L’acquiescenza del contribuente alle sanzioni non pregiudica il tributo

entro il termine previsto per la proposizione del ricorso, il trasgressore e gli obbligati possono definire la controversia con il pagamento di un importo pari ad un terzo della sanzione indicata e comunque non inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo: la definizione agevolata impedisce l’irrogazione di ulteriori sanzioni accessorie

Con l’ordinanza n. 10778 del 25 maggio 2015 (ud. 16 aprile 2015) la Corte di Cassazione ha confermato che l’atto di contestazione ed irrogazione delle sanzioni, disciplinato dall’art.16, del D.Lgs. n. 472 del 1997, è

“autonomo rispetto al procedimento di accertamento del tributo cui le sanzioni si riferiscono, con la conseguenza che deve escludersi che la scelta del trasgressore di addivenire alla definizione agevolata prevista dal comma 3 della norma comporti – neanche implicitamente – alcun effetto di ‘acquiescenza’ o di riconoscimento della fondatezza della pretesa relativa al tributo, la cui possibilità di contestazione resta, quindi, impregiudicata (nello stesso senso, con riguardo al pagamento in misura ridotta della pena pecuniaria previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 58, comma 4 – poi abrogato dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 16, cfr. Cass. nn. 1558 del 1991, 2610 del 2000, 12695 del 2004)”.

Acquiescienza e sanzioni tributarie – Brevi note

In forza del comma 1, dell’articolo 16 del D.Lgs. n. 472/97, la sanzione amministrativa e le sanzioni accessorie sono irrogate dall’ufficio o dall’ente competenti all’accertamento del tributo cui le violazioni si riferiscono, attraverso un atto di contestazione, con indicazione, a pena di nullità, dei fatti attribuiti al trasgressore, degli elementi probatori, delle norme applicate, dei criteri che ritiene di seguire per la determinazione delle sanzioni e della loro entità nonché dei minimi edittali previsti dalla legge per le singole violazioni.

Entro il termine previsto per la proposizione del ricorso, il trasgressore e gli obbligati possono definire la controversia con il pagamento di un importo pari ad un terzo della sanzione indicata e comunque non inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo.

La definizione agevolata impedisce l’irrogazione delle sanzioni accessorie.

Se non addivengono a definizione agevolata, il trasgressore e i soggetti obbligati in solido possono, entro lo stesso termine, produrre deduzioni difensive.

In mancanza, l’atto di contestazione si considera provvedimento di irrogazione, impugnabile ai sensi dell’art. 18, del D.Lgs.n.546/92.

L’impugnazione immediata non è ammessa e, se proposta, diviene improcedibile qualora vengano presentate deduzioni difensive in ordine alla contestazione.

L’atto di contestazione deve contenere l’invito al pagamento delle somme dovute nel termine previsto per la proposizione del ricorso, con l’indicazione dei benefici ed altresì l’invito a produrre nello stesso termine, se non si intende addivenire a definizione agevolata, le deduzioni difensive e, infine, l’indicazione dell’organo al quale proporre l’impugnazione immediata.

Quando sono state proposte deduzioni, l’ufficio, nel termine di decadenza di un anno dalla loro presentazione, irroga, se del caso, le sanzioni con atto motivato a pena di nullità anche in ordine alle deduzioni medesime. Tuttavia, se il provvedimento non viene notificato entro 120 giorni, cessa di diritto l’efficacia delle misure cautelari concesse ai sensi dell’art. 22, del D.Lgs. n. 472/97.

A sua volta, l’art. 17, del D.Lgs. n. 472/97, per effetto delle modifiche apportate dall’art. 23, c. 29, lett. b, D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011, n. 111, in deroga alle previsioni dell’art. 16, dispone che le sanzioni collegate al tributo cui si riferiscono sono irrogate, senza previa contestazione e con l’osservanza, in quanto compatibili, delle disposizioni che regolano il procedimento di accertamento del tributo medesimo, con atto contestuale all’avviso di accertamento, o di rettifica motivato a pena di nullità. Ai sensi del medesimo art. 23, c. 29, lett. b, D.L. n. 98/2011, la disposizione si applica agli atti emessi a decorrere dall’1 ottobre 2011.

In pratica, il legislatore ha sostituito le parole “possono essere”, con “sono”, imponendo così agli uffici di irrogare le sanzioni collegate al tributo, contestualmente all’atto di accertamento o di rettifica (cfr. C.M. n. 41/2011).

Il vigente comma 2 dell’articolo 17 del D.Lgs. n. 472/97 ammette, quindi, la definizione in maniera agevolata delle sole sanzioni, con il pagamento di un importo pari ad un terzo della sanzione irrogata e comunque non inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo, entro il termine previsto per la proposizione del ricorso.

Nel corso di TeleFisco 2012, l’Agenzia delle Entrate, nell’analizzare il comma 2 dell’articolo 17, del D.Lgs. n. 472/97, ha rilevato che la norma non prevede quale causa di preclusione alla definizione agevolata la formulazione dell’istanza di adesione così come prevista in caso di omessa impugnazione ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. n. 218/1997.

“Si ritiene, pertanto, che, stante il rinvio operato dall’articolo 17, comma 2, del d.lgs. 472 del 1997 ai termini di proposizione del ricorso, anche nell’ipotesi in cui il procedimento di accertamento con adesione si concluda negativamente, il contribuente potrà continuare a beneficiare della definizione agevolata delle sanzioni, a condizione che effettui il pagamento entro il termine per la proposizione del ricorso” (posizione formalizzata nella circolare n.25/2012).

La disposizione, opportunamente integrata con la disciplina sanzionatoria contenuta nel D.Lgs. n. 472/1997, con la sostituzione del termine perentorio dei 60 giorni per il pagamento delle sanzioni con il termine più lungo previsto per la proposizione del ricorso e tale termine, con il correlativo beneficio, risulta applicabile indipendentemente dalla presentazione o meno dell’istanza di adesione.

In pratica il contribuente, nel termine concesso per la presentazione del ricorso, ha comunque diritto a definire l’aspetto sanzionatorio contenuto nell’avviso di accertamento con il pagamento di un terzo delle sanzioni irrogate, ex art. 17 del D.Lgs. n.472/1997, ferma restando la possibilità di instaurare il procedimento di adesione, il cui eventuale esito negativo non preclude il mantenimento del beneficio in parola.

Resta fermo che (Cass. sentenza n. 25493 del 13 novembre 2013, ud. 7 ottobre 2013) la definizione agevolata delle sanzioni non consente di richiederne la restituzione una volta definito il contesto sul merito dell’imposta.

“Questa Corte ha avuto modo di evidenziare, con riguardo alla procedura di definizione agevolata delle sanzioni di cui all’abrogato art. 58, quarto comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, che il versamento previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 58, comma 4, integrando esercizio di una facoltà del contribuente, con pagamento di una percentuale della pena massima edittale senza alcun collegamento con la sanzione pecuniaria in concreto irrogata, presenta i connotati dell’oblazione o definizione agevolata, per prevenire od elidere ogni contesa sull’an ed il quantum della sanzione medesima e così si sottrae ad ogni possibilità di ripetizione, in conseguenza della non sindacabilità dei presupposti di detta irrogazione – cfr. Cass. n. 4330/2002, Cass. n. 1853/2000; Cass. n. 1215/1995; Cass. n. 12695/2004; Cass. n. 11154/2006; Cass. n. 13042/2004; Cass. n. 19558/2008; Cass. n. 12447/2009)”.

In pratica,

“il versamento del sesto costituisce una facoltà concessa al contribuente per definire, con il versamento di una somma notevolmente inferiore a quella concretamente irrogabile come sanzione, l’aspetto sanzionatorio del rapporto tributario in contestazione, e, con effetti, per un verso, preclusivi per l’Ufficio dell’irrogazione della pena nei limiti edittali, e d’altra parte, ostativi per il contribuente della ripetizione di quanto pagato”.Osserva la Corte che “tali principi devono ritenersi operanti anche con riguardo al D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 16 e 17, che hanno sostituito, abrogandolo, il ricordato art. 58, comma 4”.

La Corte ha quindi escluso

“ogni effetto di acquiescenza in ordine alla debenza della pretesa fiscale sostanziale per effetto del pagamento ridotto operato alla stregua del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16, proprio richiamando la giurisprudenza espressa in passato con riguardo alla natura ed agli effetti del pagamento operato alla stregua del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 58, comma 4, – cfr. Cass. nn. 1558/1991, 2610/2000, 12695/2004; Cass. 17529/12“.

Indirizzo, quest’ultimo, peraltro in linea con le indicazioni espresse dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 12/E del 12 marzo 2010, e confermate dalla giurisprudenza di legittimità (sentenza n. 24906 del 6 novembre 2013 della Corte di Cassazione) che ha ribadito che la definizione degli aspetti sanzionatori di un atto di accertamento non determina il riconoscimento della legittimità della pretesa nel merito.

“Questa Corte ha infatti in più occasioni chiarito come la definizione del profilo sanzionatorio del rapporto tributario, mercè il pagamento della sanzione stessa (ovvero la sua definizione agevolata ai sensi dell’art. 16, comma 3, del d.lgs. 10 dicembre 1997, n. 472), non comporta effetti di acquiescenza o di riconoscimento della fondatezza della pretesa né integra una confessione o un elemento di prova, non concernendo il profilo (meramente) tributario del rapporto, di guisa che resta materia tributaria impregiudicata la sorte del tributo e la possibilità del contribuente di contestarlo (Cass. n. 17529 del 2012, n. 12695 del 2004, n. 1558 del 1991)”.

7 agosto 2015

Francesco Buetto