Vecchio sintetico ed acquisto d'immobile

in caso di accertamento sintetico con la vecchia normativa può essere particolarmente complesso per il contribuente provare che non si è prodotta la capacità contributiva presunta dal Fisco

Con la sentenza n. 24586 del 19 novembre 2014 (ud. 28 marzo 2014) la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimi i tre avvisi diaccertamento sintetici, coi quali sono state rettificate le dichiarazioni dei redditi per gli anni 1998, 1999 e 2000, in relazione all’incremento patrimoniale costituito dall’acquisto di una unità immobiliare in M. al prezzo di 700.000.000 delle vecchie lire, per i quali il contribuente non aveva fornito risposta al questionario con il quale era stato invitato a produrre la documentazione necessaria alla ricostruzione della posizione fiscale per i periodi d’imposta considerati.

La sentenza

La Corte, nel ricordare il vecchio dettato normativo, che consentiva, fra l’altro, al contribuente di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione), rileva che “il giudice di merito ha ritenuto non provato dalla documentazione prodotta l’assunto dell’A. secondo cui l’acquisto dell’immobile era stato effettuato con esborsi da parte del padre. Ha considerato infatti anzitutto inaccettabile sul piano giuridico ‘di ritenere dimostrata l’assunta liberalità del padre attraverso la copia fotostatica di un assegno privo di data, del quale, peraltro, risulta indimostrata la negoziazione’; in secondo luogo, ha rilevato come l’ammontare delle rate del mutuo ipotecario è in stridente contrasto con la capacità contributiva emersa nel 2009; infine, ha ricordato come il contribuente aveva ‘allegato ma non provato di avere conseguito all’estero redditi, presentando all’estero le proprie dichiarazioni dei redditi e conseguendo sempre all’estero i fondi necessari a saldare il prezzo convenuto per saldare il prezzo convenuto per l’acquisto dell’immobile de quo“.

Secondo i massimi giudici, “ nella esauriente motivazione della decisione impugnata, che seguendo un iter immune da vizi logici ha escluso fosse stata portata dal contribuente la prova contraria richiesta dalla norma”, non è dato ravvisare il vizio motivazionale denunciato, atteso che il giudice di legittimità non ha “ il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo dell’insufficienza o contraddittorietà della medesima, può legittimamente ritenersi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (ex multis, Cass. n. 18214 del 2006)”.

Le nostre considerazioni

Il vecchio redditometro da luogo ad una presunzione “legale” ai sensi dell’art. 2728 c.c., poichè è lo stesso dettato normativo che impone di ritenere come diretta conseguenza di determinati fatti noti (la disponibilità di beni o servizi) il fatto ignoto (capacità contributiva).

Il giudice tributario, quindi, una volta constatata la sussistenza degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” accertati dall’ufficio, non ha il potere di negare a tali “elementi” la capacità presuntiva “contributiva” che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, dovendo solo limitarsi a valutare la prova che il contribuente offre in ordine alla provenienza non reddituale1.

Il cd. sintetico trae fondamento nell’art. 38, c. 4, del D.P.R. n. 600/1973, che consente all’ufficio finanziario, in base ad elementi e circostanze di fatto certi ed indipendentemente da una previa rettifica analitica, di determinare il reddito complessivo netto delle persone fisiche, tutte le volte che tale reddito accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato e tale situazione permane per due o più periodi d’imposta2.

La presunzione semplice genera, peraltro, l’inversione dell’onere della prova, trasferendo sul contribuente l’impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà, ovvero a darne una diversa valutazione.

Il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta: ovviamente l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione.

La circolare n. 101/E del 30 aprile 1999 aveva già posto in risalto che “in sede di valutazione delle prove giustificative addotte dal contribuente“ occorre attenersi “ai necessari principi di ragionevolezza, al fine di pervenire a determinazioni reddituali convincenti e sostenibili, secondo gli ordinari canoni probatori“ e “considerata l’inevitabile imprecisione dello strumento presuntivo … si sottolinea l’esigenza di un suo attento e ponderato utilizzo da parte degli uffici, soprattutto nei casi in cui la ricostruzione presuntiva del reddito sia essenzialmente fondata su fatti-indice che costituiscono soddisfacimento di bisogni primari o che sono caratterizzati da elevata rigidità (in particolare, spese per l’abitazione e spese per mutui immobiliari) “.

Successivamente, la circolare n. 49/2007, invitava gli Uffici a valutare la probatorietà della “documentazione prodotta dal contribuente”, fermo restando che la prova contraria rimane a carico del contribuente.

In tema di accertamento sintetico è sufficiente che vi siano elementi e circostanze di fatto certi che, provando un determinato ammontare di spesa, presuppongono la disponibilità di un corrispondente reddito globale, senza la necessità di conoscere i cespiti certi dai quali il reddito stesso possa derivare, restando a carico del contribuente l’onere di provare l’inesistenza della capacità reddituale. Il possesso di alcuni beni (auto, immobile, mutuo, premio annuo di assicurazione) che costituisca elemento di fatto e circostanza certa, vale a giustificare il ricorso all’accertamento sintetico ex art. 38, D.P.R. n. 600/1973 da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Il thema decidendum rimane perciò circoscritto alla questione della sufficienza della prova, che il contribuente deve offrire, sul fatto che l’elemento posto dagli organi di controllo, a base della presunzione di reddito, non è invece indice di capacità contributiva (per esempio, che il denaro utilizzato per l’acquisto sia di un terzo soggetto; ma occorre, in questo caso, che il contribuente dia contezza della tracciabilità del denaro, non bastando la sola affermazione che l’incremento patrimoniale è frutto di un prestito o di un regalo).

La sentenza che si annota si pone sulla scia di precedenti pronunciamenti che hanno blindato il sintetico.

Infatti, con l’Ordinanza n. 19637 del 16 settembre 2010 (ud. del 26 giugno 2010) la Corte di Cassazione ha affermato che costituisce principio consolidato “quello secondo il quale, in materia di accertamento dell’imposta sui redditi ed al fine della determinazione sintetica del reddito annuale complessivo, secondo la previsione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38 la sottoscrizione di un atto pubblico (nella specie: una compravendita) contenente la dichiarazione di pagamento di una somma di denaro da parte del contribuente può costituire elemento sulla cui base determinare induttivamente il reddito posseduto, in base all’applicazione di presunzioni semplici, che l’ufficio finanziario è legittimato ad applicare per l’accertamento sintetico, risalendo dal fatto noto a quello ignoto, restando poi sempre consentita, a carico del contribuente, la prova contraria in ordine al fatto che manca del tutto una disponibilità patrimoniale, essendo questa meramente apparente, per avere l’atto stipulato, in ragione della sua natura simulata, una causa gratuita anzichè quella onerosa apparente (Cass. nn. 86658/2002, 5991/2006 23252/2006)”.

E con l’ordinanza n. 14896 del 5 settembre 2012 (ud. 5 luglio 2012) la Corte di Cassazione ha assegnato al contribuente l’onere di smentire le risultanze dell’accertamento sintetico.Per la Corte, “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il metodo disciplinato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, – come via via modificato – consente, a fronte di circostanze ed elementi certi, che evidenzino un reddito complessivo superiore a quello dichiarato o ricostruibile su base analitica, la determinazione del maggior imponibile in modo sintetico, in relazione al contenuto induttivo di tali circostanze ed elementi. Pertanto, la norma esige dati certi con riguardo alla esistenza del maggiore reddito imponibile e, in presenza di dati siffatti, richiede la individuazione dell’entità del reddito stesso con parametri indiziari, in via di deduzione logica del fatto taciuto dal dichiarante da quello noto, secondo i comuni canoni di regolarità causale. Ne consegue che, in presenza di dati certi ed incontestati, non è consentito pretendere una motivazione specifica dei criteri in concreto adottati per pervenire alle poste di reddito fissate in via sintetica nel cosiddetto redditometro, in quanto esse, proprio per fondarsi su parametri fissati in via generale, si sottraggono all’obbligo di motivazione, secondo il principio stabilito dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 2, (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 327 del 11/01/2006, n. 10350 del 2003)”.

Successivamente, con l’Ordinanza n. 2015 del 29 gennaio 2014 (ud. 5 dicembre 2013) la Corte di Cassazione ha confermato il proprio orientamento.Questa Corte (Cass. n. 1909/2007) ha ritenuto che il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici ‘elementi indicatori di capacità contributiva’ esposti dall’Ufficio, non ha il potere di togliere a tali ‘elementi’ la capacità presuntiva ‘contributiva’ che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perchè già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma“.Allo stesso modo, “questa Corte (Cass. n. 5991/2006) ha ritenuto che l’accertamento sintetico, con metodo induttivo, consentito all’amministrazione finanziaria dalle norme contenute nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, commi 4 e 5, consiste nell’applicazione di presunzioni semplici, in virtù delle quali l’ufficio finanziario è legittimato a risalire da un fatto noto a quello ignorato (sussistenza di un certo reddito e, quindi, di capacità contributiva). La suddetta presunzione semplice genera peraltro l’inversione dell’onere della prova, trasferendo al contribuente l’impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà. A tali principi non risulta essersi attenuta la decisione impugnata laddove ha ritenuto documentati i redditi delle collaboratrici domestiche sulla base di dichiarazioni del contribuente”.

Per la Corte di Cassazione (sentenza n.8995 del 18 aprile 2014), “la norma chiede dunque qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati”. Aggiunge la Corte “che la prova documentale richiesta dalla norma in esame non risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la ‘durata’ del possesso dei redditi in esame (quindi non il loro semplice ‘transito’ nella disponibilità del contribuente). È infine da evidenziare che questa Corte, in relazione all’accertamento sintetico del reddito, con riferimento a spese per incrementi patrimoniali, ha avuto occasione di affermare che ‘la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dall’art. 38, sesto comma, DPR n. 600/1973 non riguarda la sola disponibilità di redditi ovvero di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’essere stata la spesa per incrementi patrimoniali sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, e non già con qualsiasi altro reddito (dichiarato)’ (cfr. Cass. n. 6813/2009)”. Osservano i massimi giudici che, nel caso di specie, “risulta accertato che il contribuente ha fornito la prova dell’esistenza e dell’ammontare della disponibilità, nel periodo in contestazione, di redditi risultanti da disinvestimenti azionari, ma non risulta accertato che abbia altresì fornito idonea prova, tantomeno documentale, della “durata” del possesso dei suddetti redditi esenti, prova necessaria, come sopra evidenziato, a consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi”.

E sempre la Corte di Cassazione, con la sentenza 6 giugno 2014, n. 12745, ha ribadito che “l’accertamento dei redditi con metodo sintetico, ai sensi dell’art. 38, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non postula, in difetto di ogni previsione al riguardo della norma, che gli elementi e le circostanze di fatto in base ai quali il reddito viene determinato dall’ufficio siano in qualsiasi modo contestati al contribuente, ferma restando per quest’ultimo la possibilità di fornire, in sede di impugnazione dell’atto, la dimostrazione che il redito effettivo è diverso e inferiore rispetto a quello scaturente dalle presunzioni adottate dall’amministrazione finanziaria, sicché la sola circostanza relativa alla mancata instaurazione di una qualche forma di contraddittorio con il contribuente nella fase istruttoria non può giustificare l’annullamento dell’accertamento stesso” (Cass. n. 27079 del 2006). E in conclusione afferma che “l’accertamento del reddito con metodo sintetico, infatti, non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta (art. 38, sesto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600) e, più in generale, che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. n. 20588 del 2005). Una prova siffatta, secondo il giudice di merito, non è stata fornita”.

E da ultimo, con l’ordinanza n. 22634 del 24 ottobre 2014 (ud. 8 ottobre 2014) la Corte di Cassazione ha confermato che, in tema di accertamento dei redditi, costituiscono (ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 2, nel testo applicabile nella fattispecie ratione temporis)elementiindicativi di capacità contributiva“, tra gli altri, specificamente la “disponibilità in Italia o all’estero” di “autoveicoli“, nonchè di “residenze principali o secondarie“. “La disponibilità di tali beni, come degli altri previsti dalla norma, costituisce, quindi, una presunzione di ‘capacità contributiva’ da qualificare ‘legale’ ai sensi dell’art. 2728 c.c., perchè è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità la esistenza di una ‘capacità contributiva’. Pertanto, il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici ‘elementi indicatori di capacità contributiva’ esposti dall’Ufficio, non ha il potere di togliere a tali ‘elementi’ la capacità presuntiva ‘contributiva’ che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perchè già sottoposta ad imposta o perchè esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma; il che non avveniva nella specie (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 18081 del 04/08/2010, n. 16284 del 23/07/2007)”.

9 febbraio 2015

Gianfranco Antico

 

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1Cfr. sentenza Cass. n. 22936 del 17 ottobre 2007 (dep. il 30 ottobre 2007) La Corte, richiamando un indirizzo consolidato (fra le tante, sentenza n. 19252 del 2005), ha affermato che la disponibilità di beni previsti dalla norma, costituisce una presunzione di “capacità contributiva” da qualificare “legale” ai sensi dell’art. 2728 c.c., perché è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità l’esistenza di una “capacità contributiva“. Quindi, prosegue la Corte, il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’ufficio, non ha il potere di togliere a tali “elementi” la capacità presuntiva “contributiva” che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, “ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma; che, pertanto, l’accertamento sintetico del reddito del contribuente, svolto sulla base di tali indici, non costituisce affatto uno strumento straordinario di accertamento reddituale, utilizzabile solo – come si sostiene nella sentenza impugnata – in caso di mancata dichiarazione dei redditi o di loro dichiarazione palesemente non corrispondente al vero, ma anche in caso di dichiarazione apparentemente corretta, ove, prima ancora che si dimostri l’effettivo contrasto tra quanto esposto e quanta capacità contributiva esprime il possesso di beni e valori (specificamente elencati negli strumenti conoscitivi predisposti dal legislatore), esso sia solo ipotizzato, sia pure non arbitrariamente, nell’ambito della discrezionalità amministrativa di cui sono dotati gli uffici pubblici titolari del relativo potere impositivo; che, in base tale ultimo principio di diritto, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa da cui essa si è originata va rinviata ad altra Sezione della stessa Commissione tributaria regionale perché, sulla base dell’enunciato principio in materia di accertamento sintetico del reddito, in uno con il regolamento delle spese di questa fase, esamini nuovamente le domande poste dalla ricorrente in sede di impugnazione della decisione di primo grado”. Evidenziamo ancora che la Corte di Cassazione (sentenza 25386 del 26 ottobre 2007, dep. il 5 dicembre 2007) ha affermato che gli accertamenti effettuati mediante redditometro sisottraggono all’obbligo di motivazione ex art. 3, c. 2, della L. 7 agosto1990, n. 241, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria èesonerata da qualunque prova ulteriore rispetto ai fatti indicativi dicapacità contributiva individuati dal redditometro e posti a base dellapretesa fiscale (nel caso di specie: possesso di automobili), gravando sulcontribuente l’onere di dimostrare che il reddito presupposto sulla base delredditometro non esiste o esiste in misura inferiore.Ne consegue, per la Corte, che “in presenza di dati certi ed incontestati, non è consentito pretendere una motivazione specifica dei criteri in concreto adottati per pervenire alle poste di reddito fissate in via sintetica nel cosiddetto redditometro, in quanto esse, proprio per fondarsi su parametri fissati in via generale, si sottraggono all’obbligo di motivazione, secondo il principio stabilito dall’art. 3, secondo comma, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Cass. 327/06), e l’Amministrazione Finanziaria resta dispensata da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti indicativi di capacità contributiva, individuati dal redditometro stesso e posti a base della pretesa tributaria (nella specie, il possesso di automobili}, gravando sul contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 10350/03)”.

2 Sul punto ricordiamo che con sentenza n. 237 del 21 ottobre 2008 (dep. il 9 gennaio 2009), la Corte di Cassazione aveva già affermato che “dalla interpretazione letterale della norma non si ricava che i due o più periodi di imposta devono essere consecutivi, nè che essi devono essere necessariamente anteriori a quello per il quale si effettua l’accertamento, essendo sufficiente, secondo la disposizione in esame, che il reddito dichiarato non risulti congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di imposta”.