa Corte, con giurisprudenza ormai consolidata, atteso che in tema di IVA ed in ipotesi di mancato versamento di imposta dichiarata dallo stesso contribuente, originariamente sanzionato dalla legge con l’applicazione di una pena pecuniaria pari al cento per cento dell’importo non versato, la previsione del preventivo invito al pagamento, contenuta nell’art. 60, sesto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n.633, quale adempimento necessario e prodromico alla iscrizione a ruolo dell’imposta (che aveva quale unica funzione quella di dare al contribuente la possibilità di attenuare le conseguenze sanzionatorie della realizzata omissione di versamento), è rimasta implicitamente caducata, e comunque priva di conseguenze nel caso di sua inosservanza, per effetto dell’art. 13, c. 1, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, che, nel ridurre la sanzione inizialmente prevista dall’art. 44 del citato d.P.R. n. 633 del 1972 (dal 100% al 30% dell’importo non versato), ha fatto venir meno ogni interesse del contribuente ad un adempimento dal quale non potrebbe più trarre alcun vantaggio (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 22437 del 05/09/2008; id. Sez. 6-5, Ordinanza n. 18140 del 22/10/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 20691 del 01/10/2014), tanto più che stessa la disciplina normativa della riscossione delle sanzioni pecuniarie prevede espressamente all’art. 17 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, la ipotesi ( anche in mancanza di previa emissione dell’avviso di accertamento o rettifica) della irrogazione immediata, mediante iscrizione a ruolo e senza previa contestazione, delle sanzioni pecuniarie “per omesso o ritardato pagamento dei tributi” nel caso in cui l’illecito emerga dalle “liquidazioni eseguite ai sensi degli articoli 54bis e 60, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633…” (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 26440 del 30/12/2010).

Era quindi errata in diritto la statuizione della CTR che ravvisava invece un vizio di nullità della cartella di pagamento (non espressamente previsto dalla norma tributaria ex art. 60 c. 6 Dpr n. 633/72) in relazione ad un adempimento (previo invito) non prescritto nel caso di specie all’Ufficio finanziario (art. 17 c. 3 Dlgs n. 472/1997), e da ritenersi comunque superfluo alla stregua della richiamata giurisprudenza di legittimità.

Né, sottolineano ancora i giudici, a diversa conclusione era dato pervenire avuto riguardo alla disposizione dell’art. 54-bis, c. 3, del Dpr n. 633/72, che, nel testo in vigore al tempo della notifica della cartella (ed anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 2, c. 1, lett. a, D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32 e, successivamente, dall’art. 2, c. 1, lett. b, D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248), disponeva “Quando dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione, l’esito della liquidazione è comunicato ai sensi e per gli effetti di cui al comma 6 dell’articolo 60 al contribuente, nonché per evitare la reiterazione di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali e la segnalazione all’amministrazione di eventuali dati ed elementi non considerati nella liquidazione”, sia in quanto, nel caso di specie, difetta il presupposto di un risultato del controllo difforme dai dati esposti nelle dichiarazioni (che avrebbe potuto giustificare il contraddittorio preventivo con il contribuente), essendosi limitato l’Ufficio a constatare l’omesso versamento della imposta che il contribuente aveva autoliquidato nelle dichiarazioni trimestrali ed annuali; sia in quanto la “comunicazione” contemplata dalla norma viene a svolgere, da un lato, una funzione del tutto analoga a quella prevista dall’art. 60 c. 6 Dpr n. 633/72, cui è fatto espresso rinvio (e che è volta esclusivamente a consentire al contribuente di poter fruire della riduzione della sanzione pecuniaria, funzione ormai superata dalla previsione per l’illecito omissivo di una sanzione addirittura inferiore rispetto a quella ridotta: art. 13 c. 1 dlgs n. 471/1997), e dall’altro, una funzione meramente strumentale alla correzione di errori formali (nella specie non rilevati).

Insomma, a parte l’errata interpretazione normativa da parte dei giudici di secondo grado, resta confermata la ratio per cui il contraddittorio preventivo ha un senso solo quando può portare a vantaggi sanzionatori per il contribuente da preavvertire e solo comunque quando la contestazione non sia di tipo meramente liquidatorio, come appunto nel caso di omesso versamento.

L’obbligo del contraddittorio preventivo non sussiste dunque in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ma soltanto qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione.

Così si è espressa la Corte di Cassazione anche con la recente sentenza n. 9740 del 13 maggio 2015, in cui i giudici di legittimità hanno evidenziato che era errata la tesi della Commissione Tributaria Regionale secondo la quale la mancanza di preventiva comunicazione dell’avviso bonario determinava l’invalidità della cartella di pagamento.

Se è vero infatti che, ai sensi dell’art. 36-bis, comma 3, d.p.r. n. 600/1973, quando dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione, l’esito della liquidazione è comunicato al contribuente per evitare la reiterazione di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali, e se è vero che, ai sensi dell’art. 6, comma 5, L. n. 212/2000, prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, l’Amministrazione Finanziaria deve invitare il contribuente a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti, pena la nullità dei provvedimenti emessi, è anche vero che lo stesso articolo 6 citato prevede che tale obbligo di invito sussiste solo qualora vi siano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente in tutti i casi soggetti alla disposizione appena indicata.

Nessuna nullità potrà in ogni caso essere mai sollevata nel caso in cui la cartella faccia riferimento ad omessi versamenti di quanto già dichiarato dallo stesso contribuente.

La previsione di cui alla norma sopra citata, infatti, avrà un senso solo in quei casi in cui vi sia una qualche incertezza in ordine ad un eventuale errore materiale o di calcolo e in cui dunque sia necessario instaurare il contraddittorio con il contribuente al fine di avere conferma o meno dell’errore “apparente”.

Ma laddove tale errore “apparente” non ci sia e non ci possa essere (come appunto in caso di contestazione di omessi versamenti), come si può pretendere che l’Amministrazione convochi il contribuente? O meglio, che sia obbligata a convocarlo?

O, ancora, che da tale mancata convocazione discenda la nullità dell’intera cartella?

Anche la norma di cui al citato articolo 6 dello Statuto infatti non dice che in tutti i casi in cui vi sia una differenza tra quanto risulta dalla dichiarazione e la liquidazione dell’Ufficio si debba invitare il contribuente a fornire i chiarimenti necessari, ma, sottolinea soltanto che vi si debba procedere “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”.

L’indirizzo della Corte era peraltro già stato espresso con la sentenza n. 8860/2006, che, sulla medesima fattispecie, aveva chiarito che “Nel caso di omesso versamento di imposta Iva dichiarata dallo stesso contribuente, sanzionato dalla legge con l’applicazione di una pena pecuniaria pari al 30% dell’importo non versato, la previsione del preventivo invito al pagamento contenuta nell’art. 60, comma 6, del DPR/1972 quale adempimento necessario e prodromico alla iscrizione a ruolo dell’imposta è da ritenersi implicitamente caducata, e comunque priva di conseguenza nel caso di sua inosservanza, per effetto dell’art. 13, comma 3, del DLG n. 471/1977, che, riducendo la sanzione inizialmente prevista dall’art. 44 del citato decreto n. 633 dal 100% al 30% dell’importo non versato), ha fatto venir meno ogni interesse del contribuente ad un adempimento dal quale nessun vantaggio egli potrebbe più trarre… Così che, procedutosi nel caso di specie, relativo appunto all’omessa versamento dell’imposta indicata in dichiarazione, all’applicazione della conseguente sanzione nella misura ridotta risultante dalla nuova normativa, ineluttabilmente ne discendeva, anche per questo aspetto, la superfluità del preventivo invito al pagamento, come correttamente affermato dal giudice di merito, e quindi anche la carenza d’interesse del contribuente a formulare censure sotto il profilo dell’omissione suddetta…”.

Bastava dunque avere presente tale indirizzo per evitare un defatigante contenzioso.

13 novembre 2015

Giovambattista Palumbo