Indagini bancarie: rilevano i dati e gli elementi dei conti correnti

i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti bancari vanno ritenuti rilevanti ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, se il titolare del conto non fornisce adeguata giustificazione

Con l’ordinanza n. 22634 del 24 ottobre 2014 (ud. 8 ottobre 2014) della Corte di Cassazione ha confermato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, “i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti bancari vanno ritenuti rilevanti ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, se il titolare del conto non fornisca adeguata giustificazione, come nella specie, a prescindere dalla prova preventiva che il contribuente eserciti una determinata attività e dalla natura lecita o illecita della medesima (v. pure Cass. Sentenze n. 10578 del 13/05/2011, n. 18081 del 2010)”.

E pochi giorni dopo, con la sentenza n. 22920 del 29 ottobre 2014 (ud. 10 luglio 2014), la stessa Suprema Corte di Cassazione, nel ribadire che la norma introduce una presunzione legale, in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari si reputano imputabili a ricavi, non essendo invero arbitrario “ipotizzare che i prelievi ingiustificati dei conti correnti bancari effettuati da un imprenditore siano stati destinati all’esercizio dell’attività d’impresa e siano quindi considerati, detratti i relativi costi, in termini di reddito imponibile” (13036/12), ha ritenuto che detta presunzione realizza determina una inversione nell’onere della prova (18081/10; 4589/09; 7766/08) che esige “la prova specifica della non imponibilità dei movimenti finanziari” (1418/13), ed a fronte della quale, “va quindi contrapposta una prova, non un’altra presunzione semplice ovvero una mera affermazione di carattere generale, nè è possibile ricorrere all’equità” (13035/12; 10578/11; 25365/07). Osserva la Corte che la presunzione legale relativa “vincola l’ufficio ad assumere per certo che i movimenti bancari effettuati sui conti correnti intestati al contribuente siano a lui imputabili, senza che risulti necessario procedere all’analisi delle singole operazioni, la quale è posta a carico del contribuente, in virtù dell’inversione dell’onere della prova. Il contribuente deve dimostrare, pertanto, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili. In particolare, si è precisato, con specifico riferimento all’abbattimento dei costi, questo assetto normativo, segnato dal peculiare onere probatorio cui è chiamato a rispondere il contribuente, esclude che ‘si debba procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili, essendo posto a carico del contribuente l’onere di indicare e provare eventuali specifici costi deducibili’ (14675/06), e questo anche perchè una considerazione d’esperienza porta a credere, all’atto di ribadire il concetto che la prova che deve essere offerta dal contribuente è una prova piena e non un’altra presunzione ovvero un’affermazione di carattere generale, che si occultino i ricavi ma non i costi, sicchè ‘non sempre a ricavi occulti corrispondono costi occulti, mentre a ricavi occulti possono accompagnarsi costi dichiarati in misura maggiore del reale’ (18016/05)”. Spetta, quindi, “al contribuente provare in maniera specifica e non generica la non imponibilità delle corrispondenti operazioni, provvedendo in particolare ad indicare i beneficiari di ciascuna di esse”.

Nota

Le sentenze che si annotano si pongono sulla scia di precedenti conformi pronunce: le presunzioni fondate sulle movimentazioni bancarie legittimano l’ufficio a ritenere ricavi sia i versamenti che i prelevamenti, se il contribuente non riesce a dimostrare che ne ha tenuto conto ovvero che siano estranee alla sua attività, lecita o meno1, e spetta al contribuente fornire la prova specifica contraria.

Ricordiamo che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14052 del 27 giugno 2011 (ud. del 17 maggio 2011), ha confermato che l’Amministrazione finanziaria è legittimata alla rettifica del reddito attraverso le indagini finanziarie, competendo al contribuente dimostrare analiticamente l’irrilevanza reddituale dei movimenti bancari ovvero che gli stessi hanno avuto considerazione nella determinazione della base imponibile. “Si tratta di una presunzione legale di carattere relativo, in quanto è ammessa la prova liberatoria da parte del contribuente. Al quale resta garantito il diritto di difesa, potendo egli far valere le sue ragioni in sede contenziosa, depositando, anche a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, documenti e memorie fino alla data di trattazione del ricorso in primo grado. Consegue che, se il contribuente non dimostra che dei movimenti bancari acquisiti dall’ufficio egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che si tratta di movimentazioni che non si riferiscono a operazioni imponibili, è consentito all’amministrazione riferire i movimenti bancari all’attività svolta in regime d’Iva (Cass. n. 18421/2005; n. 26293/2005; n. 8422/2002; n.3929/2002; n. 8457/2001; n. 2435/2001; n. 9946/2000)”.

E successivamente, con la sentenza n. 625 del 18 gennaio 2012 (ud. 20 settembre 2011) la Corte di Cassazione ha confermato che “è legittima l’utilizzazione da parte dell’amministrazione finanziaria (anche attraverso un puntuale richiamo, nell’avviso di accertamento, al verbale di ispezione redatto dalla guardia di finanza) dei dati relativi ai movimenti bancari del contribuente, che costituiscono valida prova presuntiva, restando a carico del contribuente l’onere della prova contraria (v. tra le altre cass. n. 7329 del 2003 e n. 15447 del 2001)”. La Corte, inoltre, rileva “che la prova contraria fornita dal contribuente deve essere specifica (v. cass. n. 14675 del 2006), non potendo contrapporsi alla presunzione legale in materia una affermazione generica (v. cass. n. 25365 del 2007), ed essendo in particolare da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità espressasi con specifico riguardo ad accertamento in materia di IVA, qualora l’amministrazione proceda utilizzando, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, i dati risultanti dai movimenti dei conti correnti bancari, la prova che il contribuente è tenuto a dare della non riferibilità ad operazioni imponibili deve essere specifica e riguardare analiticamente i singoli movimenti bancari, così da dimostrare che ciascuna delle operazioni effettuate è estranea a fatti imponibili (v. cass. n. 1739 del 2007)”.

Ed ancora, la sentenza n. 4688 del 23 marzo 2012 (ud. 14 marzo 2012) della Corte di Cassazione ha confermato che le presunzioni fondate sulle movimentazioni bancarie legittimano l’Ufficio a considerare come ricavi i versamenti e i prelevamenti dei quali il contribuente non riesca a dare giustificazione: per poter accertare la natura di costi degli addebiti; in particolare, al fine della loro deducibilità, è necessario che il contribuente fornisca prova contraria alla rilevanza fiscale delle movimentazioni bancarie (Cass, 17/6/2008, n. 16341)”. Infatti, “la presunzione legale relativa posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, costituisce una eccezione al principio del libero apprezzamento delle prove da parte del giudice ed alla regola dell’onere della prova. La motivazione dei giudici d’appello è esente da censura, in ordine ad entrambi i vizi denunciati, avendo fatto corretta applicazione, con un’adeguata motivazione, dei principi in tema di presunzione ricavatale dalla movimentazione bancaria in quanto ogni accredito nel conto corrente bancario equivale a ricavo che aumenta il reddito, in mancanza di prova contraria”. Inoltre, “anche i costi relativi ad acquisti non documentati devono considerarsi ricavo operando la presunzione di operazioni non fatturate e, nel caso di specie, in base alla motivazione della sentenza impugnata, non specificamente contestata sul punto, la ricorrente non è stato in grado di produrre fatture emesse o ricevute riconducibili alle operazioni bancarie indicate”.

E con la sentenza n. 25984 del 20 novembre 2013 (ud. 26 aprile 2013) la Corte di Cassazione ha ribadito che In tema di accertamento delle imposte sui redditi, in virtù della presunzione di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 – che, data la fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici – sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività d’impresa, se questo non dimostra di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito. Pertanto, il contribuente può fornire prova contraria, che deve essere valutata dal giudice in rapporto agli elementi risultanti dai conti correnti, per verificare, attraverso i riscontri possibili (date, importi, tipo di attività, soggetti coinvolti), se ed eventualmente a quali operazioni la documentazione fornita dal contribuente si riferisca, così da escludere dal calcolo dell’imponibile soltanto quanto risultante dai singoli movimenti bancari (Cass. n. 16650 del 2011; n. 9103 del 2001)”.

Ancora, con l’ordinanza n. 7890 del 3 aprile 2014 (ud. 5 marzo 2014) la Corte di Cassazione, richiamando un proprio precedente (sent. n. 21132 del 13/10/2011) la Corte ha riaffermato che “i dati acquisiti presso le aziende di credito, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2, possono essere utilizzati sia per dimostrare l’esistenza di un’eventuale attività occulta (impresa, arte o professione), sia per quantificare il reddito ricavato da tale attività, incombendo al contribuente l’onere di dimostrare che i movimenti bancari che non trovano giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni non sono fiscalmente rilevanti”.

E da ultimo, con l’ordinanza n. 9731 del 6 maggio 2014 (ud. 2 aprile 2014) la Corte di Cassazione ha confermato che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, come nella specie, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (V. pure Cass. Sentenze n. 18081 del 04/08/2010, n. 4589 del 26/02/2009)”.

26 gennaio 2015

Gianfranco Antico

1Con la sentenza n. 2894 del 7 febbraio 2013 (ud. 23 novembre 2012) la Corte di Cassazione ha ritenuto corretto l’operato dell’ufficio che ha recuperato a tassazione, nei confronti di un professionista abusivo, i movimenti bancari non giustificati. La Corte, dopo aver premesso che il sistema degli accertamenti bancari si incentra su una presunzione legale a carico del contribuente, che comporta una inversione dell’onere della prova, ribadisce che “in forza della detta presunzione, il contribuente è tenuto a giustificare i vari movimenti bancari e a dimostrare che gli stessi sono estranei al suo reddito, vuoi perchè a lui non riferibili di fatto, vuoi perchè ricollegabili ad atti non soggetti a tassazione (cfr. per tutte Cass. n. 2843/2008; n. 21975/2009). E’ quindi in tal senso legittima l’utilizzazione dei dati e degli elementi, che risultano dall’esame dei conti bancari in questione, per fondare la presunzione di consequenzialità da operazioni imponibili (v. d’altronde Cass. n. 14 675/2006)”.Aggiunge la sentenza che la Corte “ha altresì rilevato, in tema di Iva, che al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dal citato D.P.R. n. 633 del 1972 non è sufficiente una prova generica. Non serve cioè dimostrare genericamente di avere fatto affluire somme su un proprio cento corrente bancario, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità ad attività estranea (e non imponibile) di ogni singola movimentazione del conto (Cass. n. 13818/2007). Giacchè altrimenti devesi presumere l’inerenza dei movimenti del conto a operazioni imponibili (v. ancora Cass. n. 21132/2011; Cass. n. 21125/2010)”.Di conseguenza, “tutti i versamenti e i prelevamenti risultanti dal conto, ove non assistiti dalla contabilità (quando, come nella specie, sia accertato l’esercizio abusivo di un’attività professionale), costituiscono presunzioni di reddito in rapporto all’anno nel quale sono effettuati”.