La data dell’opposizione al pignoramento di Equitalia determina la lunghezza del termine di impugnazione della sentenza

analisi del problema di impugnazione (termine breve o termine lungo?) ai pignarmenti eseguiti da Equitalia, che nasce dalla riforma del codice di procedura civile del 2009, la quale riforma ha avuto effetti anche sul processo tributario

 

La L. 18 giugno 2009, n. 69, modificando varie disposizioni del codice di procedura civile, ha svolto ampi riflessi anche nel processo tributario, stante il fatto che quest’ultimo tipo di giudizio è collegato a quello civile in virtù del rinvio ex art. 1, c. 2, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

All’epoca, il legislatore (nel regolare le disposizioni transitorie all’art. 58, c. 1, della citata legge n.69/2009) disponeva che le nuove disposizioni si applicassero ai “giudizi instaurati” dopo la data della sua entrata in vigore e quindi a decorrere dal 4 luglio 2009, data che coincide con il quindicesimo giorno dalla pubblicazione della citata legge sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 19 giugno 2009.

 

È doveroso sottolineare che il primo problema, riversatosi sulle parti in contesa, è stato il campo di applicazione del nuovo termine d’impugnazione c.d. “lungo”, ex art. 327 del codice di procedura civile, (ridotto dalla L. n. 69/2009 da un anno a sei mesi) ovvero l’esatto connotato normativo della suindicata locuzione “giudizi instaurati”, imponendosi operativamente, dopo la novella, di individuare se con tale terminologia dovesse farsi riferimento ai processi incardinati in primo grado oltre il 4 luglio 2009 o anche quelli proposti, sempre oltre tale data, in gradi successivi al primo.

Certo è che non sono state poi così rare le eccezioni di inammissibilità (per mancato rispetto del termine decadenziale di sei mesi previsto da novellato art. 327 c.p.c.) che le parti hanno invocato intorno alla interpretazione della norma transitoria di cui all’art. 58, c. 1, L. cit. , secondo una lettura spesso intesa ad assimilare ai giudizi “instaurati” quelli riferibili ai singoli gradi di giudizio, oltre (ovviamente) quelli incardinati al contenzioso successivamente alla data di entrata in vigore delle disposizioni di cui alla Legge n. 69/2009.

Finora i verdetti emessi dalla Suprema Corte hanno univocamente evidenziato che il novellato art. 327 c.p.c. non rileva in ordine al momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio (Cass. sent. n. 6784 del 2012; ord. n. 24501 del 2014; sent. n. 2775 del 2015) e una ulteriore conferma di questo consolidato indirizzo è giunto molto recentemente con la sentenza n. 8628 del 29 aprile 2015 .

 

Tra l’altro è bene specificare che il nuovo termine c.d. “lungo” di sei mesi per impugnare le sentenze delle Commissioni tributarie ex art. 327 c.p.c.si applica per iricorsi introduttivinotificati a controparte successivamente al 4.7.2009, non avendo rilievo la data in cui il contribuente si è costituito in giudizio. Pertanto, se il ricorso è stato notificato sino al 4.7.2009 e il deposito è avvenuto dopo, il giudicato si forma decorso un anno dalla pubblicazione della sentenza, e non decorsi sei mesi da tale momento (così anche Ctr Piemonte, Sez. XI, 30-06-2011, n. 130).

Pochi giorni dopo il deposito del responso dei giudici di piazza Cavour appena citato, un’altra pronuncia di legittimità ha fornito alcune precise indicazioni anche sul momento in cui deve individuarsi la applicabilità del ridotto termine di contestazione di una decisione relativa ad una opposizione a pignoramento presso terzi ex art. 72-bis D.P.R. n. 602/1973, cioè ad un pignoramento azionato da Equitalia; infatti, con la sentenza n. 9246 del 7 maggio 2015, la Corte ha manifestato il principio di diritto per il quale nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi (quale mezzo utile alla contestazione del predetto pignoramento), ai fini dell’applicazione del termine lungo – ridotto a sei mesi dalla modifica apportata all’art. 327 c.p.c. , dalla L. 18 giugno 2009, n. 69 – per l’impugnazione della sentenza che lo ha concluso, rileva il momento in cui è stata introdotta la fase sommaria del corrispondente procedimento, con il deposito del ricorso dinanzi al giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 617 c.p.c. , comma 2.

La Corte ha confutato quindi l’ipotesi contraria, intesa a porre riferimento all’atto introduttivo del giudizio di merito (evidentemente sorto – nel caso di specie affrontato dalla decisione n. 9246/2015 – dopo il 4 luglio 2009, contrariamente al momento del ricorso al giudice dell’esecuzione sorto prima di tale data).

 

Il collegio di ultima istanza è pervenuto a questa conclusione ripercorrendo preliminarmente il contesto procedimentale disciplinato dalla riforma, attuata con la L. n. 52 del 2006 , che – innovando rispetto al passato – ha rimodulato il giudizio di opposizione agli atti esecutivi introdotto dopo l’inizio dell’esecuzione configurandone una struttura <<bifasica>> :

  • una sviluppabile dinanzi al giudice dell’esecuzione, che si svolge col rito camerale richiamato dall’art. 185 disp. att. c.p.c. , (anche questo sostituito dalla L. n. 52 del 2006, art. 13) e che si conclude con l’ordinanza che, ai sensi del novellato art. 618 c.p.c. , comma 2, sospende la procedura o da i provvedimenti indilazionabili, comunque non idonea al giudicato.

  • l’altra consistente in una fase di merito dinanzi al giudice competente ai sensi dell’art. 27 c.p.c. , comma 2, e che non è condotta dal giudice dell’esecuzione in quanto tale, poichè, svolgendosi secondo il rito di cognizione ordinario, fatte salve le deroghe di cui allo stesso art. 618, comma 2 (ovvero secondo il rito speciale nei casi previsti dall’art. 618 bis c.p.c.), è esterna al processo esecutivo e si conclude con una sentenza idonea al giudicato.

Tanto rammentato, la Corte ha poi sottolineato che :

  • la fase dinanzi al giudice dell’esecuzione è delineata dal legislatore della riforma del 2006 come fase necessaria, per quanto previsto dall’art. 617 c.p.c. , comma 2, e art. 618 c.p.c. , comma 1, tanto che il ricorso introduttivo va proposto dinanzi al giudice dell’esecuzione, ma delimita e condiziona anche l’ambito di cognizione del giudice del merito (cfr. Cass. n. 1012/13, citata nella memoria ex art. 378 c.p.c.), con il corollario che è il giudice dell’esecuzione ad attuare il collegamento tra le due suindicate fase a fissando poi, ex art. 618 c.p.c. , comma 2, “in ogni caso” un termine perentorio per l’introduzione del giudizio di merito;

  • il giudizio di opposizione agli atti esecutivi, disciplinato dall’art. 617 c.p.c. , comma 2, e art. 618 c.p.c., dopo le modifiche apportate dalla L. n. 52 del 2006 , è quindi distinto in due fasi, delle quali la prima a carattere sommario e la seconda a cognizione piena;

 

La distinzione in due fasi appena accennata, tuttavia, non impedisce – ad avviso della Corte – di affermare che entrambe le fasi appartengono ad un procedimento unico, che inizia con la domanda rivolta al giudice dell’esecuzione con la proposizione del ricorso ai sensi dell’art. 617 c.p.c. , comma 2; quest’ultima osservazione consente inevitabilmente (e qui l’iter argomentativo sostanzialmente perviene alla conclusione finale) di statuire come il descritto carattere unitario del giudizio rilevi al fine di individuare il momento in cui deve ritenersi iniziato il giudizio di opposizione agli atti esecutivi ai fini dell’applicabilità o meno dell’art. 327 c.p.c. , comma 1, nel testo attualmente vigente.

Da notare che a fortiori la Corte, nell’occasione, ha rimarcato come il carattere unitario del procedimento non sia compromesso dalla censura tra la prima e la seconda fase, essendo tale censura funzionale all’attribuzione della cognizione del merito dell’opposizione ad un giudice tendenzialmente diverso da quello dinanzi al quale si è svolta la fase sommaria (e, dopo l’introduzione dell’art. 186 bis disp. att. c.p.c., anche ad un “magistrato” diverso da quello che ha conosciuto degli atti avverso i quali è proposta opposizione).

9 giugno 2015

Antonino Russo