La legge di Stabilità per gli Enti Locali (prima parte)

iniziamo la pubblicazione di una rassegna delle principali misure della Legge di stabilità per gli enti locali; in questa prima parte: il Durc, le novità in tema di IRAP, la tesoreria unica…

 

DURC

Il comma 18 della Legge di stabilità, introducendo nell’articolo 37 del D.L. n. 66/2014, convertito dalla Legge n. 89/2014(Decreto Irpef), il nuovo comma 7-quinquies, dispone che la regolarità contributiva del cedente dei crediti certificati mediante piattaforma elettronica va definitivamente attestata dal DURC (Documento unico di regolarità retributiva) in corso di validità, allegato all’atto di cessione o comunque acquisito dalla pubblica amministrazione ceduta.

Si prevede inoltre che all’atto dell’effettivo pagamento dei crediti certificati oggetto di cessione, le pubbliche amministrazioni debitrici devono acquisire il DURC esclusivamente nei confronti del cessionario.

Compensazione delle cartelle esattoriali con crediti nei confronti delle PA

Il comma 19 della Legge di stabilità estende a tutto il 2015 l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 12, comma 7-bis del D.L. n. 145/2013, convertito dalla Legge n. 9/2014 (cosiddetta Legge Destinazione Italia), per effetto delle quali si riapre la possibilità di compensazione delle somme iscritte a ruolo in favore delle imprese titolari di crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, per somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali maturati nei confronti delle Pubbliche amministrazioni.

L’effettiva possibilità di fruire della compensazione di tali somme è comunque subordinata alla necessità che i crediti siano certificati e che la somma iscritta a ruolo sia inferiore o pari al credito vantato.

Il comma 19 rimanda comunque la definizione delle specifiche modalità di esercizio della compensazione ad un apposito Decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze, da adottare di concerto con il Ministro dello Sviluppo economico entro il termine (ordinatorio) del prossimo 31 marzo 2015.

IRAP

I commi 20 e seguenti della Legge di stabilità introducono importanti modifiche alla disciplina dell’IRAP, che invero non avrebbero un impatto diretto sulla fiscalità a carico delle pubbliche amministrazioni. Le modifiche infatti non toccano l’aliquota di riferimento del 8,5% applicata dalle Amministrazioni pubbliche ai fini della determinazione dell’ammontare dell’imposta a carico secondo le modalità ordinarie previste dall’articolo 10-bis del Decreto Irap.

Occorre tuttavia considerare che a tali amministrazioni è riconosciuta la facoltà di determinare, relativamente alle attività commerciali da esse svolte, il quantum dell’imposta mediante l’applicazione del metodo analitico previsto per le società di capitali e gli enti commerciali. In tali casi pertanto i nuovi interventi sulla materia apportati dalla Legge di stabilità trovano applicazione anche per questi enti.

Deducibilità spese del personale

Il comma 20 ammette in deduzione ai fini IRAP, a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, la differenza tra il costo complessivo per il personale dipendente a tempo indeterminato e le vigenti deduzioni spettanti a titolo analitico o forfetario riferibili sempre al costo del lavoro.

Credito di imposta per soggetti senza personale

In favore dei soggetti passivi che non si avvalgono di dipendenti nell’esercizio della propria attività, il successivo comma 21 introduce a partire dal 2015 un credito d’imposta IRAP pari al 10 per cento dell’imposta lorda determinata secondo le regole generali. Tale credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione ai sensi del D.Lgs. n. 241/1997 (e dunque con un limite di importo complessivo pari a 700mila euro annui) a decorrere dall’anno di presentazione della corrispondente dichiarazione IRAP (ossia a partire dal 1° gennaio 2016).

Aumento delle aliquote IRAP

Il comma 22 abroga con effetti retroattivi già a valere sull’esercizio 2014 le disposizioni di favore che avevano tagliato le aliquote IRAP relative ai soggetti diversi dalle pubbliche amministrazioni. Le aliquote a cui si dovrà fare riferimento per il calcolo dell’imposta in sede determinazione del saldo per il 2014 sono pertanto le seguenti:

  • 3,90 per cento per l’aliquota generale;

  • 4,20 per cento per i concessionari;

  • 4,65 per cento per le banche;

  • 5,90 per cento per le assicurazioni;

  • 1,90 per cento per l’agricoltura.

Il comma 23 fa comunque salvi gli effetti della diminuzione delle aliquote disposte dal

D.L. n. 66/2014 ai fini della determinazione degli acconti relativi al periodo d’imposta 2014. Se si considera che gli acconti sono stati pagati nel corso del 2014 dai soggetti passivi IRAP con aliquote inferiori introdotte dal Decreto Irpef, si stima che questi contribuenti dotrebbero prevedibilmente trovarsi nella situazione di corrispondere all’Erario in sede di dichiarazione IRAP relativa all’esercizio 2014 un conguaglio annuale di importo più sostanzioso rispetto a quello che sarebbe stato determinato per effetto della legislazione previgente.

Effetti delle nuove misure sugli enti locali

In caso di opzione da parte delle amministrazioni pubbliche, queste novità troveranno perciò applicazione anche nei confronti di questi enti ai fini della determinazione del carico tributario sulle attività da essi “optate”.

Va comunque tenuto presente che i benefici o gli eventuali aggravi fiscali previsti dai commi 20 e seguenti della Legge di stabilità non dovrebbero comunque generare rilevanti variazioni d’imposta per questi enti, posto che solitamente l’esercizio delle suddette opzioni determina sulle attività in questione la quantificazione di un’imposta IRAP di importo pari 0 € o comunque assai limitato.

Ad ogni modo la sopravvenuta deducibilità dei costi del personale dalla base imponibile consiglierebbe alle amministrazioni di rivedere i propri calcoli di convenienza, specie nelle attività ad alta intensità di personale, (per esempio assistenza domiciliare, asili nido o comunità per anziani) e di procedere prontamente all’opzione per il metodo di calcolo commerciale nei casi in cui ciò assicurasse consistenti risparmi di imposta.

Rendita catastale per immobili con macchinari imbullonati

La legge di Stabilità 2015 tenta di risolvere, peraltro con una tecnica legislativa non immune da giustificati rilievi, il problema dell’accertamento catastale di capannoni industriali e macchinari. Il problema si è generato a causa dell’erronea interpretazione delle normative in materia che hanno condotto in recenti accertamenti all’inclusione nella stima dei fabbricati anche di macchinari (imbullonati o meno al suolo) per il semplice fatto che la loro presenza è essenziale per caratterizzare la destinazione economica dell’opificio.

A tal fine il comma 244 fa rinvio per il calcolo dell’IMU sulle componenti mobiliari nella rendita catastale degli immobili ad uso produttivo ai criteri di valutazione indicati nella circolare dell’Agenzia del Territorio n. 6/T/2012 del 30 novembre 2012. Nella circolare in questione si chiarisce che devono essere escluse dalla rendita catastale quelle componenti che, sebbene caratterizzino la destinazione economica dell’immobile produttivo, sono prive dei requisiti di “immobiliarità”, vale a dire di stabilità nel tempo rispetto alle componenti strutturali dell’unità immobiliare.

Si tratta invero di un approccio legislativo alquanto singolare. Non si capisce infatti la ragione per la quale un testo di legge debba fare riferimento, attribuendovi “forza di legge”, ad un documento di prassi come la citata circolare del Territorio, che peraltro, pur chiarendo correttamente alcuni punti essenziali, presenta però alcune contraddizioni interne ed ambiguità interpretative, che potrebbero creare ulteriore confusione in seno agli enti accertatori e alla giurisprudenza in materia. Meglio sarebbe stato trasporre direttamente nel testo di legge il solo concetto esaustivo relativo alle componenti caratterizzanti la destinazione dell’immobile produttivo prive dei requisiti di “immobiliarità”, senza alcun riferimento diretto alla circolare n. 6/T/2012.

La disposizione ad ogni modo non interviene (anche per mancanza di coperture finanziarie) sui contenziosi già sorti o definiti con valutazioni delle rendite non in linea con le indicazioni della citata circolare dell’Agenzia del Territorio, creando di fatto ulteriori censurabili difformità di trattamento fra gli accertamenti futuri e quelli pregressi effettuati eventualmente secondo interpretazioni penalizzanti rispetto a quelle assunte dal comma 244.

Blocco della contrattazione nel pubblico impiego

La Legge di stabilità proroga il regime di blocco contrattuale che oramai da diversi anni caratterizza il mondo del pubblico impiego.

A tal fine il comma 254 proroga fino al 31 dicembre 2015 il blocco economico della contrattazione nel pubblico impiego, già previsto fino al 31 dicembre 2014, con conseguente slittamento del triennio contrattuale dal 2015-2017 al 2016-2018. La disposizione in questione concede anche per il 2015 la possibilità di avvio di procedure contrattuali e negoziali per il pubblico impiego limitatamente alla sola parte normativa e senza la possibilità di recupero per la parte economica.

Il successivo comma 255 estende fino al 2018 l’efficacia della norma che prevede che l’indennità di vacanza contrattuale da computare quale anticipazione dei benefici complessivi che saranno attribuiti all’atto del rinnovo contrattuale, è quella in godimento al 31 dicembre 2013.

Il comma 256 infine proroga fino al 31 dicembre 2015 le disposizioni che prevedono il blocco degli automatismi stipendiali del personale non contrattualizzato, ferma restando l’esclusione dal blocco dei magistrati.

Tesoreria unica

Il comma 395 proroga fino al 31 dicembre 2017 la sospensione dell’applicazione del regime di tesoreria unica “misto” per Regioni, enti locali, enti del comparto Sanità, Autorità portuali e Università ed il conseguente mantenimento per tali enti, fino a tale data, del regime di tesoreria unica ai sensi dell’articolo 1 della Legge n. 720/1984.

Province

Nuovi contributi di finanza pubblica e intervento sul processo di riordino

La Legge di stabilità 2015 entra prepotentemente nel processo di ridefinizione delle competenze delle autonomie locali, ponendo una serie di misure drastiche volte ad incidere pesantemente in particolare sulle procedure di razionalizzazione delle risorse e del personale da assegnare alle nuove Province e Città metropolitane, che invero erano rimaste sinora sullo sfondo del complicato quadro di riorganizzazione delineato dalla Riforma Delrio.

La Legge n. 56/2014 rinviava infatti la definizione di questi aspetti all’emanazione di appositi decreti attuativi, che a loro volta avrebbero affidato all’autonomia regionale l’onere di definire nel dettaglio la partita.

Lo stato dell’arte mostra un quadro attuativo della riforma alquanto desolante, che sconta ritardi nell’assunzione dei provvedimenti attuativi, a cui si è sommata l’inerzia o in alcuni casi la dichiarata ostilità delle amministrazioni regionali nell’assumere le decisioni loro richieste. Del resto Regioni e Comuni non possono certo vedere di buon occhio il passaggio a loro delle funzioni e del personale appartenenti alle vecchie Province in un quadro in cui è assolutamente incerto il quantum delle risorse che verrebbero ad essi assegnate per il loro esercizio.

A questa situazione di pesante difficoltà del progetto di riordino della Riforma Delrio si associano le sempre più pressanti esigenze di cassa dell’Erario, che oramai da diversi anni sta colpendo con tagli sempre più corposi le risorse destinate alle Province.

In tal senso vanno letti anche i commi 418 e 419 della Legge di stabilità 2015, che introducono per le nuove Province e Città metropolitane un’ulteriore riduzione della spesa corrente di un miliardo di euro per l’anno 2015, di 2 miliardi di euro per l’anno 2016 e di 3 miliardi di euro a decorrere dal 2017. In considerazione di queste riduzioni di spesa, ciascuna Provincia e Città metropolitana è conseguentemente tenuta a versare su un apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato un ammontare di risorse pari ai predetti risparmi di spesa. Sono escluse dal versamento dei contributi di finanza pubblica, fermo restando l’ammontare complessivo del contributo dei periodi precedenti, le Province che risultano in dissesto alla data del 15 ottobre 2014. La quantificazione dei tagli alla spesa in carico alle singole amministrazioni e delle conseguenti somme da versare all’Erario è affidato ad un Decreto ministeriale (da emanare entro il prossimo 15 febbraio 2015), che dovrà altresì tenere conto anche della differenza tra spesa storica e fabbisogni standard.

In caso di mancato versamento del contributo entro il 30 aprile di ciascun anno, si prevede l’intervento dell’Agenzia delle Entrate, chiamata al recupero delle somme dovute a valere sui versamenti dell’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile riscossa tramite modello F24, ed, in caso di ulteriore incapienza, sui versamenti dell’imposta provinciale di trascrizione.

Le nuove pretese di cassa dello Stato sortiranno prevedibilmente l’effetto di pregiudicare la stessa operatività delle amministrazioni provinciali, che di fatto a partire dal 2015 non potranno più contare su risorse sufficienti per potere assicurare l’erogazione né delle funzioni fondamentali, né di quelle non fondamentali (che come detto non si sa ancora a chi saranno attribuite).

Con questo articolato intervento la Legge di stabilità sconfessa in buona parte l’iter precedentemente indicato dalla Riforma Delrio, provvedendo a determinare d’imperio il quantum delle risorse da tagliare alle vecchie amministrazioni provinciali e degli esuberi che il complesso processo di trasferimento delle funzioni deve necessariamente realizzare.

L’intervento della Legge di stabilità 2015, resosi necessario a causa dei ritardi attuativi accumulatisi nonché di altre necessità contingenti, mette a questo punto a serio rischio il quadro di riforma delle vecchie Province immaginato dalla Legge Delrio. I commi 418 e seguenti infatti affrontano direttamente i nodi delle risorse e del personale “dimenticandosi” al tempo stesso di risolvere la questione dell’affidamento delle funzioni, che continuerà ad essere lasciata alla competenza (o per meglio dire all’inerzia) delle Regioni.

Se si considera poi che qualsiasi automatismo fra funzioni da attribuire e risorse da assegnare all’amministrazione che se ne prende carico è di fatto venuto meno, si può ben comprendere che tale processo di riattribuzione dei compiti delle ex Province si concretizzerà in una redistribuzione fra Comuni, nuove Province e Città metropolitane e Regioni del peso di una manovra occulta del valore stimato dall’UPI di 2,5 miliardi di euro.

Gestione degli esuberi

L’intera questione degli esuberi delle ex Province e della loro gestione viene affrontata dai commi da 421 a 429 della Legge di stabilità.

Nello specifico il 421 prevede che la dotazione organica delle Città metropolitane e delle Province delle Regioni ordinarie sia stabilita in misura pari alla spesa del personale di ruolo alla data di entrata in vigore della Legge n.56/2014 (ossia lo scorso 8 aprile 2014), ridotta, rispettivamente, in misura pari al 30% e al 50% (30% in caso di Province con territorio interamente montano e confinanti con Paesi stranieri). Agli enti è comunque concessa la teorica facoltà di deliberare una riduzione di personale superiore.

I successivi commi si preoccupano a questo punto di delineare un quadro procedurale organico volto a favorire la mobilità del personale eccedentario verso Regioni, Comuni e altre pubbliche amministrazioni, a valere sulle facoltà assunzionali degli enti di destinazione.

Il comma 422 prevede che entro il prossimo 31 marzo 2015 lo Stato e le Regioni individuino il personale che rimane assegnato a Province e Città metropolitane e quello da destinare alle procedure di mobilità, secondo le modalità indicate nei commi successivi e comunque nel rispetto delle forme di partecipazione sindacale previste dalla normativa vigente.

Nell’ambito delle procedure attuative e degli osservatori regionali previsti dal comma 91 dell’articolo 1 della Legge Delrio, in sede di elaborazione dei piani di riassetto dei nuovi enti, si dovrebbe giungere alla definizione delle procedure di mobilità del personale interessato, da realizzare secondo criteri fissati con Decreto del Ministro per la Semplificazione e la Pubblica amministrazione da adottare entro il termine ordinatorio del prossimo 2 marzo 2015. Secondo quanto stabilito nel comma 423 il personale destinatario delle procedure di mobilità, che conserva la posizione giuridica ed economica maturata, va ricollocato prioritariamente presso le Regioni e gli enti locali e, in via subordinata, presso le altre amministrazioni pubbliche.

il comma 424 disciplina il ricollocamento del personale in mobilità presso Regioni ed enti locali. Ai sensi della disposizione Regioni ed enti locali devono destinare, per gli anni 2015 e 2016, le risorse per le assunzioni a tempo indeterminato, nelle percentuali stabilite dalla normativa vigente, all’immissione nei ruoli dei vincitori di concorso pubblico collocati nelle proprie graduatorie vigenti e delle unità soprannumerarie destinatarie dei processi di mobilità. Si prevede inoltre che la restante percentuale della spesa relativa al personale di ruolo cessato negli anni 2014 e 2015 va destinata esclusivamente alla ricollocazione del personale provinciale in mobilità.

Le spese del personale delle ex-Province così ricollocato non vengono considerate ai fini della verifica del rispetto dei vincoli alla spesa del personale di cui all’articolo 1, comma 557, della Legge n. 296/2006, in base ai quali, si ricorda, dal 2014 Regioni ed enti locali devono, nella programmazione triennale dei fabbisogni di personale, contenere le spese di personale ”con riferimento al valore medio del triennio precedente”. Si fa tuttavia presente che le assunzioni del personale provinciale incideranno invece sui vincoli del Patto di stabilità e sulla sostenibilità finanziaria dei bilanci di Regioni e Comuni, scoraggiando di fatto gli esodi verso queste amministrazioni.

il comma 426 proroga al 31 dicembre 2018 il termine (originariamente fissato al 31 dicembre 2016) relativo alla stabilizzazione dei precari della PA. Nello specifico la disposizione proroga il termine previsto dall’articolo 4, commi 6, 8 e 9, del D.L. n.101/2013, convertito dalla Legge n. 125/2013 (cosiddetto Decreto PA 2013), entro il quale le amministrazioni possono:

  • bandire procedure concorsuali per assunzioni a tempo indeterminato con riserva di posti a favore di titolari di contratti a tempo determinato;

  • prorogare contratti di lavoro a tempo determinato dei soggetti che abbiano maturato almeno 3 anni di servizio alle loro dipendenze;

  • procedere ad assunzioni a tempo indeterminato di lavoratori socialmente utili (iscritti in apposito elenco regionale secondo criteri di “priorità”).

Anche questa disposizione va letta con una prevalente logica di favorire le procedure di riassorbimento e razionalizzazione delle spese relative al personale a vario titolo impiegato presso le vecchie amministrazioni provinciali.

Nelle more della conclusione delle procedure di mobilità il relativo personale rimane, ai sensi del comma 427, in servizio presso le Città metropolitane e le Province, con possibilità di avvalimento da parte delle Regioni e degli enti locali sulla base di apposite convenzioni.

Al comma 428 si affronta l’eventualità che le procedure di ricollocazione sopra descritte non abbiano successo nel riassobire tutti gli esuberi delle vecchie Province: in tali casi presso ogni ente di area vasta si procede alla definizione dei criteri e dei tempi di utilizzo di forme contrattuali a tempo parziale delle personale non dirigenziale con maggiore anzianità contributiva, previo esame congiunto con le organizzazioni sindacali che deve comunque concludersi entro 30 giorni dalla relativa comunicazione. In ultima istanza, a conclusione dei processi di mobilità il personale in soprannumero è collocato in disponibilità, con esclusione di tutte le obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro e un’indennità pari all’80 per cento dello stipendio, per la durata massima di ventiquattro mesi secondo le modalità stabilite ai sensi dell’articolo 33, commi 7 e 8, del D.Lgs. n.165/2001.

A conclusione dell’esposizione della misura sopra descritta si pone l’attenzione sui termini lunghi concessi al ricollocamento del personale delle ex-Province in esubero (che durerà non meno di due anni, con le amministrazioni nel frattempo obbligate a continuare a sostenerne il costo), che non sembrano essere compatibili con le fortissime limitazioni di spesa imposti agli enti dalla Legge di stabilità.

Vincoli operativi

Il comma 420 pone nuovi vincoli operativi in capo alle nuove Province, imponendo loro il divieto, a decorrere dal 1° gennaio 2015:

  • di ricorrere a mutui per spese non rientranti nelle funzioni della gestione dell’edilizia scolastica, della costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente, nonché della tutela e valorizzazione dell’ambiente, per gli aspetti di competenza;

  • di effettuare spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza;

  • di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato, ivi incluse le procedure di mobilità;

  • di acquisire personale attraverso l’istituto del comando;

  • di attivare rapporti di lavoro ai sensi degli articoli 90 (uffici di supporto agli organi di direzione politica) e 110 (incarichi a contratto) del TUEL (D.Lgs. n. 267/2000;

  • di instaurare rapporti di lavoro flessibile;

  • di attribuire incarichi di studio e consulenza.

Garanzia giovani

Il comma 429 salvaguarda la continuità del regolare funzionamento dei servizi per l’impiego e l’attuazione della “Garanzia per i giovani”, stanziando a tal fine, in favore di Province e Città metropolitane, risorse da utilizzare per finanziare i rapporti di lavoro a tempo indeterminato e prorogare i contratti di lavoro a tempo determinato e i contratti di collaborazione coordinata e continuativa strettamente indispensabili per la loro realizzazione.

Rinegoziazione dei mutui in scadenza

Il successivo comma 430, sempre in un’ottica di riorganizzazione delle autonomie locali, concede alle amministrazioni provinciali la facoltà di rinegoziare le rate dei mutui in scadenza nel 2015 con conseguente rimodulazione del relativo piano di ammortamento, con onere a carico dell’ente richiedente.

Piano per le periferie

I commi da 431 a 434 predispongono l’attuazione di interventi da inserire nel contesto di un Piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate (cosiddetto Piano per le periferie), finalizzato all’attuazione di progetti di riqualificazione, appositamente predisposti dai Comuni e costituiti da un insieme coordinato di interventi diretti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale, nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale ed ambientale. A tal fine viene istituito un apposito fondo, della dotazione di 50 milioni di euro per l’anno 2015 e 75 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017, destinato a finanziare i progetti di riqualificazione, presentati dai Comuni entro il prossimo 30 giugno 2015, che supereranno una specifica selezione.

La definizione delle modalità di elaborazione dei piani, della documentazione da allegare ai progetti e della procedura di selezione e attuazione dei piani è demandata ad un DPCM da emanare su proposta del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, di concerto con Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della Legge di stabilità.

Fondo di solidarietà

Il comma 435 riduce la dotazione del Fondo di solidarietà comunale di 1.200 milioni a decorrere dall’anno 2015. Si ricorda che la misura della Legge di stabilità si aggiunge alle decurtazioni al Fondo già introdotte per il 2015 da precedenti interventi legislativi e pari rispettivamente a 188 milioni di euro, previsti D.L. n. 66/2014, convertito dalla Legge n. 89/2014 (Decreto Irpef), e a 100 milioni di euro, ai sensi del D.L. n. 95/2012, convertito dalla Legge n. 135/2012 (Spending review 2012).

Va detto che la versione del comma 435 pubblicata in Gazzetta Ufficiale non contiene alcuno dei vincoli operativi che in alcune bozze provvisorie della Legge di stabilità erano comparsi e che vincolavano il taglio delle spettanze a titolo di Fondo di solidarietà al conseguimento da parte degli enti di tagli di pari importo limitati alla sola componente corrente della spesa; si conferma pertanto che il Legislatore lascia ai Comuni piena libertà sulle politiche di bilancio da attuare nel 2015 per preservare i propri equilibri di bilancio, potendo essi operare sia sui capitoli di spesa (siano essi relativi a spese correnti che a spese in conto capitale) che sulle voci di entrata.

La misura del concorso al taglio del Fondo di solidarietà comunale 2015 disposto dal comma 435 viene ridotta dal successivo comma 436 del 50% per i Comuni colpiti dagli eventi sismici dell’Abruzzo nel 2009, dell’Emilia nel 2012 e di Lucca e Massa Carrara nel 2013.

Il successivo comma 459 aumenta dal 10 al 20% la quota del Fondo di solidarietà comunale da ripartire ai sensi del comma 380-quater della Legge n. 228/2012 (Legge di stabilità 2013) sulla base delle capacità fiscali nonché dei fabbisogni standard. Si segnala che al momento il processo di ripartizione della quota del Fondo di solidarietà sulla base dei criteri del citato comma 380-quater si è bloccato a causa del consueto ritardo nell’adozione dei decreti attuativi del riparto del Fondo per 2015, che secondo quanto previsto dalla disciplina vigente avrebbero dovuto essere emanati entro il termine scaduto dello scorso 31 dicembre 2014.

Unioni e fusioni di Comuni

Fusioni di Comuni

Il comma 450 dispensa i Comuni istituiti a seguito di fusione dall’applicazione nei primi 5 anni dalla loro istituzione dei vincoli e delle limitazioni relativi alle facoltà assunzionali e ai rapporti di lavoro determinato. La norma di favore è concessa nei confronti dei Comuni nati da fusione che mostrino un rapporto tra spesa di personale e spesa corrente inferiore al 30 per cento. Gli enti interessati dalla misura rimangono comunque tenuti al rispetto del divieto di superamento della somma delle spese di personale sostenute dai singoli enti nell’anno precedente alla fusione e al rispetto del limite di spesa complessivo definito a legislazione vigente nonché alla salvaguardia degli equilibri di bilancio.

In coerenza con la disposizione sopra esposta, il comma 498 esenta i Comuni sorti a decorrere dal 2011 a seguito di fusione dall’applicazione del Patto di stabilità fino al quarto anno successivo a quello della loro istituzione. Nell’esercizio successivo l’applicazione del Patto di stabilità sarà effettuata assumendo, come base di riferimento ai fini della determinazione degli obiettivi programmatici, le risultanze dell’ultimo triennio disponibile.

Unioni di Comuni e convenzioni

Sempre il comma 450 stabilisce che, per i Comuni che esercitano in forma associata le proprie funzioni fondamentali, sia mediante l’Unione che attraverso la convenzione, le spese di personale e le facoltà di assunzione vanno considerate in maniera cumulata tra i Comuni medesimi mediante forme di compensazione tra gli stessi, nel rispetto dei vincoli previsti dalle vigenti disposizioni e dell’invarianza della spesa complessiva. Nel successivo comma 491 si specifica poi che queste compensazioni sono rilevanti ai fini del Patto di stabilità solo previo accordo fra i vari enti aderenti.

Il comma 450 va a sanare alcune lacune che nella disciplina previgente potevano severamente compromettere l’operatività degli enti che partecipavano a forme di gestione associata delle proprie funzioni. Le modalità di calcolo unitario degli aggregati della spesa del personale e dei vincoli assunzionali e della loro compensazione viene ora estesa alla totalità delle forme di aggregazione delle funzioni comunali, convenzioni comprese (in precedenza era riconosciuta esclusivamente nei confronti dei Comuni e delle Unioni cui gli stessi aderivano ai fini sia del calcolo del tetto alla spesa del personale sia delle possibilità di assunzioni). Vanno inoltre previste forme di compensazione fra i Comuni aderenti a queste forme di aggregazione, fermo restando il rispetto dei vincoli previsti in termini di invarianza della spesa complessivamente considerata.

La misura in questione va giudicata assai positivamente, in quanto risponde ad una delle difficoltà finora incontrate in queste esperienze di gestione associata delle funzioni da Comuni con struttura organizzativa estremamente ridotta: spesso tali enti stentano nell’individuare i margini per incidere in senso riduttivo sulla spesa del personale, qualora ciò si rivelasse necessario per compensare l’incremento derivante dalla conclusione di una convenzione o per l’istituzione di un’Unione con altri Comuni per lo svolgimento condiviso di funzioni o servizi. Allo stesso modo la disposizione potrebbe teoricamente essere d’aiuto ai Comuni capofila, che spesso a seguito dell’adesione a queste forme di gestione associata delle funzioni si ritrovano a sostenere spese per servizi di cui godono anche gli altri enti aderenti, con effetti negativi sui suoi obiettivi di Patto. Per effetto delle nuove norme si creeranno legami più stretti tra i singoli enti, che permetteranno il bilanciamento di eventuali sforamenti di alcune amministrazioni con i risparmi eventualmente conseguiti da altre. Alcune criticità si possono semmai rilevare nell’applicazione dei meccanismi di compensazione da parte degli enti aderenti a queste forme di gestione associata, che scontano spesso l’indisponibilità delle singole amministrazioni ad utilizzare i propri risparmi a copertura degli sforamenti effettuati da altri enti, come pure (specie nel caso delle convenzioni) l’assenza di un quadro definito delle migliaia di convenzioni in essere fra i vari enti. È pertanto possibile che le ammirevoli finalità perseguite dalla previsione normativa alla prova dei fatti rimangano di fatto lettera morta.

Contributi alle Unioni di Comuni

Sempre il comma 450 attribuisce infine alle Unioni di Comuni il contributo di 5 milioni di euro previsto dall’articolo 2, comma 1, del D.L. n. 120/2013, convertito dalla Legge n. 137/2013.

Contributi di finanza pubblica del Decreto Irpef

Il comma 451 apporta una serie di modifiche all’articolo 47 del D.L. n. 66/2014, convertito dalla Legge n. 89/2014 (Decreto Irpef), che estendono anche al 2018 il contributo alla finanza pubblica, di importo pari a 585,7 milioni per Province e Città metropolitane e a 563,4 milioni di euro per i Comuni, che le amministrazioni locali interessate sono tenute ad assicurare all’Erario.

13 gennaio 2015

Fabio Federici