Con la sentenza n. 16941 del 19 agosto 2015 (ud 27 marzo 2015) la Corte Cassazione ha ritenuto non applicabile l’Irap per l’avvocato che esercita in casa.
Il caso
Un avvocato ha proposto ricorso dinanzi alla CTP di Torino avverso la cartella emessa a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione relativa al periodo d'imposta 2003, con la quale gli era stato richiesto il pagamento della somma di Euro 5.706,00 per omesso versamento IRAP. L'adita CTP ha rigettato il ricorso.
Successivamente, anche la CTR Piemonte ha rigettato l'appello del contribuente, dopo aver preso atto che il contribuente lavorava a Torino per conto di uno studio legale di Milano senza vincoli di orario e di esclusiva, che lo stesso aveva promiscuamente adibito la propria abitazione a studio, che a fronte di un complessivo reddito dichiarato di Euro 178.803,00, aveva sostenuto costi per Euro 37.033,00, ha ritenuto che siffatti elementi (in particolare le spese sostenute per lo svolgimento dell'attività e l'uso di beni strumentali), coordinati dall'interessato per offrire prestazioni professionali, dimostravano l'esistenza di un'organizzazione autonoma finalizzata alla produzione di reddito, con conseguente assoggettabilità del contribuente all'IRAP.
Avverso detta sentenza il contribuente ha proposto ricorso per Cassazione.
La sentenza della Cassazione
La Corte, partendo dall’assunto secondo cui, presupposto per l'applicazione dell'Irap, è l'esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata, diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, che ricorre qualora il contribuente sia il responsabile dell'organizzazione ed impieghi beni strumentali, eccedenti per quantità o valore il minimo generalmente ritenuto indispensabile per l'esercizio della professione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui1, rileva che nel caso di specie “il